Quanto guadagna un traduttore freelance

Quanto guadagna un traduttore oggi, secondo le statische delle associazioni
Quanto guadagna un traduttore? | © Campaign Creators

I numeri reali su quanto guadagna un traduttore, se punta a una vera professione. Le statistiche sui redditi dei traduttori offrono un quadro che sembra contraddittorio. Tradurre è una professione: se affrontata nel modo giusto, può dare le stesse soddisfazioni di ogni altra attività. L’importanza di obiettivi e posizionamento, per raggiungere la clientela più qualificata.


Il settore della traduzione è in crescita da decenni, ma esige dai suoi operatori sempre maggiore professionalità. Se non conosce i meccanismi del suo mercato, il traduttore cade in segmenti saturi e poco redditizi. Questo stato di fatto alimenta molte lamentele fra gli stessi protagonisti del settore e rafforza il convincimento che l’attività di traduzione non permetta di conseguire redditi soddisfacenti.

La clientela che riconosce il valore di questa professione esiste e la domanda di traduzioni, nei settori qualificati, tende a superare l’offerta di traduttori in grado di soddisfarla. Per cogliere queste opportunità, chi si avvicina alla professione deve conoscere i propri obiettivi ed essere consapevole che costruire una carriera come traduttore esige la stessa dedizione richiesta da qualunque altra professione.

Le statistiche: quando guadagna un traduttore

Poiché parliamo di lingua italiana, analizziamo l’ultimo sondaggio quinquennale (2018) dell’Associazione italiana traduttori e interpreti (AITI, >qui). L’indagine offre interessanti rilevazioni sul campo, concernenti diversi aspetti della professione, sia della traduzione scritta sia dell’interpretariato orale. Dov’è possibile scomporre il dato, quest’analisi si riferisce alla traduzione scritta. Seguirà un breve cenno alla situazione in Canton Ticino.

Il sondaggio mostra che il 70% dei membri dell’associazione che hanno risposto alla rilevazione può mantenersi con le traduzioni. Il restante 30% svolge anche un’altra attività: è interessante notare che il secondo reddito, per la maggioranza di tale 30%, è in realtà quello principale, perché incide per più del 50% su quello complessivo.

Nel triennio 2015/17 Il fatturato medio annuo dei traduttori è passato da 26’432 a 29’108 EUR IVA esclusa. Rispetto ad altre professioni appare deludente, soprattutto se si pensa che questi dati sono stati raccolti fra gli iscritti a una delle associazioni nazionali di riferimento, perciò provengono da operatori riconosciuti e consolidati.

Il dato medio, però, dice poco e dev’essere analizzato più a fondo. I numeri diventano più significativi osservando le singole fasce di fatturato. Relativamente ampia, fra il 13% e il 18%, la fascia che dichiara un fatturato bassissimo, meno di 5’000 EUR l’anno. Il 45% dei traduttori ha fatturato tra i 10’000 e i 30’000 EUR annui. Solo una percentuale compresa tra il 20% e il 26% ha superato i 30’000 EUR.

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Obiettivo: domanda qualificata e mobilità del portafoglio clienti

Luca Lovisolo, Tredici passi verso il lavoro di traduttore
«Tredici passi verso il lavoro di traduttore» – La guida di Luca Lovisolo

Salendo ancora, appena un 8% – 10% dei traduttori ha superato i 50’000 EUR di fatturato annuo e raggiunge così una fascia di reddito nella quale ci si attende che si collochi un professionista laureato. Il restante 90% e oltre lavora in segmenti più bassi, come abbiamo visto poco sopra; in alcuni casi, così bassi che fatica a sorreggere lo svolgimento dell’attività in forma esclusiva.

Seguendo il sondaggio, si apprende che per l’80% dei traduttori intervistati i clienti fissi generano circa il 40% del fatturato annuo; per il 44% degli intervistati, i clienti fissi portano addirittura l’80% del fatturato.

Questi dati attestano che realizzare utili analoghi a quelli di altre professioni è possibile anche nel settore della traduzione. E’ necessario, però, saper riconoscere i segmenti di mercato di maggior redditività e corrispondere alle loro richieste. Molti traduttori restano prigionieri di fatturati insoddisfacenti: la scarsa mobilità del portafoglio clienti, emersa dal sondaggio, rivela che tra le altre cause di questo dato vi è la difficoltà di muoversi agilmente sul proprio mercato.

L’osservazione della realtà conferma che solo pochi traduttori organizzano un’attività di marketing e comunicazione adeguata a captare la domanda più qualificata. Inoltre, anziché costruire un proprio portafoglio di clienti diretti, contraddistinto da un adeguato tasso di mobilità e qualificazione, la maggioranza degli operatori del settore tende ad affidarsi ad agenzie intermediarie, per acquisire lavori. Questa particolarità del modello di business del settore rappresenta un’anomalia, rispetto ad altre professioni.

La situazione nella Svizzera italiana

Nella Svizzera italiana la situazione può apparire diversa, ma nei fatti non è lontana da quella della Penisola. Mancano al momento rilevazioni oggettive, ma, in un territorio ristretto, l’andamento si lascia più facilmente riconoscere dall’osservazione diretta.

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In Canton Ticino si avverte la concorrenza dei traduttori italiani, che contribuisce ad abbassare le tariffe del mercato svizzero. Queste restano superiori a quelle italiane, ma il più alto costo della vita in Svizzera erode in parte il maggior utile dei traduttori e riduce la forbice tra il loro potere reale d’acquisto, di qua e di là della frontiera.

Quanto guadagna un traduttore: dipende dal posizionamento

Per accedere alla clientela più qualificata e disposta a riconoscere la traduzione al pari di altre professioni, il traduttore deve darsi un obiettivo di posizionamento chiaro ed evitare ogni approccio casuale allo sviluppo della sua attività. Al centro dovrebbero esserci le competenze individuali, sviluppate e proposte in modo da profilare in modo riconoscibile ogni professionista.

La scelta da fare è fra la traduzione svolta come professione, in continuità ed esclusività, o come attività secondaria. Come in ogni altro settore, per accedere al segmento più qualificato le abilità tipiche della professione non bastano. Nel caso della traduzione, le competenze non linguistiche, nella materia di specializzazione e nella capacità di comunicare con efficacia i propri valori, sono importanti quanto le capacità linguistiche, per posizionarsi sul mercato scelto.

In presenza di tutti i presupposti, una carriera professionale nel settore della traduzione si sviluppa secondo percorsi analoghi a quelli di ogni altra professione e può essere altrettanto ricca di soddisfazioni, sia dal punto di vista economico sia sotto il profilo del riconoscimento sociale. Comporta anche tutte le responsabilità di ogni ruolo professionale qualificato.

Gli effetti della pandemia e dell’evoluzione tecnologica

L’associazione che ha promosso il sondaggio ripete la rilevazione ogni cinque anni. I prossimi dati sono attesi per il 2023. Sarà utile osservare l’effetto della pandemia, che ha trasformato alcune attività del settore linguistico. Il diffondersi repentino degli interpretariati orali via Internet, prima confinato in una nicchia, è solo una delle conseguenze. La crisi sanitaria ha inciso meno sulla quotidianità del traduttore per iscritto, abituato da sempre al lavoro a domicilio. Dopo un primo scossone, come altri comparti, anche quello linguistico sta ricomponendosi in una nuova normalità.

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Un altro elemento che sta modificando i meccanismi del lavoro è la tecnologia: anche l’evoluzione degli strumenti tecnici è uno stimolo a ricercare opportunità nei settori di maggiore specializzazione e responsabilità, dove l’intervento umano non è sostituibile.

Il settore della traduzione si fa sempre più articolato ed esigente. Le opportunità per chi vuole avvicinarsi a questo mondo non mancano: per avere successo come traduttori, i dati oggettivi di mercato confermano che è necessario posizionarsi in modo consapevole e possedere un insieme di abilità non limitate a quelle più tradizionali.

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Il mio corso «Capire l'attualità internazionale» accompagna chi desidera comprendere meglio i fatti del mondo. Con il corso «Il diritto per tradurre» comunico le competenze giuridiche necessarie per tradurre testi legali da o verso la lingua italiana.

Commenti

  1. Thea Elizabeth Sichini ha detto:

    Buon giorno,

    Sono Italo-Venezuelana. Per il momento mi trovo in Venezuela, il prossimo 26 novembre rientrerò in Italia. Vorrei diventare Traduttore giurato per le lingue Spagnolo-Italiano-Spagnolo. Ma mi sento persa, non so da dove iniziare. Ho avuto la fortuna di trovare il suo sito su internet e mi sento veramente felice di trovare tanta informazione che mi ha aiutato a migliorare, La ringrazio per questo. Vorrei sapere se Lei mi può preparare online e se cosi fosse, quanto sarebbe l’importo e la forma di pagamento. Cordiali saluti.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Gentile signora,

      Grazie per il Suo apprezzamento e per la Sua fiducia. Non faccio questo genere di consulenze o corsi, tutto ciò che posso dire o fare nel settore della traduzione lo trova già su questo sito. Non mi è davvero possibile fare di più! Le auguro il miglior successo. Cordiali saluti. LL

  2. Virginia Merolli ha detto:

    Sì, capisco il suo punto, anche io ho smesso di parlare di uomini e donne e preferisco parlare di principio maschile e principio femminile. Secondo la letteratura attuale, nel corso del ‘900 le donne avrebbero aumentato molti punteggi in mascolinità, non sarebbe successo lo stesso per gli uomini, di aumentare molti punteggi in femminilità. Solo molto meno.

    Comunque, ha ragione sul fatto che si tratti di limitazioni autoimposte più inconsciamente che volutamente. Ed è lì che, tornando a monte, le associazioni potrebbero fare qualcosa. Offrire percorsi formativi orientati ad aumentare quel tipo di consapevolezza, trasmettendo al contempo quegli strumenti concreti che dicevamo servono per un’approccio più professionale.

    La chiusura che ho notato io in questo senso, invece, è una certa diffidenza verso la condivisione di buone pratiche commerciali per la ricerca di clienti, quasi equivalesse a cedere volontariamente fette di mercato ai colleghi, con i quali si sarebbe in rivalità. Io credo che ci sia spazio per tutti sul mercato, e quando non c’è ci si riorganizza procurandoci nuove competenze. Soprattutto all’interno delle associazioni, la percezione del collega come rivale non dà buoni frutti.

    E non sono sicura che la stessa cosa succeda all’estero, non in tutti i paesi. Come probabilmente in altri paesi lei non avrebbe riscontrato l’ostilità in ambito accademico di cui parla. E qui il ruolo del traduttore anche come importatore di buone pratiche culturali dall’estero torna efficace.

    Siamo d’accordo su molti fronti. Grazie per lo scambio stimolante e buon lavoro a lei! VM

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Ho la percezione che taluni problemi del settore siano ben diffusi oltre ogni frontiera nazionale. Vero, le gelosie sui modi per acquisire clienti hanno poco significato. Non ci sono segreti, in questo campo, ma tecniche che chiunque può acquisire e applicare. Buona giornata. LL

  3. Virginia Merolli ha detto:

    Giusto una breve replica su un punto, per il resto la sostengo nelle sue opinioni.

    La mia percezione delle traduttrici donne professioniste – per la visione che ne ho io da membro AITI – è che, anche nei casi in cui la professione viene scelta per le caratteristiche di (apparente, secondo me) maggiore facilità di conciliazione con la sfera privata, le professioniste donne sono estremamente appassionate e dedicate alla professione. Questo emerge con chiarezza per me.

    Fare la scelta di dedicare una parte significativa delle proprie risorse personali alla nobilissima sfera privata e familiare, però, inevitabilmente sottrae risorse alla capacità di affermarsi sul lavoro. E’ un qualcosa che succede anche ai traduttori uomini professionisti (e agli altri professionisti non traduttori) che cercano di conciliare maggiormente la sfera professionale con quella privata, scegliendo di investire importanti risorse personali in quest’ultima.

    Se l’analisi delle difficoltà e complessità di un settore professionale fa emergere la necessità di un dibattito più alto e ispirato sulla tematica di genere, che si faccia dico io, anche all’interno delle associazioni, perché no.

    Per il resto, spazi di ulteriore professionalizzazione ce ne sarebbero all’infinito. Probabilmente ha ragione lei, se tutti i segmenti a minor valore aggiunto venissero dissociati dalla professione, si assisterebbe a una maggior professionalizzazione del settore. È un suggerimento che prelevo volentieri da lei e cercherò di iniettare in eventuali spazi di discussione all’interno di AITI.

    Infine, una visione alta e ideale del mestiere non può che far bene, soprattutto ai colleghi più giovani che si approcciano alla professione. La capacità di apertura e confronto con le culture straniere è alla base del futuro, noi ci potremmo veramente inventare dal nostro ruolo professionale di operare come consiglieri per le istituzioni, ai vari livelli, sul tema delle complessità interculturali. Far entrare questo concetto nelle università e negli istituti di formazione per traduttori potrebbe essere una bella sfida, appassionante.

    Grazie ancora e saluti,
    VM

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Concordo con Lei, ho incontrato io stesso moltissime donne traduttrici e le mie osservazioni coincidono con le Sue, sia quelle del primo sia quelle del secondo paragrafo. Credo che talune limitazioni siano autoimposte più inconsciamente che volutamente, ma poco importa. Non credo, invece, che la questione di genere, ormai tirata in ballo ovunque, più o meno a proposito, giochi un ruolo essenziale: come rileva anche Lei, la problematica tocca anche gli uomini, il che esclude un problema di genere (o solo di questo). Se invece fosse, chiaramente, andrebbe affrontato.

      Quanto ai più giovani, non posso che essere totalmente d’accordo. Quando ho deciso di smettere di tradurre attivamente, ho scelto di tenere corsi di diritto ai traduttori perché stufo di leggere traduzioni svolte da colleghi che si presentavano come specializzati nel settore legale, ma era chiaro che non sapevano aprire un codice civile. Ciò aprirebbe un capitolo infinito sul problema della formazione: quando lo si affronta, però, ci si scontra con le resistenze corporative delle baronie universitarie, timorose di qualunque cambiamento. Ne ho avuto percezione diretta più volte, in particolare quando fui invitato in una facoltà universitaria di traduzione a presentare un mio libro: feci una dettagliata relazione su quale poteva essere un ruolo nuovo e più attuale dei traduttori e interpreti nelle aziende, sulla base di una ventina d’anni di esperienza diretta in quel ruolo. Alla fine, percepii nettamente l’atteggiamento di sufficienza e il rifiuto di alcuni docenti presenti (molto meno da parte degli studenti, però). A queste condizioni, difficilmente qualcosa cambierà.

      Da un ventennio almeno anche la nostra professione, come altre, attraversa una lunga fase di transizione. Tra tutti i mali che ha portato, forse la pandemia potrebbe abbattere l’ultimo diaframma verso il riconoscimento che la realtà è mutata. In poco tempo, stanno avvenendo piccole e grandi rivoluzioni nel mondo del lavoro, nei processi di comunicazione e produzione. Stiamo a vedere. Il mondo sta cambiando a fondo e proprio noi, che grazie alla conoscenza delle lingue e delle culture straniere, siamo un elemento di raccordo, non possiamo pensare che il nostro ruolo sia estraneo a cambiamenti. Grazie per l’attenzione e per gli ottimi spunti. LL

  4. Virginia Merolli ha detto:

    Salve Luca,

    il suo articolo corrisponde esattamente alla mia percezione della professione del traduttore, mi fa molto piacere riflettermi nelle sue parole perché io “soffro” molto il fatto di muovermi professionalmente in un ambiente che sento non riconoscere fino in fondo la dignità del mestiere.

    Quando ho iniziato a svolgerla, io ho capito che la professione poteva essere estremamente gratificante, sia in termini economici che di riconoscimento personale e ruolo sociale. E ho cercato di fare le scelte che ho ritenuto giuste in questo senso.

    Ho frequentato il primo anno del suo corso di traduzione giuridica, ma ho scelto di sostenere anche due esami a giurisprudenza, adesso, per potermi spendere la specializzazione nella traduzione giuridica, sto cercando con una certa fatica di acquisire le abilità e le competenze tipiche del professionista più che del traduttore, come dice lei, quelle che ti permettono di muoverti con più agio nel mercato del lavoro.

    E mi piacerebbe poter contare su un maggior sostegno da parte dell’associazione professionale a cui lei fa riferimento e di cui sono membro, per sviluppare queste competenze. Come il sig. Claudio che pure è intervenuto, ho anch’io la percezione che il numero di iscritti all’AITI sia troppo esiguo rispetto al numero di traduttori professionisti italiani, e questa scarsa capacità di attrarre i professionisti andrebbe compresa meglio secondo me. Anche perché questo impedisce soprattutto di attrarre all’interno dell’associazione competenze e risorse di cui tutti i membri beneficerebbero poi.

    Io credo che purtroppo la professione sia pregiudicata dal fatto di essere (credo sempre stata) un mondo a stragrande maggioranza al femminile. La capacità di affermarsi sul mercato del lavoro delle donne è inevitabilmente condizionata da una lunghissima storia nella quale le donne al mercato del lavoro semplicemente non hanno preso parte, e ci vuole tempo per sviluppare quella consapevolezza. E la società italiana rispetto ad altre è particolarmente indietro in questo senso.

    Ho avuto occasione di esporre questi contenuti anche all’interno dell’associazione e credo sia un dibattito che dovrebbe essere alimentato.

    Io ho la percezione di una grandissima dignità del mestiere che faccio. Noi siamo quelli che si trovano nella posizione assolutamente privilegiata di poter accedere con facilità all’informazione su quello che succede all’estero. Non solo al fine di tradurne i documenti, ma soprattutto di acquisire dai paesi straneri quelle qualità, competenze, visioni, quei modi di essere che potrebbero arricchirci come paese. Possiamo essere degli importatori, se siamo capaci di selezionare bene, delle cose migliori che stanno all’estero e che potrebbero esserci utili.

    Quindi penso che non mi disamorerò mai della professione, però che fatica svolgerla nel frattempo!

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Buongiorno Virginia,

      Grazie per il Suo commento. Sono particolarmente lieto che i miei corsi l’abbiano stimolata ad approfondire ulteriormente la materia e perseguire con ancor maggiore convinzione la specializzazione giuridica. Lei ha espresso la radice del problema: bisogna intendersi più come professionisti che come traduttori. Può sembrare una contraddizione, ma purtroppo accade. Molti dei problemi che i traduttori lamentano, sul piano del riconoscimento sociale ed economico, originano da questa errata concezione di se stessi. Eppure… «traduttore» e «professionista» non dovrebbero essere opposti, come non lo sono nei casi di «consulente aziendale professionista» o «geometra professionista.» In altre professioni non c’è nemmeno bisogno di precisarlo!

      Sono convinto come Lei che l’essere praticata per l’85% da donne (anche questo è un esito del sondaggio) incida sul quadro, e non solo per il retroterra storico che purtroppo condiziona ancora l’immagine della donna. Altre professioniste, come le avvocate o le dottoresse mediche, hanno superato meglio questo limite ancestrale. Credo che molte traduttrici vedano la professione come lavoro utile per conciliare lavoro e famiglia: questo, che dovrebbe essere un valore aggiunto, può diventare un limite. Induce a considerare la professione, più o meno inconsciamente, come un «lavoretto» tra altre occupazioni, nel timore che un maggiore coinvolgimento limiterebbe la libertà di azione nel privato. In realtà, credo che gli spazi di ulteriore professionalizzazione ci siano, anche senza toccare l’equilibrio tra vita privata e professionale. Il nostro lavoro, d’altra parte, è… «smart working» dalla notte dei tempi, quando non esisteva nemmeno Internet. Non è detto che proprio i traduttori non possano fungere da modelli e beneficiare a loro volta, della «nuova normalità» che viene formandosi nel mondo del lavoro e che durerà, a quando sembra, anche quando la triste vicenda pandemica sarà finita. Lo stigma che tutti conosciamo – «Lavori da casa ergo non lavori» – sta svaporando, per fortuna, dato che sempre più categorie lavorano così. Per il resto, come ho notato già nella risposta al commento sopra, c’è la ritrosia dei traduttori, sia uomini sia donne, ad apprendere e applicare le regole di mercato della libera professione, per una certa, diffusa diffidenza culturale. Superare questo limite sarebbe già un gran passo avanti.

      E’ vero che le associazioni professionali raccolgono relativamente pochi aderenti, su questo concordo con il lettore più sopra. Quando si deve fare un ragionamento oggettivo, però, cercando di sottrarre il discorso alle solite polemiche senza capo né coda, bisogna fondarsi su parametri che abbiano una base di uniformità e rappresentatività. Quelli delle associazioni professionali, e in particolare di AITI, per l’Italia, sono gli unici che esistono, per l’area di lingua italiana. Sono d’accordo che le associazioni potrebbero fare di più. Credo che stiano vivendo anch’esse una crisi di identità: dovranno prima o poi decidere se rivolgersi ai traduttori che puntano a una vera professione, oppure a chi traduce come secondo lavoro o in segmenti a minor valore aggiunto. Anche questi operatori del settore hanno piena dignità di esistere, ma la differenza tra queste due aree della professione si allarga e non so per quanto sarà possibile conciliare le identità di entrambe. Il profilo della professione di traduttore vero e proprio cambia e si specializza, nascono nuovi compiti che esigono competenze specifiche, mentre il resto del mercato linguistico è sempre più rivolto alla meccanizzazione e alla marginalizzazione delle competenze tipiche. Negli ultimi anni in cui mi sono occupato fattivamente di traduzione ho affiancato sempre più spesso alla mera traduzione consulenze legali e altri compiti a sostegno dei processi interni dei clienti, compiti che il profilo tradizionale del traduttore in passato non prevedeva. Non sono l’unico ad aver vissuto questo mutamento, che tuttavia considero un arricchimento, non una corruzione della purezza professionale.

      Concordo, infine, sul fatto che il nostro lavoro permette delle visioni del mondo che sono riservate a pochi. Da quando mi occupo di ricerca in relazioni internazionali, mi rendo conto di quanto la scarsa conoscenza delle lingue e delle culture straniere, anche presso persone esperte del settore e in decisori politici di alto livello, ostacoli la comprensione dei fenomeni globali di oggi. Disastri come l’Afghanistan, per citare solo il caso più recente (ne parlo >qui anche da questo punto di vista), sono dovuti proprio alla sottovalutazione della componente culturale delle relazioni internazionali. Anche in questo caso, come traduttori, potremmo avere molto da dire, se guardassimo oltre le frontiere più tradizionali del nostro ruolo. Cordiali saluti e buon lavoro. LL

  5. Claudio Porcellana ha detto:

    Buongiorno,

    Avrei una serie di considerazioni. Primo: i membri dell’associazione citata sono una minima parte dei traduttori italiani: lo so perché ne ho fatto parte. Secondo: le dichiarazioni anonimizzate degli intervistati sui propri introiti non sono documentabili, e occorre fidarsi di chi le ha fornite. Da tali premesse non si può dire che il risultato del sondaggio sia un’evidenza e neppure che sia estrapolabile all’intero settore dei traduttori italiani.

    Terzo: le agenzie non sono sempre sostituibili da 1 solo traduttore: per es. un’azienda farmaceutica deve preparare i documenti per l’AIC da presentare all’EMA in 24 lingue […].

    [..] Come fa un solo traduttore ad andare a caccia di clienti, che è un’operazione onerosa in termini di tempo, e richiede competenze commerciali […] e al contempo gestire una mole di documenti incongrui, […] le innumerevoli “fissazioni” del singolo cliente […] in più tradurre e revisionare? […] NO un singolo traduttore non può sostituire un’agenzia SALVO in settori di nicchia che, come tali, possono essere occupati da pochissimi fortunati che per di più lavorano in coppie linguistiche pregiate. Chi lavora in settori «non critici» e su coppie linguistiche standard non ha alcuna possibilità di lavorare con clienti finali, salvo qualche piccola-media azienda, ma la piccola-media azienda [usa la MT o] è ormai perfettamente in grado di farsi il lavoro quasi da sola[…]

    Si tratta di un trend crescente che non potrà far altro che crescere con il miglioramento delle MT. […] A causa della direttiva macchine, in caso di disputa legale a causa di un errore di traduzione da cui sia derivato un danno per l’operatore o altri, fa fede il testo nella lingua originale. Ne consegue che in quasi tutti i campi tecnici la maggior parte dei traduttori sarà spazzata via a breve dalla MT.

    Per concludere, la mia opinione è che i «campi veramente critici» siano pochini, ad es. il campo legale […] dove anche una piccola sbavatura nel testo può fare la differenza.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie per le Sue considerazioni, che ho sintetizzato per ragioni editoriali. Rispondo per punti.

      l) I membri dell’associazione citata sono una minima parte dei traduttori italiani etc. – Vero, ma l’essere soci di un’associazione nazionale riconosciuta garantisce che quei traduttori rispondono a criteri professionali e omogenei. Per scelta non ho mai fatto parte di associazioni, ma riconosco senza difficoltà che bisogna fondarsi sui traduttori che rispondono ai requisiti delle associazioni di riferimento, se si vogliono fare considerazioni serie sull’andamento del mercato.

      2) Le dichiarazioni anonimizzate degli intervistati sui propri introiti non sono documentabili etc. – Ritenere che le dichiarazioni siano false perché anonime è illogico (è più probabile che siano false e abbellite le dichiarazioni in chiaro), oltre che inutilmente ingiurioso. Se Lei ha elementi oggettivi per affermare che i dati sono falsificati e per mettere in discussione la scientificità delle rilevazioni, si rivolga all’associazione interessata e contesti formalmente il sondaggio. Le presunzioni personali non sono una base di lavoro.

      3) Le agenzie non sono sempre sostituibili da un solo traduttore: – Non ho scritto che le agenzie devono essere sostituite dai traduttori. Vi sono incarichi adatti alle agenzie e altri dove il singolo professionista potrebbe lavorare molto meglio senza intermediazioni. Lo spiego più in dettaglio in >questo articolo.

      4) Come fa un solo traduttore ad andare a caccia di clienti etc. – E’ ciò che fa tutti i giorni qualunque professionista. Non vi è alcuna ragione per la quale non possano farlo anche i traduttori, non sono esseri inferiori. E’, piuttosto, un problema di mentalità. La quasi totalità dei traduttori lavora come indipendente, ma pensa come lavoratore dipendente. Perde, così, tutte le opportunità specifiche della libera professione. La mentalità, però, si può cambiare, volendo.

      5) Settori di nicchia che, come tali, possono essere occupati da pochissimi fortunati che per di più lavorano in coppie linguistiche pregiate etc. – I traduttori che lavorano in settori di nicchia ad alto valore aggiunto non sono più fortunati, sono più capaci in quella nicchia, altrimenti non ci starebbero. La fortuna non c’entra, o non c’entra più che in qualunque altra cosa. Falso che i settori ad alto valore aggiunto riguardino solo coppie linguistiche rare. Ce n’è in tutte.

      6) La piccola-media azienda [usa la MT o] è ormai perfettamente in grado di farsi il lavoro quasi da sola […]. – Vero, per questo è inutile cercare clienti in settori di traduzione che non richiedano l’intervento umano qualificato.

      7) A causa della direttiva macchine, […] fa fede il testo nella lingua originale. Ne consegue che in quasi tutti i campi tecnici la maggior parte dei traduttori sarà spazzata via a breve dalla MT. – Mamma mia… Vero che fa fede il testo originale, anche se la situazione è un po’ meno semplice di come la vede Lei. Falso, e gravemente fuorviante, che ciò libererebbe i traduttori dalla responsabilità civile professionale e che autorizzerebbe a consegnare traduzioni automatiche senza revisione umana o comunque malfatte. Non scherziamo.

      8) I «campi veramente critici» siano pochini, ad es. il campo legale […] dove anche una piccola sbavatura nel testo può fare la differenza. – E’ esattamente così. Non c’è solo il settore legale, ma oggi i settori nei quali ha senso lanciarsi come traduttori sono, per l’appunto, quelli in cui «una piccola sbavatura nel testo può fare la differenza.» In questi settori la richiesta c’è e i traduttori in grado di soddisfarla sono pochi. La maggioranza o non ha i requisiti soggettivi per operare in tali settori, che sono molto esigenti, oppure ha i requisiti, ma non ha la capacità di muoversi sul suo mercato per proporsi: esiste, ma non sa farsi trovare. E’ in queste aree che bisogna lavorare, lasciando senza rimpianti tutto il resto del mercato alla traduzione automatica e ai tanti che scelgono di tradurre per arrotondare a fine mese. Costruire una professione come traduttori è un’altra cosa.

      Non è possibile esercitare critiche fondandosi su presunzioni o pregiudizi. Se Lei ha dati oggettivi più fondati di quelli che può fornire la maggior associazione professionale di settore, li presenti e li analizzi, o lasci ad altri il compito, già abbastanza difficile di per sé. Distinti saluti. LL

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Con le mie analisi e i miei corsi accompagno a comprendere l'attualità globale chi vive e lavora in contesti internazionali.

Tengo corsi di traduzione giuridica rivolti a chi traduce, da o verso la lingua italiana, i testi legali utilizzati nelle relazioni internazionali fra persone, imprese e organi di giustizia.

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