La Russia invade l’Ucraina? Movimenti di truppe russe al confine con l’Ucraina suscitano preoccupazioni. Episodi simili sono piuttosto frequenti. I mutamenti recenti che influenzano la lettura degli eventi. La posizione della Bielorussia e la debolezza della situazione politica interna ucraina. Le speranze e le incertezze suscitate dall’amministrazione Biden. Gli accordi di Minsk sono davvero la soluzione?
Da settimane la Russia assiepa truppe e dispositivi militari al confine con l’Ucraina. Ciò suscita timori di un’invasione e reazioni della comunità internazionale, invero piuttosto tiepide. Il quotidiano Washington Post ha segnalato che l’invasione potrebbe avvenire a inizio 2022, riprendendo informazioni dei servizi segreti statunitensi. Per collocare i fatti che stanno accadendo intorno all’Ucraina e alle truppe russe ai suoi confini, è necessario conoscere una sequenza di eventi recenti di contorno. Non è la prima volta che la Russia ammassa truppe ai confini ucraini. Movimenti simili si ripetono con una certa frequenza sin dal 2013/14. In quegli anni l’Ucraina compì significativi passi per avvicinarsi all’Unione europea e alla NATO, sostenuti dalle celebri manifestazioni di Majdan Nezaležnosti (Piazza Indipendenza), a Kiev.
Mosca reagì a quegli eventi occupando la Crimea e fomentando le rivolte nell’Ucraina orientale. Sponsorizzò la nascita di due Stati-fantoccio controllati in tutto e per tutto dal Cremlino: la Repubblica popolare di Doneck e la Repubblica popolare di Lugansk, nel bacino del Donbass.
Nei media di Stato di Mosca, i movimenti di truppe ai confini con l’Ucraina si accompagnano ogni volta a un martellio di messaggi volti a rafforzare nell’opinione pubblica russa l’idea che l’Occidente stia per aggredire la Russia attraverso l’Ucraina. Le cancellerie occidentali reagiscono. Seguono scambi di battute, talvolta qualche movimento navale occidentale nel Mar Nero e promesse di sostegno all’Ucraina, in caso di intervento di Mosca. Poi le truppe russe vengono spostate e tutto si esaurisce, sino al successivo evento analogo.
La Russia invade l’Ucraina più a fondo? Il contesto di oggi
Il contesto di questi giorni è un po’ diverso e merita di essere spiegato. Le differenze riguardano tre punti: l’involversi della situazione in Bielorussia, la precaria situazione politica in Ucraina e l’atteggiamento degli Stati uniti, ora guidati da Joe Biden. Anche la situazione interna russa può essere conteggiata fra le cause. La pandemia fuori controllo e l’insoddisfazione crescente della popolazione inducono Vladimir Putin a compiere azioni sullo scenario internazionale. Il presidente afferma così il proprio potere all’interno, ponendosi come difensore della Russia accerchiata dall’Occidente nemico.
E’ la prospettiva internazionale, però, che offre gli spunti per interpretare la presenza di truppe russe ai confini con l’Ucraina. Partiamo dalla Bielorussia. Sebbene proceda a rilento, il progetto di unione fra Russia e Bielorussia prosegue e ha un importante risvolto militare. L’integrazione fra gli eserciti dei due Paesi è molto profonda. Esiste un programma di insediamenti stabili dell’esercito russo in territorio bielorusso. Recenti manovre congiunte hanno mostrato al mondo la capacità di interazione fra truppe delle due armate.
Al mosaico dell’integrazione fra Russia e Bielorussia mancava però un tassello. Sinora, la Bielorussia non aveva riconosciuto la Crimea come territorio russo, dopo l’annessione del 2014. Pochi giorni fa, il 2 dicembre, in una logorroica intervista concessa al giornalista Dmitrij Kiselev, fedelissimo al Cremlino (tutta l’intervista >qui), il presidente bielorusso Aljaksandr Lukašėnka ha riconosciuto che la Crimea appartiene, secondo lui, alla Russia. Non si può escludere che l’intervista, durata più di due ore, sia stata organizzata e affidata a quel giornalista proprio allo scopo di offrire a Lukašėnka la tribuna per questa dichiarazione. La comunicazione sui media, in queste circostanze, conta più dei canali diplomatici.
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Le conseguenze delle dichiarazioni di Lukašėnka
Con questa dichiarazione, Lukašėnka ha rimosso l’ultima grossa disparità di vedute tra il suo regime e quello di Putin. Nello stesso tempo ha marcato la sua distanza dall’Ucraina. Sono finiti i tempi in cui la Bielorussia si offriva come luogo equidistante di dialogo fra Kiev e Mosca. La Bielorussia ha sganciato l’Ucraina.
Per l’Ucraina questo è un problema, non solo geopolitico. Gli ucraini hanno intense relazioni commerciali con la Bielorussia. Da essa importano anche energia elettrica. Tra gli errori dell’attuale amministrazione ucraina, tuonava qualche settimana fa l’ex capo del governo di Kiev, Arsenij Jacenjuk, vi è il non aver perseguito l’indipendenza energetica del Paese da Stati fornitori non affidabili, come Russia e Bielorussia.
Lukašėnka ha poi affermato che la Bielorussia non negherebbe il suo appoggio a Mosca, se la Russia decidesse di invadere l’Ucraina. Significa che truppe russe arriverebbero al confine ucraino anche da nord ovest. Lukašėnka ha ripetuto questa affermazione durante un incontro con i vertici militari del suo Paese. Il governo bielorusso prepara manovre anche a sud, per contrastare un’eventuale attacco occidentale proveniente dal territorio ucraino, ha sottolineato Lukašėnka. In caso di conflitto tra Russia e Ucraina, le truppe bielorusse si schiererebbero senza esitare a fianco di Mosca.
Ascoltando queste dichiarazioni e guardando agli sviluppi delle relazioni tra i regimi di Mosca e di Minsk, non è azzardato prendere atto che la Russia ha ormai incorporato la Bielorussia in un regime di protettorato sui generis. Poco importa, se la formalizzazione giuridica dell’unione tra i due Stati prenderà ancora del tempo.
La situazione a Kiev: debolezza e confusione
Dalla salita al potere dell’attuale presidente ucraino, Volodymyr Zelens’kyj, la situazione interna ucraina si fatta debole e confusa. Zelens’kyj non ha esperienza politica. Il partito che ha fondato porta lo stesso nome della telenovela di cui è stato protagonista come attore, Sluha Narodu, «Il servo del popolo.» Il presidente e il suo partito hanno conquistato la vittoria accattivando gli elettori con messaggi clamorosi e facendo sperare in una nuova stagione di vita pubblica, improntata alla trasparenza e alla pulizia.
Qualcosa di simile allo slogan: «apriremo il parlamento come una scatoletta di tonno,» che gli italiani ben ricordano. La vicenda di Beppe Grillo e quella dell’attore-presidente ucraino si distinguono sotto numerosi aspetti, come ho spiegato tempo fa in un’intervista sul quotidiano ucraino Livyj Bereh alla giornalista Irina Kaščej, insieme al giornalista italiano Jacopo Iacoboni (>qui). I cammini politici di Beppe Grillo e Volodymyr Zelens’kyj sono accomunati, però, da un marcato tratto populista.
L’apertura del parlamento ucraino come una scatoletta di tonno sembra essersi convertita in una confusione degna di nota. In aula siedono molti parlamentari che manifestano scarsa preparazione e sembrano rifugiarsi nei luoghi comuni. Le posizioni del governo si sono fatte più incerte e indecifrabili, di fronte alle difficili sfide da affrontare. Zelens’kyj era salito al soglio presidenziale promettendo che la guerra con la Russia sarebbe finita in poco tempo, «bastava smettere di sparare.» Non è stato il caso. Al confine tra Russia e Ucraina si continua a sparare e a morire. In questi ultimi mesi e settimane, alcuni episodi hanno svelato ancor più la debolezza del governo di Kiev.
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Il temuto colpo di Stato e il caso «Wagner»
Poche settimane fa il presidente Zelens’kyj ha annunciato il rischio di un colpo di Stato ai suoi danni. Più che preoccupare i servizi segreti e le cancellerie internazionali, l’annuncio è parso avere finalità interne, per rivitalizzare un sistema di governo che fatica a mantenere le promesse fatte al suo insediamento e perde consenso.
Da oltre un anno, nel dibattito pubblico ucraino si agita il fantasma di un’operazione dei servizi segreti connessa al mancato arresto di una trentina di appartenenti alla milizia privata russa Wagner, un raggruppamento armato non statale ma vicino al Cremlino. Non è possibile riassumere qui i fatti, ma l’operazione fa sospettare l’esistenza di deviazioni nei servizi segreti ucraini e la presenza di talpe filorusse all’interno dell’amministrazione presidenziale di Kiev.
Il 26 novembre, il presidente Zelens’kyj ha convocato una conferenza stampa fiume. In un contesto informale, ha spiegato la sua visione degli eventi più recenti e controversi (video completo >qui). Anziché rafforzare la sua posizione, le cinque ore di conferenza stampa hanno confermato l’impressione che negli uffici presidenziali regni un certo disorientamento. Anche il noto giornalista Dmitrij Gordon, che nei primi tempi era tra i sostenitori di Zelens’kyj, ne ha preso le distanze: «Un amico può sbagliare qualche volta, ma poi si arriva al punto in cui bisogna dire basta» ha detto Gordon in questi giorni.
Da molto tempo circola l’idea di un incontro fra il presidente ucraino e Vladimir Putin. Sarebbe il primo a quattr’occhi. In precedenza Zelens’kyj e Putin si erano incontrati insieme alla signora Merkel e al presidente francese Macron nel quadro degli vertici connessi agli accordi di Minsk. L’eventualità di un incontro personale tra il presidente ucraino e quello russo spaventa gli osservatori. L’inesperienza di Zelens’kyj, rispetto all’astuzia del suo collega russo, nel contesto dei fatti che ho spiegato sin qui, avrebbe conseguenze imprevedibili. Oleksij Gončarenko, deputato ucraino dell’opposizione, ha definito un incontro tra Putin e Zelens’kyj un errore strategico dalle conseguenze catastrofiche. La pensa allo stesso modo Andrej Illarionov, controverso ma attento osservatore dei fatti russo-ucraini.
Ucraina, truppe russe al confine e amministrazione Biden
Il cambio di presidenza negli Stati uniti non è indifferente agli sviluppi sul fronte russo-ucraino. L’arrivo di Joe Biden alla Casa bianca aveva suscitato molte speranze, per la maggior competenza e la dichiarata ispirazione al multilateralismo della nuova amministrazione, rispetto a quella di Donald Trump. A pochi mesi dalla sua entrata in funzione, però, alcuni fatti instillano dubbi sulle sue reali intenzioni. Si possono citare il ritiro precipitoso e non concordato delle truppe statunitensi dall’Afghanistan nell’agosto 2021 e la nascita dell’alleanza AUKUS per affermare la presenza di Washington nella regione dell’Asia-Pacifico, annullando improvvisamente una fornitura di sottomarini già concordata con la Francia.
Gli Stati uniti stanno spostando il loro centro d’interesse verso l’Asia e il Pacifico, per contrastare le crescenti aspirazioni globali della Cina. Mantengono la fedeltà all’Alleanza atlantica con l’Europa, ma l’impegno non è più così esclusivo e prioritario come durante la Guerra fredda. Il mondo sta cambiando. Dietro le belle parole, per gli europei è più difficile credere a una fedeltà incondizionata degli Stati uniti nella difesa dell’Europa, rispetto alle minacce della Russia e degli altri regimi autoritari che circondano il nostro continente. Se la Russia invade l’Ucraina più a fondo, non è chiaro quale sarà l’impegno di Washington.
Sul capitolo ucraino, l’amministrazione Biden insiste sull’attuazione degli accordi di Minsk, o meglio di Minsk II, siglati nel 2015. La Russia chiede la stessa cosa. Sul piano formale, ciò è corretto. Gli accordi di Minsk II sono, in ordine di tempo, l’ultimo pacchetto di intese internazionali per una possibile soluzione del conflitto tra Russia e Ucraina. Sul piano concreto, però, e, in particolare, nel contesto di oggi, l’evocazione degli accordi di Minsk II non rassicura l’Ucraina.
2015: la Russia invade l’Ucraina? Gli accordi di Minsk II
Ero in viaggio in Ucraina, quando vennero firmati i protocolli di Minsk II. Ricordo bene il clima di allora. In pochi giorni, missili provenienti dai territori controllati dai separatisti filorussi piovvero sulla piazza del mercato di Mariupol, città portuale dell’Ucraina sud orientale. In un furioso attacco in pieno centro, a Doneck, un filobus carico di passeggeri venne crivellato di colpi di mitra. Nella città in cui mi trovavo, Charkiv, era appena esplosa una bomba in tribunale.
La tensione era palpabile. Tutto lasciava attendere un’invasione russa, da un momento all’altro, sostenuta da atti di guerriglia urbana. In quel quadro, per cercare di evitare il peggio, l’allora presidente francese François Hollande, la cancelliera tedesca Angela Merkel e Vladimir Putin sedettero a Minsk sino a tarda notte, insieme al presidente ucraino di allora, Petro Porošenko. Nacquero così, gli accordi di Minsk II, che contengono diverse previsioni sfavorevoli all’Ucraina. In quel momento, però, erano l’unico modo per uscire da una situazione che sembrava volgere al disastro.
Gli accordi di Minsk II richiedono di fatto che il governo ucraino collabori con i separatisti filorussi, per organizzare elezioni e un sistema di autonomia dei territori separatisti. Questo è un nonsenso giuridico. Se lo Stato dialogasse con i separatisti e agisse in collaborazione con essi nei territori occupati, riconoscerebbe per fatto concludente la fine della propria integrità territoriale. Inoltre, se così facesse, camminerebbe sul sangue delle migliaia di soldati ucraini caduti per difendere il Paese, dal 2014 a oggi.
Ucraina, truppe russe al confine: cos’è cambiato nel frattempo
Nel frattempo, molte condizioni-quadro su cui si fondavano gli accordi di Minsk II sono cambiate. In particolare, il mondo sta capendo che la questione etnico-linguistica nell’est dell’Ucraina è poco più di un pretesto, alimentato da Mosca per soffiare sulle ceneri del conflitto. Se la Russia invade l’Ucraina non è per solidarietà culturale con gli abitanti russofoni.
I contrasti fra comunità di lingua ucraina e di lingua russa esistono, in Ucraina, come in ogni Stato in cui convivano più gruppi linguistici. I disaccordi, però, non sono tali da motivare conflitti sociali così gravi, una guerra o il separatismo. L’attuazione dell’autonomia delle regioni orientali, poi, si scontra con difficoltà oggettive. I confini tra lingue ed etnie, in Ucraina, non si possono tracciare ovunque con chiarezza, per ragioni storiche e sociali.
Gli accordi di Minsk II prevedono che l’Ucraina torni a controllare la sua frontiera orientale con la Russia, nelle zone governate dai separatisti filorussi. Mosca, però, che guida i dirigenti delle repubbliche separatiste, non ha mai permesso che le frontiere tornassero in mano ucraina. Attraverso di esse passano i rifornimenti russi ai due Stati-fantoccio di Doneck e Lugansk. Gli armamenti che dovevano essere ritirati dalla linea di contatto, poi, restano lì.
«Non è la Russia che invade l’Ucraina:» le ipocrisie del Cremlino
Altro punto determinante è che la Russia afferma di non essere parte degli accordi di Minsk II, ma solo garante della loro attuazione. Il Cremlino, infatti, definisce il conflitto nel Donbass come una guerra civile, una questione interna ucraina. Putin insiste su questa posizione, anche se lui stesso, di fronte all’evidenza, ha dovuto riconoscere la presenza di personale militare russo nei territori separatisti. L’azione russa in quelle regioni non può più essere negata.
Nel frattempo, la Russia ha concesso con procedure semplificate la cittadinanza a migliaia di abitanti delle regioni separatiste ucraine e ha trasferito migliaia di cittadini russi in Crimea. Putin, così, può di dire che se l’Ucraina tentasse di ripristinare la sua sovranità sui propri territori, la Russia avrebbe titolo di intervenire militarmente per difendere i cittadini russi che vi abitano: la Russia non invaderebbe l’Ucraina, ma interverrebbe in soccorso di suoi cittadini. E’ una forzatura di un principio del diritto internazionale e, insieme, una contraddizione in termini: Mosca controlla già i territori interessati.
Su queste ipocrisie il Cremlino costruisce tutta la sua narrativa sulla questione ucraina. Putin e il suo regime pensano che l’Ucraina non esista, come Stato, che sia una specie di incidente temporaneo della Storia seguito alla caduta dell’Unione sovietica.
Si dimentica spesso che la Russia aveva perso il controllo sull’Ucraina già durante la Prima guerra mondiale, prima di piegarsi su se stessa per la Rivoluzione d’ottobre. Lenin dovette faticare molto, per convincere gli ucraini a entrare a far parte dell’Unione sovietica, nel 1922. Dovette promettere il rispetto dell’identità linguistica e l’esistenza di una repubblica sovietica ucraina distinta dalla Russia. L’aspirazione all’indipendenza degli ucraini non è un fenomeno periferico indotto dalla fine dell’Unione sovietica. Ha radici storiche e culturali definite.
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L’incontro virtuale tra Putin e Biden: Ucraina, Russia ed Europa
Il 7 dicembre 2021 Joe Biden e Vladimir Putin si sono incontrati via Internet. I due capi di Stato non hanno parlato solo di Ucraina, ma anche di Iran, di sicurezza cibernetica, di forniture energetiche e altro. L’Ucraina, però, è stata un punto chiave del loro vertice virtuale. Kira Rudik, deputata ucraina del partito Golos («La voce»), lo ha riassunto con un’immagine efficace: una partita di tennis tra Putin e Biden, che si rimpallano il destino dell’Ucraina. Lo stesso concetto, con parole diverse, lo ha espresso il già citato giornalista Dmitrij Gordon: non si dovrebbe ragionare su ciò che si dicono russi e statunitensi sul futuro dell’Ucraina, perché il futuro dell’Ucraina devono deciderlo gli ucraini.
Sono espressioni a effetto, ma contengono una verità. Il fatto che due grandi potenze, Russia e Stati uniti, decidano sulla sorte di uno Stato terzo, l’Ucraina, conferma che entrambe hanno una visione del mondo fondata su zone di influenza ed equilibri di potenza, principi superati da un secolo, nelle relazioni internazionali.
Ad accrescere i nonsensi, Putin ha chiesto a Biden la «garanzia giuridica» che l’Ucraina non entrerà mai nella NATO e che non riceverà armamenti dall’Occidente. Questa promessa è impossibile proprio per due ragioni giuridiche: la NATO, per statuto, è un’alleanza aperta, significa che qualunque Paese può entrare a farne parte, purché ne rispetti i principi. Inoltre, che due Paesi si accordino sulle alleanze a cui ammetterne o non ammetterne un terzo contraddice i principi di sovranità degli Stati e di autodeterminazione dei popoli.
Come si prevedeva, al termine dell’incontro fra Putin e Biden vi sono state le consuete dichiarazioni di circostanza. Nulla è cambiato, ufficialmente: gli Stati uniti minacciano sanzioni, se la Russia invade più a fondo l’Ucraina. Seguono i soliti avvertimenti reciproci e gli addobbi diplomatici. Se si guarda agli interessi in campo, dietro le dichiarazioni ufficiali il quadro è piuttosto chiaro, però.
Accordi di Minsk II: una vittoria per Biden e Putin
Oggi, l’attuazione degli accordi di Minsk II sarebbe sfavorevole all’Ucraina, ma molto favorevole a Stati uniti e Russia. I presidenti statunitense e russo otterrebbero entrambi un successo. Biden potrebbe togliere il dossier ucraino dalla sua scrivania e volgersi ancor più al nuovo scenario dell’Asia-Pacifico. Putin potrebbe promettere di attivarsi per ripristinare formalmente la frontiera fra Russia e Ucraina nel Donbass, in cambio dell’impegno degli Stati uniti a tenere l’Ucraina fuori dalla NATO. Ciò è impossibile ufficialmente, come ho appena spiegato, ma potrebbe avvenire inducendo l’Ucraina a rinunciare all’adesione, con temporeggiamenti o altre astuzie politiche.
Putin non perderebbe nulla. Se le regioni dell’Ucraina orientale acquisiscono l’autonomia prevista dagli accordi di Minsk II, diventano una sorta di depandance russa. La Russia non invade l’Ucraina un’altra volta, anzi fa figura di ritirarsene; attraverso le regioni orientali, il Cremlino potrà comunque condizionare ogni passo del governo ucraino con la leva politica ed economica. Dal punto di vista militare, la tenaglia da nord, attraverso la Bielorussia, e da sud, dal Mar Nero, trasformerebbe l’Ucraina in una noce nello schiaccianoci russo.
E’ possibile che Biden e Putin siano già d’accordo su questa procedura, in modo più o meno esplicito. Se questo scenario si realizzerà, assisteremo a un nuovo voltafaccia degli Stati uniti dai teatri tradizionali del loro impegno globale. Nella loro attuale debolezza, il presidente e il governo dell’Ucraina non farebbero opposizione significativa. Ancor meno vi è da attendere qualche protesta della pigra politica europea o dell’opinione pubblica occidentale, quasi del tutto indifferenti. In questo contesto, che la Russia invada o no l’Ucraina più a fondo con mezzi militari, non è che la tessera di un mosaico più grande.
La Russia invade o no l’Ucraina? Lo scenario è più ampio
Se questa fosse la soluzione, bisogna ricordare che negli accordi di Minsk II non si fa alcun riferimento alla Crimea. Accettare lo status quo, applicando gli accordi alle regioni del Donbass e lasciando la Crimea ai russi, significherebbe accettare che uno Stato, la Russia, può appropriarsi con la forza di parti di un altro Stato, l’Ucraina, contro ogni principio del diritto internazionale moderno. Su questo si misurerà la volontà degli Stati uniti e dell’Europa di difendere un ordine mondiale fondato sul diritto, costruito dopo la Seconda guerra mondiale.
Considerati questi presupposti, i movimenti di truppe russe ai confini con l’Ucraina in corso da qualche settimana devono essere guardati sotto una luce diversa, rispetto ai casi precedenti. E’ improbabile che la Russia invada l’Ucraina una seconda volta, anche se non lo si può escludere. Tuttavia, piuttosto che concentrasi sugli eventuali sviluppi dei movimenti di Mosca ai confini ucraini, è importante guardare al mutato scenario complessivo in cui avvengono: la relazione con la Bielorussia, la debolezza del governo ucraino e i nuovi interessi geostrategici degli Stati uniti.
Le mosse di Putin indicano che l’affermazione dell’influenza russa verso Occidente prosegue con disinvoltura, secondo il programma definito. Alle spalle di questo progetto, d’altra parte, vi è una elaborazione filosofico-politica di un certo spessore, che nasce intorno all’opera del politologo russo Aleksandr Dugin, e la dottrina militare di Valerij Gerasimov, Capo di stato maggiore delle forze armate russe. Ne ho parlato in dettaglio durante la mia audizione alla Commissione esteri della Camera dei deputati italiana, nell’agosto 2020 (>qui). Il Cremlino non esita a usare come strumento di persuasione i movimenti di truppe ai confini con altri Stati, movimenti che rappresentano per sé una minaccia, secondo le convenzioni internazionali. Far temere che la Russia invada l’Ucraina basta a far incassare a Putin attenzione e concessioni.
Il quadro regionale e le conseguenze per noi
Nell’ottica di Putin, la riconquista della Bielorussia, persa nel 1991 con la caduta dell’Unione sovietica, è ormai compiuta nei fatti, anche se non è ancora ratificata nei trattati. Così continuando, la ripresa dell’Ucraina, per mano militare o per sottomissione politica, non tarderà a seguire. Se Putin riterrà che un ulteriore intervento militare in Ucraina sia nel suo interesse, lo farà e gestirà le conseguenze. E’ improbabile che Stati uniti ed Europa gli mandino truppe contro.
Il presidente ucraino Zelens’kyj ha ragione, quando dice che gli accordi di Minsk II sono invecchiati — anche se non spiega come vorrebbe riformarli. Essi non corrispondono più allo stato di fatto e agli interessi ucraini, se mai vi hanno corrisposto. D’altra parte, però, l’inesperienza del presidente e le incertezze del suo governo fanno il gioco di Mosca e hanno diffuso scetticismo, in Occidente, su quali siano i reali obiettivi dei dirigenti ucraini, rispetto al conflitto con la Russia.
Questo quadro è molto sfavorevole anche per l’Unione europea e per i suoi Stati membri. Come spiego nel mio libro Il progetto della Russia su di noi (>qui), Mosca punta a imporre la propria influenza e il proprio modello di Stato autoritario ben oltre i confini dell’ex Unione sovietica. Ha gli strumenti per farlo: l’uno è il controllo sulle fonti energetiche, in particolare sulle forniture di gas.
L’altro è la debolezza dei governi occidentali, che non riescono a concepire delle politiche serie per contrastare le mire espansionistiche di Mosca. Al contrario, parti consistenti di politica e popolazione europee si mostrano favorevoli ai disegni russi. A tutto ciò si aggiunge l’abilità della Russia nel piegare le opinioni pubbliche occidentali a proprio favore, con attività di disinformazione e guerra ibrida che l’Occidente non riesce a reprimere.
Le azioni del Cremlino devono essere prese sul serio, più di quanto si sta facendo in Occidente. Se si continuerà e sottovalutarle o ignorarle colposamente, cambia poco se la Russia invade o no l’Ucraina, questa volta o la prossima. Ciò che sta succedendo tra Russia, Bielorussia e Ucraina sarà una triste anteprima di ciò che accadrà, mutatis mutandis, con il resto d’Europa.