
Chi ha ragione, quando nasce un’incomprensione sul conteggio dei caratteri di una traduzione? Nascono equivoci che generano discussioni e perdite di tempo. Gli standard di conteggio sono evidenti per gli operatori del settore, ma possono non essere chiari per il cliente non abituato a lavorare con dei traduttori. Entrano in gioco fattori più complessi di quanto normalmente si pensi.
Nell’attività del traduttore, una delle cause più ricorrenti di fraintendimento con i clienti è la determinazione della quantità. Il caso si verifica particolarmente se il computo avviene sul testo di destinazione, cioè quando non è possibile sottoporre al cliente una quantità precisa già nel preventivo. Come sappiamo, vi sono degli standard di conteggio: per gli operatori del settore, sono evidenti. Il fatto che gli spazi bianchi siano inclusi, ad esempio, oppure che i numeri, i nomi propri e altri elementi non traducibili del testo rientrino in ogni caso nel calcolo dei caratteri sul quale si fonda la fatturazione del corrispettivo.
Non è affatto certo che il cliente veda le cose allo stesso modo. Sappiamo che, normalmente, il cliente, soprattutto se cliente finale, non conosce le metodiche di conteggio praticate dai traduttori e non sempre si riesce davvero a convincerlo. Pensa di trovarsi di fronte a errori di calcolo, se non addirittura a un tentativo di frode. Talvolta nascono discussioni a posteriori, che comportano perdite di tempo e che possono concludersi con qualche «sconto non preventivato,» pur di chiudere la controversia. Sul piano giuridico la questione è complessa, poiché tocca il grado di informazione e i rispettivi convincimenti delle parti al momento del conferimento dell’incarico.
Facciamo un semplice esempio pratico. L’azienda A richiede al traduttore B il preventivo per la traduzione di un manuale informatico dall’inglese all’italiano. Il traduttore propone un prezzo di «35.– EUR a cartella di 1375 battute,» aggiungendo che il prezzo finale sarà determinato sulla lunghezza del testo di destinazione. L’azienda accetta.
Alla consegna del lavoro, però, il cliente contesta la fattura osservando che nel conteggio sono comprese parti di testo non tradotte, quelle che riportano delle porzioni di codice di programma, che devono restare inalterate. Richiede, perciò, che il prezzo della traduzione sia rideterminato sulla base del testo effettivamente tradotto. Da parte sua, il traduttore sostiene che nel conteggio, salvo diverso specifico accordo, entrano anche le parti che non vanno tradotte. Nasce una controversia sulle condizioni pattuite all’atto dell’incarico.
La conclusione di un contratto presuppone l’incontro di due manifestazioni concordi di volontà: «di due manifestazioni concordi di volontà», per l’appunto, non «di due volontà concordi.» Non vi è dubbio, nell’esempio appena citato, che le manifestazioni concordi vi sono state: il traduttore ha formulato la sua proposta, il cliente l’ha accettata e il contratto fra i due si è validamente concluso. Diversi sono, però, i convincimenti delle due parti che hanno portato a questa conclusione: per il traduttore è normale conteggiare anche il testo che resterà non tradotto, mentre il cliente considera normale il contrario. Dal suo punto di vista, è sensato credere che la prestazione d’opera del traduttore si calcoli sulla quantità di testo elaborato, escludendo le parti che sono rimaste invariate.
Si entra qui nella complessa disciplina degli errori nella formazione della volontà, che qui possiamo sintetizzare in questo modo: è ragionevole pensare che il cliente, al momento in cui ha accettato il preventivo, sapesse o immaginasse che nel settore della traduzione, salvo diverso accordo, è uso conteggiare il testo nel suo insieme, anche le parti che non vengono tradotte? D’altra parte: poteva il traduttore riconoscere che il cliente era in errore, oppure no? Rispondere a questi due quesiti in modo convincente non è sempre facile.
Altro aspetto è l’ammontare della differenza di prezzo: se la differenza fosse rilevante al punto da condizionare il consenso («se avessi saputo che costava così, non avrei accettato») potrebbe aver luogo l’annullabilità del contratto. E’ per questo insieme di motivi, che le non infrequenti controversie simili al nostro esempio non si lasciano risolvere in poche battute: nei casi più gravi rischiano seriamente di dover essere rimesse alla valutazione del giudice.
Per prevenire queste situazioni è sufficiente un accorgimento che troppo spesso, nel settore della traduzione, trascuriamo: lasciare il minor numero possibile di elementi incerti o da valutare alla consegna e definire con precisione fin da subito le condizioni dell’incarico, non solo le quantità e i prezzi (altri elementi importanti sono i termini di reclamo e, con i clienti esteri, il foro competente e il diritto prevalente, ad esempio). Si è tentati di pensare che questa definizione scritta comporti la redazione di un lungo e difficile documento contrattuale: non è così.
Nel caso che abbiamo utilizzato qui come esempio, una semplice integrazione alla formulazione «35.– EUR a cartella di 1375 battute compresi gli spazi bianchi e incluse le parti contenenti le istruzioni di programma» sarebbe stata sufficiente a chiarire un punto sul quale è possibile che cliente e traduttore abbiano visioni diverse, ed evitare così una spiacevole contestazione. Lo stesso può dirsi per tutti gli altri aspetti di un incarico di traduzione.
Nella maggioranza dei casi, un semplice modello fax o e-mail che contenga i dati essenziali, spiegati con sinteticità e chiarezza, sui quali richiedere la conferma del cliente, basta a evitare successive discussioni che possono guastare una relazione commerciale e causare perdite economiche.
(Articolo pubblicato in originale il 17.1.2013, ripubblicato con aggiornamenti il 6.3.2019)