Si è tenuta ieri, 4 febbraio 2015, al Centro scolastico Canavée di Mendrisio, una conferenza sul conflitto in Ucraina, all’interno della serie di incontri «Circolando il mondo.» Ne sono stati relatori Anna Zafesova, giornalista del quotidiano italiano La Stampa, specializzata nel mondo russo ed ex sovietico, e Pierre Ograbek, inviato del Corriere del Ticino che ha seguito lo svolgersi degli eventi ucraini.
E’ un bene che, sulla situazione ucraina, vi siano occasioni di approfondimento. Il conflitto, le sue ragioni e le conseguenze che comporta sono largamente sconosciuti, al di là delle notizie che si leggono sui quotidiani. Intorno al conflitto, poi, si sviluppa una messe di notizie inesatte o apertamente falsificate, particolarmente sulle reti sociali, condizionate da prese di parte politiche e ideologiche.
La serata ha dimostrato ulteriormente le difficoltà degli operatori dei media, anche i più qualificati, nel trattare l’argomento con la necessaria completezza. Sul profilo professionale dei due relatori non vi sono dubbi. Da parte degli organizzatori non vi era certo l’intenzione di convocare una lezione di diritto e relazioni internazionali, ma di offrire alla cittadinanza alcune informazioni in più sulle tragiche vicende che si stanno svolgendo al confine orientale dell’Europa.
La conferenza, però, è sembrata manchevole proprio di una visione ragionata dei fatti, che non è possibile se non applicando un’adeguata sensibilità e metodica nella lettura degli eventi internazionali. Su questo, i due relatori, pur qualificati, si sono trovati, purtroppo, in visibile difficoltà, limitandosi a un excursus storico dei fatti, sufficientemente completo, ma che non ha trovato quei solidi punti di riferimento interpretativi che permettessero ai presenti di comprendere la logica che sottende agli eventi, andando oltre la loro scansione temporale.
Questa debolezza ha dato la stura a rumorosi interventi da parte di cittadine e cittadini in sala, alcuni dei quali ucraini provenienti dalle regioni interessate dal conflitto e residenti in Ticino. Alle persone che vivono sulla propria pelle un conflitto armato è dovuto rispetto, a prescindere dalla loro opinione in merito, poiché vedono cadere, sotto i colpi delle artiglierie, le loro case e i loro cari. Ieri sera, tuttavia, gli interventi di questi partecipanti hanno spesso indulto in toni esacerbati ed espressioni esorbitanti, come l’accusa di «fascisti» rivolta ai giornalisti in sala, «colpo di Stato» e altre pesanti espressioni utilizzate senza visibilmente conoscerne con precisione il significato. A una cittadina ucraina presente in sala è stata data la parola per consentirle un più esteso intervento, a suo dire, chiarificatore. Le è stata tolta però pochi istanti dopo, per i suoi inaccettabili eccessi verbali e per l’incapacità di indicare le fonti delle informazioni che intendeva comunicare ai presenti.
Altri interventi hanno riguardato la situazione della Crimea. A questi, i relatori non hanno sempre dato risposte convincenti, che pur vi sarebbero state. Il clima creatosi in sala si era fatto certamente difficile, ma da due professionisti di tale profilo ci si sarebbe attesi il polso per gestire una serata così delicata e, ancor di più, la prontezza di rispondere, anche con basilari argomenti giuridici e tecnici, alle obiezioni meramente ideologiche provenienti da alcuni presenti, che non sarebbe stato difficile contraddire con poche parole, per riportare il dibattito su binari più costruttivi.
Nonostante ciò, la serata non è stata un’occasione perduta. Ha dimostrato ancora una volta che le persone direttamente coinvolte in uno scontro armato, come quelle presenti fra il pubblico, non sono necessariamente in grado di darne le interpretazioni più convincenti. L’incontro è servito anche a ripercorrere nei suoi contorni il conflitto ucraino dagli inizi e, proprio nel suo un po’ tumultuoso andamento, ha confermato non solo le divisioni che il conflitto stesso sta causando, ma anche lo spiacevole, bassissimo grado di informazione, condizionato da propaganda e ideologia, che sembra regnare intorno a questa gravissima situazione prodottasi assai meno lontano da casa nostra di quanto solitamente pensiamo.