E’ giusto tradurre ‘Failed State’ con ‘Stato fallito?’

La traduzione di Failed state in italiano
Strada senza uscita | © Donald Giannatti

La traduzione italiana di failed state nasconde qualche insidia. L’aggettivo non corrisponde al traducente più comune. Si tratta di una forma particolare di fallimento che riguarda funzioni tipiche di uno Stato. Alcuni esempi concreti e le fonti che definiscono il retroterra di questa espressione. Quali espedienti usare per far sì che chi legge la traduzione recepisca il significato specifico di questa definizione.


L’attualità internazionale richiama talvolta la nostra attenzione su Stati che lottano per esistere. L’Africa è il continente nel quale ne troviamo in maggior numero. Anche l’America latina e persino l’Europa registrano o hanno registrato nel recente passato la presenza di Stati la cui sopravvivenza, come soggetti del diritto internazionale capaci di governare il loro territorio, è cessata o si è interrotta per un certo tempo.

Un esempio paradossale ma utile. Alcuni anni fa, in coincidenza con i peggiori attentati di matrice islamica in Europa, alcuni commentatori suggerirono che il Belgio, in difficoltà a reprimere l’attività delle cellule terroristiche sul suo territorio, si dovesse assimilare a un failed state (ad esempio: >qui). In lingua italiana, la traduzione di failed state è Stato fallito (ecco un >esempio riguardante lo stesso caso). Qui non discutiamo se questa definizione sia più o meno adeguata a questo o quel Paese: ci occupiamo della questione linguistica.

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Cosa dice la disciplina delle relazioni internazionali

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Un failed state, per la disciplina delle relazioni internazionali, è uno Stato che ha fallito nell’adempiere il suo compito principale, garantire l’ordine e la sicurezza (v., tra molti altri: Völkerrecht, a cura di W.G. Vitzthun, 2010, III, 85). Un failed state non riesce a controllare il suo territorio, perché è sopraffatto da entità ribelli, criminalità e altri poteri non statali; oppure perché è attraversato da lotte fra potentati locali, gruppi etnico-linguistici o separatisti. La causa può non essere politica: un failed state può presentarsi come conseguenza di pandemie o catastrofi naturali di eccezionale gravità.

Per questi motivi, un failed state non è in grado di garantire sicurezza e servizi ai cittadini. Non può pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici, non assicura il funzionamento del sistema sanitario; non è in condizioni di rispettare i suoi obblighi internazionali.

Secondo la celebre definizione di Max Weber (in: Wirtschaft und Gesellschaft. Grundriss der verstehenden Soziologie, 1911/20) e per il successivo sviluppo del diritto internazionale, secondo il tradizionale principio di effettività uno Stato esiste quando: a) esercita un controllo su un territorio, b) dispone di una popolazione stanziata su questo territorio, c) amministra tale popolazione per mezzo di un apparato di governo e d) è in grado di intrattenere relazioni con altri Stati (quest’ultimo punto è detto sociabilità, in inglese sociability, cfr. A. Gioia, Diritto internazionale, Milano, 2013 e G. Sperduti, Lezioni di diritto internazionale, 1958).

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‘Failed State’ e ‘Failing State:’ traduzione italiana e sfumature

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Il failed state è uno Stato nel quale cadono le quattro colonne portanti indicate da Max Weber. Sono o sono stati esempi di failed state la Somalia dopo la caduta di Siad Barre (1991), la Libia dopo la morte di Gheddafi (2011), la Bosnia-Erzegovina dopo la guerra fra i popoli della ex Jugoslavia. Stati che cessano di esercitare la loro azione, talvolta dissolvendosi del tutto. Con un esempio banale, chi volesse telefonare al primo ministro o a una qualunque autorità di un failed state non saprebbe più che numero comporre, sempre che vi funzionino ancora i telefoni.

Simile è il caso dei failing state, Stati che non hanno ancora cessato completamente la loro azione, ma pendono sul precipizio. Talvolta è difficile distinguere tra failing e failed state (si veda l’esempio della Repubblica centrafricana fino al 2014).

L’espressione failed state va letta in un senso più ampio dell’incapacità dello Stato di rimborsare i creditori, alla quale pensiamo quando leggiamo il termine fallito. Potrebbe darsi il caso di un failed state incapace di esercitare le sue funzioni sovrane per ragioni politiche, ma non esposto a fallimento finanziario.

Al contrario, nel 2001 molti media definirono l’Argentina Stato fallito, poiché si dichiarò incapace di rimborsare i suoi creditori (si ricorda ancora oggi la vicenda dei Tango bond). L’Argentina non fu in grado di onorare i suoi titoli pubblici, ma non divenne un failed state. Con tutte le difficoltà del caso, l’apparato dello Stato continuò a funzionare e a esercitare la sua sovranità. Si trattò, per la precisione, di un default finanziario – per dirlo in italiano, di un caso di insolvenza.

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Come agire in concreto nella traduzione italiana di ‘Failed State’

Non è errato tradurre l’inglese failed state con Stato fallito. Occorre però accertare che chi legge non interpreti questa espressione nel senso più comune, ma ne recepisca il pieno portato semantico: non una semplice incapacità finanziaria, ma il decadimento delle funzioni vitali di uno Stato. Talvolta può essere preferibile rinunciare alla traduzione. Una soluzione intermedia, quando praticabile, può essere quella di riportare il termine tecnico inglese vicino alla traduzione italiana.

Per citare un esempio, ho utilizzato questo espediente in un articolo di questo blog, non per failed state, ma per un’altra locuzione inglese tipica delle relazioni internazionali, che presenta un’insidia analoga: rational choice. Si tratta di comunicare a chi legge il senso corretto dell’espressione nel suo gergo tecnico – non una qualunque scelta razionale, ma una teoria analitica delle relazioni internazionali, nota anche in sociologia, definita rational choice. Per non lasciar solo il lettore dinanzi a un anglicismo, ho affiancato i due termini: «Era necessaria una svolta […]: a suggerirla fu una scelta razionale, un processo di rational choice» (testo completo: >qui).

Sarà il caso specifico a suggerire come meglio procedere: l’obiettivo è non perdere il valore aggiunto che ogni termine intraducibile porta con sé, in forza del suo specifico retroterra.

(Articolo pubblicato in originale il 12.4.2016, ripubblicato con aggiornamenti il 10.3.2025)

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Il mio corso «Capire l'attualità internazionale» accompagna chi desidera comprendere meglio i fatti del mondo. Con il corso «Il diritto per tradurre» comunico le competenze giuridiche necessarie per tradurre testi legali da o verso la lingua italiana.

Commenti

  1. Silvia Pellacani says:

    Grazie Luca per questa riflessione puntuale e documentata, uno dei tuoi migliori articoli di sempre. Utile per l’ambito specifico del diritto e delle relazioni internazionali, ma anche per ogni lavoro di traduzione e scrittura. Grazie per aver sottolineato il valore del «bagaglio» che le parole portano con sé e l’importanza di tradurre e scrivere in modo che il destinatario comprenda il pieno significato dei termini e il loro retroterra culturale.

    • Luca Lovisolo says:

      Grazie Silvia!

  2. Fausto says:

    Salve Luca,

    Nel caso di «fallito (failed)» non credo che la soluzione bilingue aiuti a comprendere il significato di fallire e failed nei sensi rispettivamente di «non riuscire nel proprio intento» (Garzanti) e «The action or state of not functioning» (Oxford). Per me funzionerebbe meglio una perifrasi per spiegare meglio il concetto, ma che ovviamente resterebbe al «buon cuore» del redattore o del traduttore. Quanto a rational choice, un’alternativa a lasciarlo in inglese per indicarlo come teoria analitica potrebbe essere di usare le iniziali maiuscole. La terminologia inglese rischia infatti di confondersi, nonostante la diversa motivazione, con quella valanga di espressioni inglesi che negli ultimi anni hanno letteralmente invaso i media e le menti italiane e che, secondo me, rispecchia lo scarso amor proprio degli italiani (ma per parlare di questo ci vorrebbe un articolo a parte).

    Cordiali saluti

    • Luca Lovisolo says:

      Buongiorno Fausto, condivido le Sue considerazioni. Se c’è modo e spazio per farlo, la perifrasi funziona. Molto dipende dal tipo di lettori al quale ci si indirizza. Anche l’uso delle iniziali maiuscole aiuta effettivamente a comprendere che non ci si trova di fronte a un’espressione qualunque. In questo articolo ho usato le maiuscole negli titoli ma le minuscole nel testo, per non appesantire, ma l’uso accorto delle iniziali può essere davvero un modo per guidare il lettore. Cordiali saluti. LL

  3. Kristina says:

    Grazie Luca, lettura come sempre molto interessante.

    • Luca Lovisolo says:

      Grazie Kristina.

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Con le mie analisi e i miei corsi accompagno a comprendere l'attualità globale chi vive e lavora in contesti internazionali.

Tengo corsi di traduzione giuridica rivolti a chi traduce, da o verso la lingua italiana, i testi legali utilizzati nelle relazioni internazionali fra persone, imprese e organi di giustizia.

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