Deontologia e traduzione verso la lingua straniera sembrano incompatibili, nel settore linguistico. Esempi attuali e del passato confermano che la questione non si può riassumere in pregiudizi e in qualche battuta. Il richiamo alla deontologia professionale suscita perplessità. Molti clienti si chiedono: chi, se non un traduttore, dev’essere in grado di tradurre nelle due direzioni?
Con gli strumenti del nostro tempo è davvero difficile sostenere che sia impossibile o inadeguato produrre un buon testo scritto in una lingua diversa dalla propria madrelingua. Non si dice di copiare formulazioni da Google, ma i corpus e le mille altre risorse presenti a distanza di un click facilitano questo compito come mai in passato. Si fatica a credere, oggi, che non si possa raggiungere una conoscenza della lingua straniera adeguata a scrivere e tradurre, soprattutto per un professionista del settore.
Grazie alla diffusione della TV satellitare possiamo avere un contatto immediato e quotidiano con l’altra lingua, apprendendone anche le espressioni più attuali e gergali. Attraverso Internet possiamo leggere qualunque cosa in qualunque lingua. I voli a basso costo ci permettono di viaggiare nei Paesi dove si parlano le nostre lingue di lavoro, spendendo talvolta meno di quanto ci costerebbe una vacanza nel nostro. Moltissime persone, anche non traduttori, lavorano in pendolarismo settimanale tra città dove si parlano lingue diverse.
Viviamo in un sistema di relazioni impensabile solo venti o venticinque anni fa, che sta profondamente mutando anche il rapporto con il multilinguismo. Certamente vi sono testi molto difficili da scrivere (e, in conseguenza, da tradurre) in una lingua straniera, perché richiedono un rapporto viscerale con la lingua che si può avere solo con quella in cui si è nati e cresciuti: la letteratura o certi testi di marketing, ad esempio, e tutta la sfera che cade sotto le definizioni di copywriting e transcreation. Per tutto il resto, è davvero improbabile, oggi, che un traduttore professionista possa sostenere di non poter tradurre verso la lingua straniera.
In un’altra lingua non avremo mai la stessa agilità e ricchezza lessicale che abbiamo nella nostra, saremo più esposti alla possibilità di errori, ma ciò non impedisce di scrivere testi ben fatti, anche senza la collaborazione di un revisore madrelingua. La revisione si imporrà quando scriviamo o traduciamo testi destinati alla stampa o a un largo pubblico, ma, in tali casi, un controllo avviene anche per i testi scritti nella madrelingua, e non di rado ci fa scoprire che facciamo errori anche in questa.
Tradurre verso la lingua straniera: gli esempi più illustri
Non mancano gli esempi celebri di persone che hanno lavorato e scritto ad altissimo livello usando una lingua diversa dalla loro lingua madre, anche non traduttori. Una delle prime traduzioni in italiano del romanzo Anna Karenina di Lev Tolstoj, uscita nel 1939 e tuttora riconosciuta come riferimento, si deve a Ossip Felyne, madrelingua russo trasferitosi in Italia dalla nativa Odessa, di formazione ingegnere (si vedano >qui le utili considerazioni su questa e altre traduzioni del romanzo, proposte da Claudia Zonghetti).
La traduttrice Monika Woźniak, di madrelingua polacca, laureatasi in Polonia e oggi docente all’Università La Sapienza di Roma, traduce indifferentemente da o verso polacco e italiano testi di grande varietà lessicale e stilistica (>qui un’interessante intervista alla signora Woźniak).
Ernst Reuter, celebre politico tedesco e sindaco di Berlino nei difficili anni del secondo Dopoguerra, cadde prigioniero in Russia durante la Prima guerra mondiale, all’età di ventisei anni. Imparò il russo nella miniera di carbone in cui era detenuto ai lavori forzati. Tornato libero, restò in Russia e divenne attivista politico. Conobbe Lenin, che lo nominò Commissario del popolo (ministro) della Russia bolscevica per le questioni delle comunità germanofone. Usava indifferentemente le due lingue. Chiamato poi in Turchia, a quarantasei anni, per tenere corsi alla Scuola superiore di amministrazione pubblica, imparò il turco e non solo fece lezione, ma scrisse di propria mano in turco i manuali per i suoi studenti.
Il giurista e giornalista tedesco Sebastian Haffner si vide costretto, a trent’anni d’età, a fuggire dalla Germania nazista, per la sua appartenenza a una famiglia ebrea. Si stabilì in Inghilterra, apprese l’inglese e divenne celebre come giornalista e scrittore in quella lingua, scrivendo di suo pugno e con la stessa arguzia con la quale scriveva nella sua lingua madre tedesca. I libri che raccolgono i suoi articoli sul periodo bellico e postbellico, scritti guardando la Germania dall’esilio inglese, sono capolavori di giornalismo e, ad un tempo, modelli di stile e coloritura lessicale, in entrambe le lingue.
Wolfgang Amadeus Mozart, che era di madrelingua tedesca, nel Settecento scriveva, già da ragazzino, delle spiritosissime lettere in italiano, allora diffuso in Europa principalmente grazie alle arti e, in particolare, all’opera lirica. Mozart era figlio di un’epoca nella quale i confini tra le lingue erano fluidi. Non si era ancora imposto lo Stato nazionale, che ha legato la lingua alle frontiere e al governo di un territorio.
Tradurre in un mondo che cambia
Grazie alle nuove tecnologie e alla facilità degli spostamenti, stiamo tornando, oggi, a una realtà nella quale crescere e vivere spontaneamente a contatto con più lingue non è più cosa per pochi. Per contro, se si leggono i romanzi di Franz Kafka come uscirono dalle mani del loro autore, prima dei provvidenziali interventi dei revisori, si resta disorientati a causa della scarsa cura posta da quel geniale scrittore proprio per la lingua, in particolare per la punteggiatura. Segno che il pensiero, quando è forte, scavalca anche le limitazioni nel dominio dello strumento linguistico.
In questo contesto, non scrivere e tradurre in una lingua diversa dalla propria sembra un precetto ormai largamente superato dai fatti, sebbene resti un totem molto adorato proprio nel settore della traduzione, curiosamente. E’ vero che per tradurre verso la lingua straniera occorre prima accertare di possederla ad altissimo livello. Tradurre nelle due direzioni linguistiche permette di accedere a incarichi di grande interesse, presso clienti diretti che non soffrono del pregiudizio della monodirezionalità, in contesti dove servirsi di due traduttori è impensabile per ragioni pratiche o di riservatezza. Ciò accade con frequenza nel settore della traduzione giuridica, oppure nelle lingue più rare, nelle quali è difficile reperire traduttori.
Sviluppare una buona bidirezionalità è anche uno dei modi per superare i problemi di scarso riconoscimento economico e professionale, certamente non una pratica da tacciare tout court di violazione deontologica. Del resto, è un fatto notorio che moltissimi traduttori traducono verso la lingua straniera, ma non lo dicono, consapevoli dello stigma sociale che li colpirebbe se rivelassero il peccato: per rimanere fedeli a Mozart… così fan tutte.
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Deontologia e traduzione verso la lingua straniera: un’accusa pesante
Un’ultima annotazione proprio sul richiamo alla «deontologia» che si presume violata da chi traduce verso una lingua non propria. L’accusa è pesante. La deontologia professionale concerne aspetti ben più gravi: si può rimproverare mancanza di deontologia all’avvocato che tradisce l’interesse del suo assistito, al medico che abusa della propria posizione per plagiare un paziente, a un traduttore che rivela segreti contenuti nei documenti che traduce.
La deontologia professionale non tutela un semplice interesse privato, ma un interesse pubblico – il corretto rapporto tra clienti e professionisti – a protezione del quale le associazioni professionali emettono dei regolamenti deontologici e ne sanzionano il mancato rispetto. E’ immediato il parallelo con il diritto penale, che sanziona la violazione di interessi pubblici costituzionalmente tutelati o compatibili. Non per nulla, molte condotte contrarie alla deontologia professionale confinano o coincidono anche con profili di rilevanza penale.
Se un traduttore traduce verso la lingua straniera e sa farlo, il richiamo alla deontologia è fuori luogo, non vedendosi quale interesse tutelato venga leso. Se lo fa senza averne la competenza, si espone a una responsabilità colposa per imperizia, che vale per questo come per altri casi in cui un professionista fa cose di cui non è in grado: tradurre da o verso una lingua che non conosce o in un settore del quale non è esperto, ad esempio.
Non si entra, perciò, nella sfera deontologica, ma si resta nel campo di applicazione della diligenza del buon padre di famiglia nell’esercizio della professione, rispetto alla natura dell’attività esercitata. Se malservito da un traduttore che traduce da o verso una lingua che non domina a sufficienza, o che in altro modo male adempie le sue obbligazioni, il committente avrà a disposizione a propria garanzia tutte le azioni civilistiche del caso, a partire dal diritto alla rettifica della traduzione sino alla richiesta di riduzione del prezzo e alla risoluzione del contratto, incluso il risarcimento dell’eventuale danno. Il tutto restando nella relazione privatistica fra traduttore e committente, senza sconfinare in profili deontologici o di interesse pubblico.
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Anziché di «deontologia» sarebbe opportuno parlare più modestamente di «consuetudine della professione,» fondata su considerazioni di carattere pratico ed economico. Scrivere e tradurre in una lingua straniera richiede generalmente più tempo, espone a maggiori possibilità di errore e comporta più controlli. Per questi motivi è più usuale che un traduttore lavori verso la propria madrelingua. Questa formulazione rileva uno stato di fatto senza colpire con un rimprovero di antidoverosità, qual è la violazione deontologica, chi non ritiene di adeguarvisi.
La questione della traduzione verso una lingua diversa dalla propria non si lascia semplificare in un motto. Molti esempi qualificati smentiscono i pregiudizi verso questa attività. Insistere sulla mancanza di deontologia espone a un’accusa infamante i traduttori che la praticano, tra i quali vi sono professionisti riconosciuti, e contribuisce a diffondere un’ipocrisia sempre meno comprensibile.
(articolo uscito il 21.6.2016, ripubblicato con aggiornamenti e integrazioni il 18.12.2018)
Marina G. Cattaneo Gasparini ha detto:
Buongiorno dal Messico, sono italiana e da parecchi anni sono perito interprete e traduttrice in IT-ES-IT del Supremo Tribunale nonché del Consiglio della Magistratura Federale. Sarei molto interessata e lieta di seguire qualche Vostro corso ma, per la distanza, solo sarebbe on line. È possibile? In attesa, porgo cordiali saluti.
Marina Giovanna
Luca Lovisolo ha detto:
Gentile signora,
Grazie per il Suo interesse. Può iscriversi ai nostri corsi da qualunque parte del mondo, abbiamo già avuto partecipanti dall’America latina. Per spedire l’attestato di partecipazione, che può essere emesso solo su carta, sarebbe però consigliabile che Lei avesse un indirizzo postale in Italia, se possibile. Cordiali saluti.
Giulia Corazza ha detto:
Leggo adesso l’articolo Dottore, condivido pienamente, il 80% della mia attività professionale è verso la lingua straniera…
Luca Lovisolo ha detto:
Vedo che siamo in tanti!… Ne sono lieto (preciso però di non essere dottore).
Cordiali saluti. LL
Alessandra Castagnaro ha detto:
Buongiorno e grazie per il suo interessante articolo che termino di leggere. Vorrei iniziare la professione di traduttrice freelance, ma non ho ancora esperienza nel settore delle traduzioni e non ho ancora un giro di clienti.
L’ambito in cui vorrei concentrarmi è quello turistico dato che ho una laurea nel settore. Però vorrei ricevere da lei gentilmente alcuni consigli su come iniziare, sicuramente il suo libro può fornirmi buoni spunti e idee a riguardo.
Vorrei chiederle secondo lei se esiste un ambito attualmente più richiesto nel mercato delle traduzioni? Io vivo in canton Zurigo e vedo che per la maggior parte vengono richieste traduzioni nell’ambito assicurativo e finanziario che è d’altronde il settore più ricercato nel cantone. Non essendo però un settore che mi appassiona e soprattutto di cui non ho nessuna conoscenza, cosa mi consiglierebbe di fare? Meglio muoversi più verso la richiesta del mercato o seguendo le proprie passioni e attitudini? Grazie mille per il suo lavoro e buona giornata.
Luca Lovisolo ha detto:
Buongiorno Alessandra, in tutta la Svizzera le traduzioni assicurative e finanziarie sono molto richieste, ma per svolgerle con consapevolezza serve una preparazione specifica. E’ sempre più difficile costruire una carriera come traduttore, oggi, in un settore che non si conosce a fondo, non solo nei suoi aspetti linguistici. Poiché Lei ha una laurea in turismo, Le consiglierei senz’altro di cominciare da questo settore, in cui può contare su una conoscenza approfondita della materia. Avere un’attrazione, una passione per il settore è fondamentale: dovrà poi lavorarci tutta la vita, perfezionarlo costantemente. Se lavora in un settore che non La attrae profondamente, il lavoro diventerà facilmente pesante e sarà difficile raggiungere i livelli di qualità più elevati. Quanto alle indicazioni pratiche, come ha osservato anche Lei, le ho riassunte nel libro «Tredici passi verso il lavoro di traduttore,» per le tante persone che come Lei scrivono per chiedere informazioni. So che può sembrare una risposta interessata, ma… l’ho fatto apposta per sintetizzare tutti i consigli che posso dare, lo trova >qui. Grazie per il Suo interesse e cordiali saluti. LL
Natalia Bertelli ha detto:
Sono d’accordo con il post e felice che se ne parli. Quando studiavo all’università ho avuto la fortuna di avere professori professionisti, che ci hanno fatto esercitare in traduzione attiva pur non essendo prevista spiegandoci che questo avrebbe voluto il mercato. Ed è così. In 7 anni di lavoro in proprio ho indubbiamente tradotto di più verso l’inglese che verso l’italiano. E comunque credo che al cliente si debbano fornire soluzioni, per ricollegarmi a un altro Suo post. In ogni caso la monodirezionalita’ è insegnata in molti corsi universitari di traduzione, da docenti che non riflettono sul fatto che è stata una loro scelta, dettata dal momento di entrata nel mercato e dallo sviluppo della loro carriera (se sei più docente che traduttore, è chiaro che puoi permetterti di selezionare. Ma non è un dogma, è una possibilità).
Luca Lovisolo ha detto:
Grazie per il Suo apprezzamento e per aver portato la Sua esperienza. LL
Fabio Salsi ha detto:
Io devo dire che non sono d’accordo. Ci possono essere situazioni in cui un non madrelingua può fare un lavoro migliore di un madrelingua, ad es un testo tecnico: un non madrelingua specializzato probabilmente farà una traduzione migliore di un madrelingua non specializzato. Ma quando si va su testi leggermente più creativi, ad es. il turismo è difficile trovare un non madrelingua che abbia una padronanza tale dello stile da produrre testi idiomatici e coinvolgenti. Inoltre, se come alcuni hanno commentato, tradurre verso la seconda lingua richiede molto più tempo, dal punto di vista economico non è quindi una scelta molto saggia a meno che non di chiedano tariffe molto più alte.
Luca Lovisolo ha detto:
Infatti, come avrà notato, le riserve che Lei indica sono citate anche nell’articolo.
Caterina Cutrupi ha detto:
Condivido pienamente l’articolo, finalmente una visione competente, razionale e soprattutto realistica. E quanto è vera questa affermazione: «Tutto restando nella relazione privatistica fra traduttore e committente.» Mio malgrado, mi sono trovata anni fa a non poter più rifiutare le richieste di traduzione verso l’inglese da parte dei miei clienti (parlo di courtesy transaltions). Da allora traduco verso l’inglese la stragrande maggioranza dei documenti legali che mi viene affidata. Senza modestia, con soddisfazione dei miei clienti (e mia). Bravo Luca!
Luca Lovisolo ha detto:
Grazie Caterina per l’attenzione e l’apprezzamento. LL
Giorgio Alafogiannis ha detto:
Condivido tutti questi pensieri, io per quanto mi riguarda sono bilingue e posso tradurre in entrambe le lingue (madrelingua italiano – greco e v.v.). La stessa preparazione culturale e tecnica. Questo vale anche per l’interpretariato da/verso… Comunque è sicuro che si può fare anche verso l’altra lingua, con la dovuta e adeguata preparazione ed esperienza. Il problema sono gli «improvvisati» traduttori in ufficio che parlano (anche bene) una lingua e credono di essere e poter fare i traduttori. Sono i nostri peggiori avversari… Grazie a tutti
Christine Clover ha detto:
L’articolo è (come sempre) molto ben argomentato e il Suo uso della lingua italiana mi piace (anche come sempre), ma è difficile per me, come traduttrice americana (di madrelingua inglese, naturalmente!), essere totalmente d’accordo con l’articolo. Visto che la mia lingua è troppo spesso considerata una «lingua facile» e molte, molte persone non madrelingua inglese pensano di saperla «perfettamente,» comunque la moltitudine di errori che ho visto nei testi tradotti da non-native speaker mi fa piangere. Forse è per questo che c’è generalmente una forte tradizione fra i traduttori inglesi e americani di non tradurre verso la lingua straniera, ma devo pensarci. Ringrazio per i Suoi pensieri su questo argomento.
Luca Lovisolo ha detto:
Come scrivo nell’articolo, il presupposto per tradurre verso la lingua straniera è conoscerla sufficientemente bene. Certamente non si può scusare la leggerezza di chi traduce pensando di conoscere la lingua, ma in realtà non ne è in grado. Le persone capaci di produrre testi scritti di buona qualità in una lingua non propria ci sono, anche fra non traduttori. Anzi… mi viene quasi fatto di pensare che se ne trovino più fuori dall’ambiente della traduzione che fra i traduttori stessi. Grazie per l’attenzione e l’apprezzamento. Cordiali saluti. LL
Tiziana ha detto:
La «regola» di tradurre verso la lingua madre, o quanto meno quella che si usa di più e in cui si è più sicuri, avrebbe un senso se la rispettassero tutti. Il problema è che i clienti diretti interpretano spesso il consiglio di rivolgersi a un madrelingua come elegante scusa da scansafatiche e il più delle volte ripiegano su improvvisati, che accettano con incoscienza e senza remore, per cui tanto vale accettare l’incarico, tanto più che un traduttore sicuramente conosce bene le sue lingue di lavoro e opera con il dovuto grado di coscienziosità che solo chi fa questo mestiere conosce. Io faccio spesso rivedere a persone competenti tutti i testi che traduco verso il tedesco, e spesso mi sento dire che gli eventuali interventi di correzione sono di carattere puramente stilistico e assolutamente non strettamente necessari. Credo che valga così per tutti i traduttori professionisti, per cui via le remore!
Patrizia Bottassi ha detto:
Articolo interessante, ben costruito. Per la prima volta si dà «parola» e valore alla traduzione verso la lingua straniera. Concordo pienamente, è del tutto vero che la revisione viene fatta anche su testi tradotti nella propria lingua madre.
Luca Lovisolo ha detto:
La necessità della revisione, a mio giudizio, dipende più dal tipo e dalla destinazione del testo che dalla lingua in cui lo si scrive. Un commento su Facebook o un articolo sul proprio blog possono contenere qualche imperfezione; un libro, in qualunque lingua lo si scriva o traduca, verrà comunque sempre rivisto, poiché questo prodotto editoriale lo richiede a prescindere da altre considerazioni. Cordiali saluti.
Flavia ha detto:
Non posso non essere d’accordo. I traduttori interni di molte istituzioni governative italiane lavorano spesso verso la L2. Per chi volesse leggerlo, rimando all’articolo che ho scritto un po’ di tempo fa con il contributo di valenti colleghi, reperibile al link http://www.mediazioni.sitlec.unibo.it/index.php/no-16-2014/96-dossier-traduzione-specializzata-2014.html. Flavia
Luca Lovisolo ha detto:
Grazie per questo contributo. Aggiungo che in molti ambiti internazionali, scientifici o istituzionali, è normale scrivere in lingua straniera e c’è chi lo fa a ottimo livello, anche non essendo traduttore. Cordiali saluti. LL
Lorenzo Martinelli ha detto:
E se invece di parlare di lingua materna e lingua straniera, si parlasse invece di lingua di competenza? Di lingua di uso abituale? Facendo un esempio tratto dalla mia pratica professionale, io non ho esitazioni a tradurre verso la mia «lingua straniera» determinati testi in determinati argomenti per i quali sono competente. E lo faccio senza esitazioni, con piena conoscenza di causa perché conosco tali argomenti. Li conosco forse meglio nella «lingua straniera» che nella mia lingua materna.
Stefano Domenico Peres ha detto:
Sono d’accordo, e fa pensare. Vivo di nuovo in Italia ma parlo spagnolo costantemente, conosco determinate cose più nella loro lingua che nella mia. Lingua di competenza, in effetti, suona meglio.
Luca Lovisolo ha detto:
Mi sembrerebbe una buona idea. Cordiali saluti. LL
Rosa ha detto:
Mettiamoci pure che molto spesso nonostante la responsabilità noi traduttori siamo pure sottopagati (vedere al riguardo le tariffe dei tribunali), mettiamoci pure, in più, che ci sono impiegati di aziende che s’improvvisano traduttori di lettere con Google con risultati discutibili (usassero almeno wordreference….), questa storia della monodirezionalita’ della traduzione fa proprio piangere…..
Francesco Sframeli ha detto:
Ottimo articolo, sono d’accordo con lei. Per caso è stato ispirato dalla sua discussione su Facebook proprio su quest’argomento? Lo diffonderò sui miei canali, basta con lo stigma!
Luca Lovisolo ha detto:
Grazie per l’apprezzamento. Sì, molti articoli di questo blog nascono da confronti sorti nelle reti di socializzazione. Cordiali saluti. LL