Massimo aveva vent’anni, quando lo conobbi, all’organo della chiesa dei salesiani alla Crocetta, a Torino, io sedici. Una figura sottile, giacca, cravatta e paltò blu scuro, un abbigliamento insolitamente tradizionale per la sua età. Si vedeva che sarebbe diventato qualcuno. Doveva ancora diplomarsi, ma insegnava già ad allievi con più anni di lui. Eravamo il gruppetto dei ragazzi appassionati d’organo, che si riuniva spontaneamente sempre agli stessi appuntamenti. Lui diventò in fretta uno dei più noti organisti concertisti d’Italia, non sconosciuto all’estero. Io, dopo qualche anno, cambiai strada, gli studi e il lavoro mi allontanarono da Torino e da quelle passioni. Non ci rivedemmo più.
Un SMS di mia madre mi coglie sull’autobus a Lugano, nella fretta quotidiana: «E’ mancato Nosetti.» Il mondo intorno si ferma all’improvviso e la mente balza indietro di trent’anni, in un’altra città, in un’altra vita. Io sono qui a ricordare quegli anni torinesi irripetibili, lui non c’è più. Quando finisci di suonare, all’organo, spegni il motore, lentamente il mantice si sgonfia ed esala l’ultimo respiro. Addio, Massimo.