Due termini che sembrano sinonimi: nel tradurre per l’Italia un contratto di questo tipo, è importante analizzare la situazione e definire correttamente la tipologia a cui appartiene. Le differenze non sono solo formali. Anche il termine «recesso» acquista un senso diverso, se applicato a una vendita o a una fornitura. Non tutti gli ordinamenti contemplano questa classificazione.
E’ piuttosto frequente, nella revisione di traduzioni, imbattersi nella confusione tra vendita e fornitura. L’errore è facilitato dal fatto che non tutti gli ordinamenti riconoscono questa differenza: nel tradurre per l’Italia, perciò, è necessario analizzare il testo e scegliere il termine con cognizione di causa.
Chiariamo innanzitutto il significato delle due espressioni, secondo il Codice civile italiano. Contratto di vendita è il contratto che «ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo» (art. 1470 CC Italia). La vendita, perciò, s’intende compiuta in un unico contesto, anche se diluito nel tempo (la consegna in più fasi successive di una macchina utensile, ad esempio).
Può trattarsi sia di vendita a effetti traslativi, se la cosa oggetto della compravendita è determinata e presente (ad esempio, l’acquisto di una specifica auto usata), oppure di una vendita a effetti obbligatori, se la cosa è indeterminata o futura (ad esempio, l’acquisto di una quantità generica di verdura o di un oggetto ancora da costruire).
Ben diverso è, per il Codice civile italiano, il concetto di fornitura: questo termine, infatti, si riferisce al cosiddetto contratto di somministrazione, «con il quale una parte si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore dell’altra, prestazioni periodiche o continuative di cose» (Art. 1559 CC Italia). Il termine fornitura ha soppiantato l’obsoleto somministrazione, sia nel linguaggio comune sia in quello giuridico, ma la tipologia di contratto e la sua denominazione originale nel Codice resta invariata.
Ben si vede che il contratto di fornitura ha per oggetto una «prestazione periodica.» A differenza della vendita, perciò, la fornitura non si svolge in un unico contesto, ma in modo continuativo: mezzo chilo di pane ogni giorno, mille litri di gasolio ogni anno, e così via. In conseguenza, la fornitura può avere solo le caratteristiche della vendita obbligatoria.
Le differenze tra i due contratti sono tutt’altro che formali. Mentre la vendita avviene in un contesto istantaneo (non nel senso che la vendita avviene in breve tempo, ma nel senso che il tempo non vi ha effetti costitutivi), la fornitura può avvenire a tempo determinato o indeterminato (mezzo chilo di pane ogni giorno per sei mesi, o, rispettivamente, mezzo chilo di pane ogni giorno sino a recesso).
Il termine recesso acquista un senso molto diverso, a dipendenza che sia applicato a una fattispecie di vendita o di fornitura. Se nel contratto di vendita il recesso deve avvenire «prima che il contratto abbia un inizio di esecuzione,» nel contratto di fornitura a tempo indeterminato il recesso è possibile anche dopo l’inizio dell’esecuzione – anzi, il contratto di fornitura a tempo indeterminato deve contenere la possibilità di recesso, poiché, in caso contrario, darebbe vita a un’obbligazione non determinata.
Non propriamente adeguato, anche se molto diffuso, l’uso del termine revoca («mezzo chilo di pane ogni giorno sino a revoca»). La revoca, di rigore, si riferisce alla proposta contrattuale, non a un contratto già in corso di esecuzione. Tuttavia, l’uso ha fatto sì che questa formulazione sia ormai diffusissima e accettata.
Altra importante differenza concerne le conseguenze della risoluzione. Nel contratto di vendita, ha effetto retroattivo (si ritorna, perciò, allo status quo ante la conclusione del contratto). Nella fornitura, invece, l’effetto retroattivo manca. In caso di risoluzione, le presentazioni eseguite sino a quel momento devono essere di principio accettate e pagate.
Per questi motivi, nel tradurre verso l’Italiano per l’Italia un contratto di queste specie, è molto importante analizzare i patti fra le parti e definire correttamente la relazione che si costituisce tra di esse. Bisogna anche ricordare che non tutti gli ordinamenti in altre lingue prevedono questa distinzione. Se necessaria, la differenza dev’essere introdotta in sede di traduzione.
La conseguenza di un’errata classificazione non è solo una dimostrazione di scarsa professionalità del traduttore (un lettore esperto riconosce immediatamente l’errore), ma anche la possibilità che la relazione contrattuale venga male interpretata dalle parti, che possono fraintendere i loro diritti e obblighi.
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(Articolo pubblicato in originale il 15.10.2013, ripubblicato con aggiornamenti il 24.6.2019)
Sergio Sella ha detto:
Nel caso di fornitura e messa in opera di materiali per allestimento di uno stand fieristico, i materiali si intendono venduti o l’allestitore può sostenere di averli solo noleggiati e pretendere di ottenerli in restituzione a fine fiera? Grazie e cordiali saluti
Sergio Sella
Luca Lovisolo ha detto:
Buongiorno, non è questo il luogo per richiedere consulenze legali individuali. Posso dirle, in breve, che esistono entrambe le possibilità, a dipendenza del tipo di contratto che ha concluso con l’allestitore. Per tutto il resto, posso solo suggerirle di rivolgersi al Suo legale di fiducia. Cordiali saluti. LL
Dario ha detto:
Egregio sig. Lovisolo, E’ possibile sapere se la differenza tra i due tipi di contratto disciplinati dal CC italiano sussiste anche per quelli disciplinati dal Codice delle Obbligazioni Svizzero? Grazie, Dario.
Luca Lovisolo ha detto:
Buongiorno, no, la distinzione non esiste. Sempre premettendo che bisogna valutare ogni singolo caso, in Svizzera le vendite continuative si possono disciplinare con il normale contratto di compravendita ex art. 184 CO. Vanno tenute presenti varie distinzioni, soprattutto in merito al passaggio di proprietà. Nel diritto svizzero, a differenza di quello italiano, la proprietà sulla cosa compravenduta passa al compratore sempre solo al momento della consegna: non esiste l’effetto dichiarativo tipico della compravendita italiana (almeno quella a effetti traslativi, appunto), con cui la proprietà si trasferisce all’atto del consenso.
In Svizzera, tutte le compravendite, anche quelle istantanee, producono effetto obbligatorio in capo al venditore di consegnare la cosa, pena l’inefficacia del negozio giuridico sul passaggio di proprietà. Ciò rende superfluo, da un certo punto di vista, distinguere tra vendita e fornitura al consumo. In Italia la distinzione è necessaria, poiché la prima produce effetto traslativo, la seconda effetto obbligatorio a consegnare: pospone così il passaggio della proprietà al momento delle singole consegne della cose pattuite, nell’arco di tempo stabilito. Inoltre, anche la regolamentazione del recesso, in caso di contratto di compravendita ex art. 184 CO stipulato in forma continuativa e a tempo indeterminato, si adegua: in un tal caso, il recesso è possibile in ogni tempo e senza effetto retroattivo, come in Italia. Forse per questi motivi, il legislatore svizzero non ha sentito il bisogno di prevedere una tipologia di contratto specifica, per le vendite continuative. Cordiali saluti. LL
Michael Siebel ha detto:
Nelle 4 lingue che utilizzo io per le traduzioni i due termini vendita-fornitura sono identificati separatamente: tedesco: Verkauf-Lieferung, inglese: sales-delivery, francese: vente-fourniture.
Luca Lovisolo ha detto:
Buongiorno Michael,
Grazie per questo commento, che permette di chiarire ulteriori equivoci. Non bisogna farsi ingannare dalle parole: sebbene nel linguaggio comune i termini Lieferung, delivery e fourniture significhino (anche) fornitura, in ambito contrattualistico non hanno nulla a che vedere con il «contratto di fornitura» (già «di somministrazione») ex art. 1559 CC IT. Vi sono dei Liefervertrag, dei delivery contract e dei contrat de fourniture che sono dei normali contratti di vendita istantanea (nel senso dell’aggettivo «istantaneo» spiegato sopra): non sono contratti di vendita continuativa. Vanno perciò tradotti con contratto di vendita. Nasce proprio così il frequentissimo errore di tradurli invece con contratto di fornitura, perché si resta troppo attaccati al testo in lingua straniera. Il termine fornitura, infatti, in Italia presuppone una continuità della prestazione.
Nei casi più comuni, i termini Lieferung, delivery e fourniture non indicano una vendita continuativa ma la fornitura in senso non tecnico-giuridico («una fornitura di gasolio,» detto fuori da un contesto contrattuale). In altri casi indicano il momento della consegna (cioè il passaggio del solo possesso, che può avvenire anche nel contesto di una locazione, non solo di una vendita, si veda il caso francese). In altri casi ancora indicano la resa (da leggere non nel senso comune di restituzione, ma nell’accezione giuridica di «consegna su un certo luogo in una certa modalità»). Sarebbe bello e comodo poter stabilire delle corrispondenze esatte tra le diverse lingue, ma non è possibile.
L’unico modo per sapere quando si deve tradurre «contratto di fornitura» e quando «contratto di vendita» è analizzare con cura il rapporto giuridico sottostante, senza legarsi alle parole. Nulla vieta di scrivere Liefervertrag in tedesco, delivery contract in inglese o contrat de fourniture in francese. Si tratta di contratti atipici, non previsti dagli ordinamenti dei rispettivi Paesi, perciò ognuno dà loro il nome che preferisce. L’errore che non dobbiamo commettere è tradurli con contratto di fornitura, perché li si riporterebbe a una tipologia precisa.
A meno che, naturalmente, dietro a quelle definizioni non vi sia effettivamente una vendita continuativa (ad esempio: fornitura di energia elettrica). In questo caso, la traduzione è corretta. Nel caso contrario si fornirebbe al lettore un’informazione errata, poiché si tratta di normali contratti di vendita, in alcuni casi persino di contratti d’appalto o d’opera. Cordiali saluti.