Evgenij Prigožin, la Russia e l’Africa: dopo il fallito golpe passano due mesi, prima che il regime elimini il capo della Wagner. Non è facile per Putin sostituire lui e la milizia. Il coinvolgimento di Prigožin in Africa anche sul piano dei media e della propaganda. I colpi di Stato africani e la ripresa del controllo russo sul continente. Lo scontro fra Prigožin e Putin non è la lotta di un buono contro un cattivo.
Non avremo mai dichiarazioni ufficiali e prove dirette che spieghino il disastro aviatorio in cui sono periti Evgenij Prigožin e Dmitrij Utkin, rispettivamente proprietario e comandante operativo della milizia privata russa Wagner. Gli indizi, però, sono molteplici, univoci e convergenti. L’aereo su cui si trovavano i due dirigenti è stato abbattuto, non si sa ancora come. C’è chi ipotizza colpi di antiaerea, ma la teoria più ricorrente è che sia avvenuta un’esplosione all’interno. Testimoni avrebbero visto caricare sull’aereo casse di vino, all’ultimo momento, dichiarate come regalo a Prigožin, forse contenenti un ordigno. Altri parlano di visitatori saliti sul velivolo prima della partenza.
La milizia Wagner è stata protagonista del più serio tentativo di rovesciamento del regime di Vladimir Putin nella sua esistenza più che ventennale. La scomparsa di Prigožin e Utkin in un sol colpo elimina il principale cospiratore antiregime e immobilizza la milizia Wagner. Poco dopo il fatto, Putin è comparso durante una manifestazione ufficiale più baldanzoso che mai. Non lo si vedeva così lanciato da un anno e mezzo a questa parte. Non ha fatto riferimenti diretti all’evento, ma ha tenuto un discorsetto sulla fedeltà alla patria che lasciava pochi dubbi che fosse riferito proprio all’abbattimento di Prigožin.
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Prigožin in Africa per la Russia: perché due mesi dal fallito golpe
Ci si può chiedere a buona ragione perché il regime abbia atteso due mesi, per eliminare colui che con il fallito golpe ha tradito così platealmente la fiducia di Putin e lo ha messo quasi in ridicolo, quando, il 24 giugno, un convoglio di miliziani della Wagner è giunto alle soglie di Mosca senza che l’esercito russo riuscisse a fermarlo. La ragione non va cercata nella guerra in Ucraina, ma piuttosto in Africa e oltre il solo fatto militare.
Evgenij Prigožin, nel suo, era un uomo capace. Aveva costruito un impero che si estendeva dalla ristorazione ai media, sino alla milizia Wagner. Lo aveva fatto con l’appoggio di Putin e del regime: ciò ridimensiona in parte la considerazione per le sue abilità di imprenditore, ma non pregiudica quella per il suo talento organizzativo. Sarebbe esagerato dire che le sue uscite più recenti lo avessero reso quasi simpatico. Con il progressivo arenarsi dell’avanzata russa in Ucraina, però, in particolare con la battaglia di Bachmut, Prigožin era diventato per tutti gli analisti una singolare bocca della verità.
La guerra va male per la Russia e lui lo diceva. A differenza del Ministro della difesa, Sergej Šoigu, e del Capo di stato maggiore, Valerij Gerasimov, che dirigono la guerra dai ministeri nelle loro divise senza una piega, Prigožin si faceva riprendere sempre in zona operazioni. In tuta mimetica spiegazzata o in uniforme da combattimento, gravato di armi, ricetrasmittente e, nell’ultimo video postato dall’Africa, col capo coperto da un cappellaccio in stile coloniale: «Stiamo lavorando! – dice fieramente nel video – Temperatura: 50 gradi sopra lo zero, proprio come piace a noi. La milizia Wagner sta facendo ricognizione. Facciamo la Russia ancora più grande, su tutti i continenti.»
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Dalle urla contro i funzionari della Difesa alle attività in Africa
Per sbraitare in linguaggio colorito contro i dirigenti dell’esercito di Stato che negavano armi e sostegno alla sua milizia ci voleva del coraggio. Prigožin lo aveva, e ciò gli ha guadagnato il rispetto dei suoi uomini. Dal giorno della sua scomparsa, i militi della Wagner e semplici cittadini lo piangono con toni tra il bellicoso e il filiale.
Sino al fallito golpe di giugno, Prigožin e la milizia Wagner, in Africa, erano la chiave di controllo della Russia in un numero crescente di situazioni. Entravano in contatto con i dirigenti locali svolgendo servizi di sorveglianza a miniere e altre strutture nevralgiche dei deboli Stati africani, talvolta in regioni in cui l’esercito e la polizia locali non mettono neppur piede. La milizia Wagner divideva con i caporioni africani i proventi dello sfruttamento delle risorse naturali. Si finanziava così, pesando il meno possibile sullo Stato russo. Della Russia, però, tutelava gli interessi e garantiva l’influenza in Africa.
A intralciare la Wagner c’erano le truppe francesi, le altre missioni internazionali e quelle dell’ONU. Erano state chiamate dai governi africani per sostenere i loro deboli eserciti nella lotta contro il terrorismo. Con una serie di colpi di Stato negli anni recenti, dal Mali al Burkina Faso, qualche settimana fa in Niger, i governi che avevano buone relazioni con la Francia e con l’Occidente sono stati ribaltati e sostituiti da giunte militari. Queste, come prima mossa, hanno ripreso i contatti con Mosca sospesi dai tempi dell’Unione sovietica o hanno chiesto esplicitamente che la milizia Wagner sostituisca le truppe occidentali e quelle dell’ONU.
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Prigožin, Africa e Russia prima del fallito golpe: non solo Wagner
Diretta da una martellante campagna di propaganda sui media, la stessa popolazione africana che pochi anni prima aveva acclamato le truppe occidentali come liberatrici dal terrorismo è scesa improvvisamente in piazza a sostegno dei generali golpisti, sventolando bandiere russe. La democrazia già fragile di quei Paesi è sospesa e la Russia estende così il suo scacchiere di controllo sull’Africa.
La milizia Wagner era tutto, in questo progetto. Era operativa da tempo in diversi ruoli anche in Libia, Repubblica centrafricana, Sudan; poi in Medioriente, dallo Yemen alla Siria; in modo meno evidente anche in America latina e in Asia. L’altro capitolo riguarda le società Internet di Prigožin, che pilotavano la propaganda filorussa nel mondo. Erano e restano un ganglio vitale dell’influenza di Mosca. Non sono estranee nemmeno alle sorprendenti inversioni dell’opinione pubblica in Africa a favore del Cremlino.
Questo insieme di legami militari, economici e mediatici dava a Prigožin una forza contrattuale enorme, nei confronti di Putin. Se Prigožin fosse stato eliminato subito dopo il 24 giugno, l’apparato russo in Africa si sarebbe fermato, e non solo quello. Putin aveva bisogno di tempo: sulle prime, per rimpiazzare la Wagner, servivano almeno 20’000 uomini, non si trovano dall’oggi al domani.
Oggi sappiamo che Putin stava sostituendo la Wagner in Africa con altre due milizie, la Konvoj e la Redut, così vicine al Ministero della difesa che sarebbe persino inadeguato definirle società private, secondo il canale d’informazione Važnie Istorii. La milizia Redut, in particolare, aveva cominciato da settimane ad arruolare mercenari per l’Africa, definendosi come nuovo riferimento per chi voleva combattere nei deserti del continente. Prigožin aveva reagito molto male a questo progetto. Il viaggio in Africa dei giorni precedenti la sua morte era un tentativo di mostrarsi sul pezzo, a fianco dei suoi uomini, per evitare di essere estromesso.
I funerali e il culto dell’eroe, ma non è una lotta tra bene e male
Evgenij Prigožin è stato sepolto il 29 agosto a San Pietroburgo, le esequie sono avvenute in forma privata. Astute misure di depistaggio hanno disorientato i molti russi che vedevano in lui un eroe e stanno erigendo a sua memoria, qua e là in Russia, dei memoriali coperti di fiori e bandiere.
Per quanto riguarda noi, è spiacevole ripetersi, ma a volte serve. Come avevo già ricordato nell’analisi del fallito golpe di giugno, non dobbiamo fare l’errore di credere che lo scontro fra Prigožin e Putin sia la lotta di un buono contro un cattivo. Putin e Prigožin sono due facce della stessa medaglia. Due capi con i loro rispettivi gruppi di potere, ciascuno insediato all’interno dello Stato russo, o di quel che ne resta, di fronte al disastro economico e militare che si aggrava ogni giorno. La controffensiva ucraina, pur lenta e difficile, avanza; il rublo è ormai stabilmente oltre quota cento, contro l’euro.
La morte di Prigožin e di Utkin, con la quasi certa fine della milizia Wagner, influiranno poco sulla guerra in Ucraina. La Wagner se ne era già distanziata. È possibile che i militi della Wagner tentino qualche vendetta contro il regime. Putin sa che una rivolta senza capi non fa strada. I due uomini che avevano il comando concreto sulla milizia sono morti. L’ardore bellicoso dei miliziani, a due mesi dal fallito golpe, sembra raffreddarsi, in assenza di guide carismatiche.
Prigožin, fallito golpe e debolezze: Putin in Russia e Russia in Africa
La morte violenta di Prigožin conferma la debolezza di Putin. Il presidente russo sta tentando di riportare sotto il suo scettro la parte di Stato che il 24 giugno si è mostrata fuori controllo. Vi è riuscito, in certa misura, ma sulla situazione reale dell’apparato russo restano molte incognite. Nello stesso contesto si deve inserire la destituzione del generale Sergej Surovikin. Scomparso dalla vita pubblica russa dal giorno del fallito golpe, era un uomo di rilievo nelle forze armate russe e amico di Prigožin. Si aggiungono decine di militari e dissidenti condannati o rimossi, negli ultimi due mesi.
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Con questi colpi di falce, Putin rischia di cadere in una spirale di violenza vendicativa che accresce le diffidenze anche presso gli uomini a lui più fedeli. Un’altra incognita è la traccia che la fine di Prigožin lascerà nell’opinione pubblica russa. I russi, inebriati dalla propaganda, forse non sono in grado di inquadrare esattamente chi fosse, il capo della milizia Wagner, ma non hanno reagito con indifferenza alla sua morte, come forse Putin si aspettava.
Negli stessi giorni della morte di Prigožin, in Sud Africa, si teneva il vertice dei Paesi emergenti BRICS. La Russia ne è un elemento centrale. Con il caso Prigožin, il regime russo mostra ai suoi alleati e a noi occidentali di cosa è capace. Chi, in Europa, si augura che l’Ucraina perda la guerra e la Russia avanzi, ne prenda nota.