Crimea e Russia: il referendum del marzo del 2014 è illegittimo. Le motivazioni secondo il diritto internazionale. La Crimea è stata annessa con la forza alla Federazione russa, ma il Cremlino pretende che il risultato della votazione sia riconosciuto. La confusione tra il piano politico e quello giuridico non aiuta. Il referendum sarebbe nullo persino se non vi fosse stato l’intervento di Mosca.
Nel marzo del 2014 la penisola della Crimea, protesa nel Mar Nero, è stata annessa di fatto alla Russia. Secondo Mosca, la popolazione della Crimea ha votato a larghissima maggioranza a favore dell’annessione, in un referendum che i russi pretendono venga riconosciuto dalla comunità internazionale. Rispondo qui, da un punto di vista strettamente giuridico, a questa domanda: il referendum con il quale oltre il 90% degli abitanti della Crimea avrebbe scelto il passaggio della Crimea alla sovranità russa, è legittimo oppure no?
E’ necessario separare il piano politico, del quale questo articolo non si occupa, da quello giuridico. Anche sul piano politico le pretese di Mosca sono prive di fondamento, ma la confusione rende difficile comprendere i fatti. Presso molti organi d’informazione, purtroppo, tale confusione è all’ordine del giorno.
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Crimea e Russia: il referendum è illegittimo, la risposta è chiara
Sul piano giuridico la situazione è molto chiara. Il referendum con il quale la popolazione della Crimea, a dire di Mosca, ha votato per il passaggio alla sovranità russa, è illegittimo. Nulla rilevano la percentuale dei votanti e il risultato della consultazione. Le ragioni sono le seguenti.
La secessione di una parte di territorio di uno Stato, come avvenuto per la Crimea, deve svolgersi mediando due principi del diritto internazionale: quello dell’integrità territoriale (Carta ONU, art. 2 cpv. 4) e quello dell’autodeterminazione dei popoli (Carta ONU, art. 1 cpv. 2 e art. 55 cpv. 2). Ecco cosa affermano questi due principi.
Il principio dell’integrità territoriale stabilisce l’inviolabilità delle frontiere di uno Stato. Gli Stati «devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite» (Carta ONU, art. 2, cpv. 4). La conseguenza di questo principio è che le frontiere di uno Stato non si possono modificare senza il consenso dello Stato stesso. Anche un referendum come quello indetto in Crimea dalla Russia, resta uno strumento illegittimo, se viola questo fondamento.
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Il principio di autodeterminazione dei popoli afferma che ogni popolo può scegliere, con libera espressione di volontà, la forma di governo del proprio Stato e la forma in cui avere relazioni con la comunità internazionale. Ciò significa che può decidere se costituire uno Stato autonomo e governarsi come crede, oppure far parte di un altro Stato.
La modifica unilaterale dei confini non è accettabile
Se però una comunità facente parte di uno Stato già esistente dichiara unilateralmente la propria secessione, cioè la separazione del suo territorio da quello Stato, ciò causa una modifica delle frontiere dello Stato interessato senza il suo consenso. Se, ad esempio, un dipartimento francese volesse separarsi dalla Francia per costituire uno Stato indipendente, ne deriverebbe una modifica dei confini francesi. Ciò non potrebbe avvenire senza il consenso della Francia stessa, o costituirebbe una violazione del principio di integrità territoriale.
Ne consegue che un popolo è certamente libero di autodeterminarsi, anche di staccarsi dallo Stato in cui si trova, ma deve prima ricercare l’accordo con lo Stato in questione. Ciò può essere molto difficile, ma è l’unica via per conciliare gli interessi dello Stato preesistente, che non si possono ignorare, con quelli del territorio che vuole separarsene. La comunità internazionale, da parte sua, riconosce la secessione solo se è avvenuta nel rispetto dei diritti di tutti, secondo le regole già previste dallo Stato preesistente o con esso concordate per il caso specifico.
Il referendum per l’indipendenza della Crimea è avvenuto senza il consenso dell’Ucraina. Non solo: è stato indetto e organizzato da autorità fedeli allo Stato che occupa militarmente la penisola, la Russia. Non si è avuta la presenza di osservatori internazionali, contrariamente a quanto affermano alcuni media: gli osservatori stranieri invitati erano esponenti politici esteri aderenti a partiti vicini a Mosca, non funzionari di organizzazioni internazionali riconosciute.
Crimea, Russia e referendum: elemento oggettivo e soggettivo
Al referendum è seguita la dichiarazione d’indipendenza della Crimea, con la sua successiva annessione a un altro Stato, la Russia. Questi atti hanno comportato una modifica dei confini ucraini non concordata con l’Ucraina stessa, ossia una violazione del principio di integrità territoriale. Se anche emergesse che gli abitanti della Crimea si sono davvero espressi a favore dell’annessione alla Russia, vi sarebbe solo l’elemento soggettivo, ossia la manifestazione di volontà in tal senso. Mancherebbe sempre la base legale oggettiva, cioè l’accordo con lo Stato dell’Ucraina, con il quale si sarebbe dovuta negoziare preventivamente la procedura.
Vi sono solo tre casi, nei quali l’autodeterminazione di un popolo può giustificare una secessione senza il consenso dello Stato interessato: se tale popolo sia sottoposto a occupazione militare, subisca un regime coloniale o soffra gravi discriminazioni per motivi politici o razziali. Non risulta che in Crimea, sotto la sovranità ucraina, si verificassero tali presupposti. L’occupazione militare era ed è, semmai, opera della Russia. Anche sotto questo profilo, perciò, lo svolgimento del referendum per l’annessione della Crimea alla Russia si conferma illegittimo.
La Russia non può nemmeno affermare che l’Ucraina controllasse illegalmente la Crimea. Fu la Russia stessa, nel 1954, a cederla volontariamente all’Ucraina, ambedue allora repubbliche sovietiche, ma soggetti di diritto ben distinti, all’interno dell’URSS. Per sessant’anni la Russia non ha mai contestato questo stato di fatto: ha invece riconosciuto più volte i confini ucraini, comprendenti anche la Crimea, siglando con Kyiv un gran numero di trattati internazionali, senza mai eccepire la sovranità ucraina sulla penisola.
Referendum per l’indipendenza, legittimi e no: precedenti
Altri referendum simili si sono svolti in Europa: citiamo ad esempio quello per l’indipendenza della Scozia dal Regno unito e quello per l’indipendenza della Catalogna dal Regno di Spagna. Il referendum scozzese è avvenuto con il consenso delle autorità di Londra, formalizzato nell’accordo siglato nel 2012 a Edimburgo tra il Governo locale e quello centrale britannico. Questo referendum, pertanto, è da considerarsi legittimamente avvenuto.
Diverso è il caso della Catalogna, dove il referendum per l’indipendenza è avvenuto senza il consenso del governo centrale spagnolo, perciò non ha prodotto alcuna modifica dei confini e dello status quo. Anzi, ha scatenato gravi conseguenze giudiziarie per i politici che se ne sono fatti promotori.
Per questi motivi, il referendum per l’indipendenza della Crimea dall’Ucraina e la sua annessione alla Russia non è legittimo e ed è privo di qualunque effetto giuridico. Così sarebbe, per mancanza di requisiti oggettivi, persino se non si considerassero l’intervento militare e l’influenza politica della Russia.
Con l’invasione e l’annessione della Crimea e tutti gli atti che vi hanno fatto seguito, la guerra tra Russia e Ucraina mette in gioco principi che hanno assicurato in Europa 70 anni di pace e stabilità.
(Articolo pubblicato in originale il 11.6.2019, ripubblicato con aggiornamenti il 24.4.2023)
Franco Quercioli ha detto:
L’Europa non ha avuto 70 anni di pace e stabilità. Ma solo 46. Poi ci sono stati 10 anni di guerre balcaniche e ancora le tensioni in quelle regioni sono molto alte. La successiva pace è durata solo 14 anni. Perchè governi, politici, giornalisti e commentatori di ogni genere fingono tutti di non ricordare la Jugoslavia’
Luca Lovisolo ha detto:
Nessuno dimentica la Jugoslavia. La guerre in Jugoslavia avevano portata locale e non mettevano in discussione l’assetto complessivo dell’Europa, per questo motivo si parla di “settant’anni di pace”. La guerra in Ucraina, al contrario, fa parte di una strategia esplicitamente mirata a sovvertire l’ordine democratico non solo dell’Ucraina stessa, ma dell’intera Europa. Per questo si applicano criteri di giudizio diversi, benché le guerre siano tutte parimenti dolose. Cordiali saluti.