Italia-Russia: perché la Penisola è così filorussa e agli italiani interessa tanto compiacere il Cremlino? Molti sostengono Mosca in modo totale e urlato, mentre disprezzano apertamente l’Occidente. L’Italia, per la Russia, è un terreno ideale di conquista. Quali sono le categorie di persone pronte a mettere in gioco la posizione raggiunta dall’Italia in Occidente, pur di essere fedeli a Mosca.
Tra le domande più frequenti che giungono sulla crescente influenza della Russia in Italia e sul perché della tendenza filorussa della Penisola, vi è questa: perché agli italiani – cittadini, partiti politici, imprese – interessa così tanto compiacere un Paese come la Russia?
Vi sono ragioni storiche e culturali molto antiche e una certa affinità fra l’indole italiana, particolarmente quella meridionale, e taluni tratti della mentalità russa. Qui, però, mi concentro su aspetti di storia recente. Vi sono tanti italiani disposti a mettere in gioco l’agio raggiunto dal loro Paese nel mondo occidentale e nell’Alleanza atlantica, pur di mostrarsi fedeli a Mosca. Un’intera macchina mediatica persegue ostinatamente l’obiettivo di un’Italia filorussa.
1. I CITTADINI
Presso una larga parte di cittadinanza più semplice, Russia significa tutt’oggi Unione sovietica e, soprattutto, comunismo. In Rete vi sono molti profili di giornalisti e altre categorie di cittadini italiani filorussi, ma anche di russi trasferiti in Italia. Seguire questi profili e analizzare i commenti lasciati dai lettori permette di capire che tanti, tantissimi italiani vedono ancora nell’Unione sovietica e nella società socialista un modello da replicare.
Vi guardano con nostalgia, sebbene non vi abbiano mai vissuto. Non è un metodo scientifico, ma se nelle relazioni tra Italia e Russia si cerca il perché di questa piega filorussa, leggere tali commenti è illuminante. Mette in luce una folta rappresentanza di italiani che hanno della Russia un’immagine idealizzata, filtrata dal loro credo politico e da qualche giornale di propaganda.
Il loro livello d’istruzione è basso, lo si vede da come scrivono e argomentano, ma fanno massa. Tanti mostrano di non conoscere i principali fatti che hanno causato la caduta dell’Unione sovietica; ignorano dati essenziali di Storia, rilanciano come verità assolute argomentazioni complottiste che si possono smontare leggendo qualunque manuale scolastico.
Chiunque tenti di indurre questi commentatori a un ragionamento fondato deve prendere atto che è impossibile. La loro difesa della Russia è totale, acritica e urlata, come il loro disprezzo per l’Occidente e gli Stati uniti. Compare, così, il pendant alla nostalgia per l’Unione sovietica: l’antiamericanismo.
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L’incapacità di analisi impedisce a questi nostalgici di intendere che la Russia di Putin ha abbandonato il corso comunista. Oggi agisce secondo una linea nazionalista, seguendo il predicato di politologi che sviluppano una narrazione dai tratti propri, che contiene elementi di diverse dottrine politiche classiche.
Italia-Russia: l’altra categoria filorussa, antiamericana a modo suo
Ciò riscalda gli animi di un’altra categoria di italiani sostenitori di Mosca: coloro che si riconoscono nei movimenti nazionalisti e di estrema destra. Disinteressati al passato comunista e antiamericani a modo loro, sono affascinati dai toni sciovinisti e autoritari del regime di Putin, perché, a loro dire, la relazione Italia-Russia e una Penisola filorussa sono il cavallo di Troia per scardinare l’Unione europea. Ciò restituirebbe sovranità agli Stati nazionali. Non si rendono conto che un’Italia fuori dall’Unione europea non guadagnerebbe alcuna sovranità. Finirebbe, appunto, all’ombra del Cremlino, ma proprio questo è l’obiettivo da raggiungere, per questa categoria di adulatori di Mosca.
Guarda con attenzione alla Russia, infine, il mondo cattolico italiano più conservatore, numericamente molto rilevante. Per quel mondo l’Italia filorussa è garanzia di moralità, perché la Russia resta un baluardo a difesa della famiglia tradizionale, anche nella divisione di ruoli fra uomo e donna.
I cattolici dimenticano che nel passato sovietico la donna si emancipò molto prima che in Occidente. Nella Russia di oggi, però, la diversità dei ruoli nella famiglia è rimasta più evidente. Inoltre, alcuni tratti dello stile educativo russo corrispondono assai bene all’idea cattolica di famiglia. Infine, la chiusura del regime russo verso l’omosessualità e la comunità LGBT suscita le simpatie di molti italiani ed europei delle correnti religiose più conservatrici.
La ripresa della guerra in Ucraina nel febbraio 2022 ha rivelato che anche le parti più progressiste del cattolicesimo, quelle che si riconoscono nel messaggio di Papa Francesco, sono pronte a sostenere le ragioni del regime russo, attratte dal suo carattere populista e antioccidentale.
2. GLI IMPRENDITORI
Non parlo delle sanzioni economiche, poiché l’ho già fatto altrove (>qui). L’interesse degli imprenditori italiani verso la Russia va oltre il pur importante aspetto monetario. Le imprese italiane, fatte poche eccezioni, faticano a imporsi nei Paesi a economia matura, come gli Stati uniti o Paesi europei come la Germania o il Regno unito.
Non hanno una cultura moderna di mercato, non sanno usare gli strumenti del marketing, particolarmente i più recenti. Non sono abituate a pensare in termini schiettamente mercantili. Gli imprenditori italiani, per vendere, hanno bisogno di quel «capitalismo di relazione» che contraddistingue il loro Paese. Un mondo in cui prodotti e servizi non vengono proposti, scelti e comprati sulla base di principi di mercato, ma attraverso reti di relazioni personali. In alternativa, si buttano sugli affari assicurati da saldi legami con la politica.
Nella Russia di oggi gli imprenditori italiani trovano lo stesso ambiente di lavoro, fatto di connessioni personali e continuità fra impresa e politica, moltiplicato per gli undici fusi orari del territorio russo. D’altra parte, è nota la passione dei russi verso i sapori, i beni di lusso e lo stile di vita italiani.
Sin dagli anni Novanta, oligarchi russi dalle disponibilità economiche pressoché illimitate e salde relazioni con gli uffici governativi più influenti sono i partner ideali delle imprese italiane in Russia. Vi trovano fortuna anche tante piccole e medie imprese, che si affidano a intermediari dai pochi scrupoli.
Italia-Russia: perché l’economia filorussa fa affari all’incontrario
Non hanno bisogno di andare in Russia a cercare mercato e clienti, come dovrebbero fare per entrare in Germania o negli USA. Sono i russi che arrivano, propongono affari, comprano e pagano. Senza farsi troppe domande, gli imprenditori italiani si sono rallegrati di veder crescere il loro export verso Mosca talvolta fino al 100% della loro cifra d’affari complessiva, ignari delle più elementari cautele.
Per questi motivi, nelle organizzazioni industriali e imprenditoriali italiane la Russia troverà sempre alleati di ferro. Non solo per i fatturati, ma anche per la strettissima affinità tra le due culture d’impresa, se le si può chiamare così. Conta che il denaro in cassa tintinni sempre. Le riserve politiche, la questione ucraina, i rischi per il proprio Paese e per l’Europa non importano.
Quanti imprenditori d’Italia ho sentito, intervistati sull’attualità interna russa, dimostrare la più totale disinformazione. Non riuscivano ad aprir bocca, benché il mercato russo rappresentasse una parte cospicua dei loro guadagni. La relazione tra la Russia e un’Italia filorussa è per loro garanzia sufficiente.
Di fronte alle sanzioni economiche contro la Russia per i fatti d’Ucraina, altri Paesi sono stati più pronti ad affrontare il nuovo scenario. Le imprese italiane hanno iniziato tardi a differenziare i loro mercati, costrette dalle circostanze. Si spera che abbiano imparato la lezione, ma il loro obiettivo resta riconquistare i favori dei russi, così vicini per mentalità e modo di operare.
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3. I POLITICI
Per attuare il suo progetto di egemonia, la Russia ha cercato l’appoggio di politici occidentali dai profili personali piuttosto simili tra loro. Scarsa esperienza di governo, pur se alcuni sono presenti da tempo sullo scenario dei loro Paesi. Posizioni antieuropee e generalmente «antisistema» in ogni modo possibile, sotto forma di rivolta populista contro le élite o di separatismo regionale. Acceso nazionalismo, livello di istruzione personale basso o molto basso, per essere facilmente pilotabili. Partiti e movimenti che aspirano a crescere, perché appena nati o poco significativi.
La distinzione tra destra e sinistra è, per il Cremlino, priva di importanza: conta il contenuto di ribellione allo status quo e la capacità di minare l’unità europea. Mosca ha messo a disposizione di questi movimenti relazioni e know-how politico. Nel caso di un noto partito francese è stato possibile dimostrare anche un cospicuo flusso di denaro. Per altre formazioni politiche europee i sospetti di finanziamento illecito dalla Russia sono molto consolidati.
Nell’Italia di oggi, Mosca può contare sull’unico Paese occidentale con non uno, ma ben due partiti che assicurano esplicita fedeltà agli interessi russi. Caso unico in Occidente, nel 2018/19 tali partiti hanno costituito una maggioranza di governo e conservano ruoli di rilievo sino a oggi. Altri partiti sono meno esposti, ma non nascondono le loro inclinazioni verso Mosca.
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Molti governanti protagonisti di questa stagione italiana hanno costruito sull’orientamento filorusso anche le loro carriere personali, oltre che le loro formazioni politiche. Hanno attratto così i voti delle categorie di cui si è detto ai punti 1. e 2. Sarebbe difficile immaginare un’ascesa così abbagliante, per taluni uomini e partiti politici, senza la narrazione filorussa.
4. I GIORNALISTI
Deceduti i grandi nomi del giornalismo italiano del Dopoguerra, nati anagraficamente nel primo terzo del Novecento, da fine secolo i media italiani si sono riempiti di una pletora di operatori la cui qualità non è neppur avvicinabile a quella dei loro augusti predecessori. Una ressa vociante e ambiziosa, rigidamente organizzata secondo la fedeltà ai partiti, alla Chiesa e a vari gruppi d’interesse.
La caduta del Muro di Berlino, prima, e la fine della stagione di Silvio Berlusconi, poi, hanno lasciato sul terreno le spoglie di innumerevoli giornalisti non in grado di reimpiegarsi in un mondo in cui avevano perso narrazioni e circoli sociali di riferimento.
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L’avvento di Putin e poi la guerra in Ucraina hanno riprofilato la Russia come attore internazionale divisivo, in cerca di comunicatori che diffondessero in Occidente la sua visione del mondo. Mosca, così, ha ridato speranza a un’intera generazione di giornalisti rimasti orfani delle contrapposizioni della Guerra fredda e della «prima Repubblica.»
Italia-Russia e stampa filorussa: perché l’orientamento politico non conta
Tra i giornalisti italiani sostenitori del Cremlino si trovano individui dagli orientamenti più diversi, ancora una volta la distinzione ideologica non rileva. Hanno ritrovato un totem a cui asservirsi: ciò che importa è la possibilità di tornare protagonisti – in una parola, di lavorare. La rete di media russi e filorussi, in Italia e nel mondo, offre opportunità di lavoro e contatti, genera pubblico tra i cittadini di cui al punto 1. e trova inserzionisti fra gli imprenditori di cui al punto 2.
Compito di questi giornalisti è spezzare la narrazione secondo cui l’Occidente è un luogo di libertà e benessere, per sostituirla con gli stessi Leitmotiv che imperano nei media russi. L’Occidente è decaduto e corrotto, la Russia è faro di civiltà e baluardo di valori per il resto d’Europa e del mondo; non l’Unione europea e l’alleanza con gli Stati uniti, ma il legame con la Russia, è il solo in grado di garantire un futuro radioso ai popoli d’Europa, da Lisbona a Vladivostok.
L’ordine internazionale nato dopo la Seconda guerra mondiale deve essere superato e il diritto internazionale, codificato nel Dopoguerra per prevenire nuovi conflitti, «è un bluff.» Non è una citazione a caso. L’ho sentito dire con le mie orecchie dal direttore di quella che vorrebbe essere la principale rivista italiana di relazioni internazionali, giornalista filorusso di fedeltà incrollabile, durante una conferenza tenuta a Milano in uno dei principali centri studi italiani del settore.
5. GLI INTELLETTUALI
In schiacciante maggioranza, dal Dopoguerra in poi in Italia gli intellettuali sono diventati tali perché orbitavano attorno a partiti di area comunista e socialista. La quota restante, del tutto minoritaria, faceva capo alla Chiesa cattolica e alla sua autonoma macchina culturale. Il dato non ha bisogno di essere confermato da esperienze personali, ma ne cito un paio, per dare un po’ di colore.
Frequentavo assiduamente gli ambienti culturali della Torino degli anni Ottanta. Qual era l’appartenenza di partito che costituiva il presupposto per accedere ai milieu della cultura si capiva dai quotidiani portati sotto il braccio con ostentazione da relatori di convegni, organizzatori di concerti, giornalisti, compositori, scrittori.
Quando, verso la metà degli anni Ottanta, cominciai a lavorare come traduttore, fui chiamato da una casa editrice di Milano. Il dirigente che mi convocò per il colloquio, dopo poche battute informative, mi fece mezz’ora d’indottrinamento politico, tentando di capire, dalle mie risposte, da che parte stessi. Forse lo delusi, perché non stavo da nessuna parte, volevo semplicemente lavorare come traduttore. Lui, invece, aveva bisogno di sapere prima di tutto se avevo in tasca la tessera del partito giusto.
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Gli ultimi grandi uomini di pensiero
Tutto ciò non esclude che nel circuito della cultura italiana, nei quarantacinque anni dopo l’ultima guerra, vi siano stati anche grandi uomini di pensiero, capaci di guardare oltre gli steccati. Ad essi l’Italia deve alcuni decenni di crescita culturale straordinaria.
Poi, insieme alla progressiva scomparsa, per ragioni anagrafiche, delle figure più illuminate, la fine del comunismo in Europa ha lasciato presso gli intellettuali italiani un vuoto e un disorientamento ancor più profondo di quello sofferto dai giornalisti. Un senso di abbandono paragonabile, forse, solo a quello seminato fra gli intellettuali sovietici, e che dura sino a oggi.
Il ritorno rumoroso della Russia di Putin sulla scena internazionale ha ridato agli intellettuali d’Italia un’ancora, una speranza di ritrovare le antiche sintonie sulle quali avevano campato di rendita per due generazioni, fino al 1989.
A sperare in Putin, però, oggi non sono solo gli intellettuali organici dei vecchi partiti marxisti-leninisti, ma anche quelli dei movimenti nazionalisti ed estremisti di destra, e non pochi cattolici (v. punto 1).
ITALIA-RUSSIA: PERCHÉ LA PENISOLA È COSÌ FILORUSSA
Approfondire l’andamento di queste relazioni negli ultimi trent’anni sarebbe appassionante, ma non lo si può fare qui. Questo, però, è l’intreccio che lega l’Italia alla Russia, o meglio al suo mito come successore dell’Unione sovietica.
La fede filorussa nasce talvolta da impreparazione e incapacità di misurarsi con il presente. Altre volte dipende da interessi politici ed economici. In tanti, tantissimi casi, è l’ultima speranza di più miseri destini personali: quelli di intellettuali, giornalisti e politici che hanno perso la loro ragione di esistere, con il crollo dell’Unione sovietica, la fine della contrapposizione ideologica e i successivi sviluppi della politica italiana.
Per questi motivi, per la Russia, l’Italia è un terreno ideale di conquista. Nella Penisola, il Cremlino trova uomini stanchi della libertà, che classificano ancora il mondo secondo le fruste categorie degli anni Settanta. Sono pronti a una straordinaria sintonia con la Russia di oggi, per la venerazione che hanno coltivato in passato per l’Unione sovietica, i suoi riti e i suoi sacerdoti. Sono illusi che seguire la Russia serva a far tornare i bei tempi andati, in cui erano giovani, potenti e corteggiati.
Oggi, molti di quegli intellettuali, giornalisti e politici, con la nuova generazione di loro colleghi emersa nel frattempo, vedono nella Russia e nel cinismo di Putin un’occasione per risorgere dalle loro ceneri, come fenici spelacchiate. Trovano i loro uditori tra imprese incapaci di confrontarsi con i mercati più maturi e tra i cittadini meno istruiti, più rabbiosi verso la modernità.
Purtroppo, questi uomini stanchi e delusi trascinano nelle loro frustrazioni un intero Paese. Ciò è possibile anche grazie alla debolezza di coloro che dovrebbero difendere i valori dello Stato di diritto e le conquiste dell’Italia dal Dopoguerra a oggi, ma dormono sugli allori.
(Articolo pubblicato in originale il 18.12.2018, ripubblicato con aggiornamenti il 8.2.2023)
Germana Olivieri ha detto:
Un articolo davvero illuminante. Vivo in Germania e, attraverso la stampa italiana, non è facile capire esattamente quali venti soffiano in Italia.
La seguo sempre con piacere.
Cordialità
Luca Lovisolo ha detto:
Grazie per il Suo apprezzamento.
Cordiali saluti. LL
Giulio Porrovecchio ha detto:
Articolo eccellente, ne farò tesoro prossimamente in uno degli incontri che, da ex dirigente industriale in pensione, organizzo come conferenziere nella mia attività di divulgazione scientifica e culturale, oltre che musicale.
Se non già fatto, auspicherei da parte sua un analogo articolo sulle ragioni della progressiva disaffezione degli italiani (e non solo) dai valori occidentali e in generale delle democrazie liberali
Luca Lovisolo ha detto:
Grazie per il Suo apprezzamento. In realtà non credo che gli italiani si siano disaffezionati dai valori occidentali e democratici, credo che non vi si siano mai affezionati. Cordiali saluti. LL
Aldo Rea ha detto:
Bellissimo articolo, indubbiamente la cosa migliore letta sui rapporti tra Italia e Russia negli ultimi 5 anni.
Luca Lovisolo ha detto:
Sono lieto che l’articolo Le sia stato utile. Cordiali saluti. LL
silvius ha detto:
Ogni tanto rileggo i suoi vecchi articoli, con il cosiddetto senno di poi. Proprio pochi giorni fa parlavo con amici di quello che scrive nel punto 2. Da milanese trapiantato in una opulenta e laboriosa città del mitico nord-est, posso garantire ai lettori che quanto lei dice è assolutamente vero e palpabile. Lo stesso valeva, ai tempi, per il commercio con i Paesi arabi. Non occorre essere imprenditori per capire, basta osservare. Ovviamente non si può generalizzare, ma nel nord-est la mentalità diffusa è certamente lontana dall’economia di mercato. A volte, parlando con piccoli imprenditori pur dinamici e geniali, ma dal nero facile e spregiudicati, si nota che non conoscono le più elementari regole economiche, quelle che persino io – che sono un musicista – conosco. Tanti davvero credono che uscire dell’euro sarebbe un vantaggio, «perché così si può svalutare.» Da non credere. D’altra parte sono il prodotto di quelle logiche…
Luca Lovisolo ha detto:
Purtroppo è uno dei problemi culturali che relegano l’Italia alla retroguardia.
silvius ha detto:
Finalmente qualcuno lo dice. Sarebbe bello se i suoi articoli venissero pubblicati da giornali che muovono l’opinione pubblica.
Luca Lovisolo ha detto:
Grazie per il Suo apprezzamento.