Il Sudafrica contro Israele all’Aja, con l’accusa di genocidio, dinanzi alla Corte internazionale di giustizia. Il ricorso sui fatti di Gaza seguiti all’attacco del 7 ottobre 2023. Cosa dice la Convenzione internazionale contro il genocidio. La questione degli arabi di Palestina e i dubbi suscitati dalla posizione del Sudafrica. La risposta di Israele e i possibili sviluppi della vicenda, tra «Sud globale» e Occidente.
Il 29 dicembre 2023 lo Stato del Sudafrica ha depositato un ricorso presso la Corte internazionale di giustizia dell’Aja contro lo Stato di Israele. Il Sudafrica accusa Israele di perpetrare un genocidio ai danni della popolazione arabo-palestinese abitante la Striscia di Gaza. Il titolo, cioè la norma su cui si fonda il ricorso del Sudafrica è la Convenzione delle Nazioni unite sulla prevenzione e punizione del delitto di genocidio (o crimine di genocidio, in Italia) del 9 dicembre 1948. La Corte internazionale di giustizia è un organo delle Nazioni unite. Decide le controversie di diritto internazionale fra gli Stati facenti parte delle Nazioni unite che accettano la sua giurisdizione.
Il Sudafrica non è coinvolto nei fatti in corso in Palestina. Ritiene però di essere legittimato attivo, cioè di avere diritto di depositare il ricorso contro Israele. Per prassi confermata da alcuni precedenti, infatti, ogni Stato firmatario della Convenzione contro il genocidio può convenire dinanzi alla Corte un altro Stato firmatario che sia sospettato di non rispettare la Convenzione stessa.
SUDAFRICA CONTRO ISRAELE ALL’AJA: L’ACCUSA DI GENOCIDIO
Il 7 ottobre 2023 lo Stato di Israele ha subito un pesante attacco aereo, via terra e via mare in partenza dalla Striscia di Gaza. L’attacco è stato orchestrato dal gruppo terroristico Hamas, che controlla il territorio di Gaza, densamente abitato da una popolazione arabo-palestinese. I lanci di missili dalla Striscia di Gaza contro Israele si sono succeduti per mesi. A seguito dell’attacco di Hamas, Israele ha contato 1400 vittime, cifra poi rettificata a 1200 e infine precisata a 1139 vittime.
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Nei giorni successivi, Israele ha intrapreso un’azione militare contro Hamas nella Striscia di Gaza, con l’intento di sopprimere le capacità militari del gruppo terrorista. Le operazioni aeree e terrestri contro Gaza mirano a distruggere i centri di comando e le stazioni missilistiche dalle quali partono gli attacchi contro Israele. L’operazione causa danni collaterali di grave entità, umani e materiali. Secondo Hamas, a Gaza si conterebbero più di 20’000 vittime, tra le quali alcune migliaia di bambini.
GENOCIDIO: COSA DICE IL DIRITTO INTERNAZIONALE
La Convenzione contro il genocidio definisce l’atto di genocidio così:
«Per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale:
a) uccisione di membri del gruppo;
b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo;
c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a
provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale;
d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo;
e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.»
I fatti indicati dalla Convenzione costituiscono l’elemento oggettivo del genocidio. Uccidere, ledere l’integrità o minare le condizioni di vita e riproduzione di un gruppo di una certa etnia, nazione, razza o religione. Il Sudafrica, contro Israele, all’Aja parte da questa definizione di genocidio.
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L’intenzionalità del genocidio secondo la Convenzione
La Convenzione precisa però che questi atti devono essere «commessi con l’intenzione» di distruggere, del tutto o in parte, tale gruppo di persone. In diritto, questa precisazione si definisce dolo specifico. La si ritrova anche nei codici penali nazionali. Nelle norme è introdotta dalle locuzioni al fine di, con l’intento di o con la preposizione per. Il caso più noto è quello del reato di furto: è punito solo chi sottrae un oggetto al fine di arricchirsi indebitamente. Per questo motivo, il furto di un oggetto senza valore non costituisce reato, poiché non arricchisce il ladro e non impoverisce la vittima.
Allo stesso modo, gli atti che costituiscono un genocidio devono essere compiuti, dice la Convenzione internazionale, con l’intento di distruggere in tutto o in parte una certa popolazione. Gli stessi atti compiuti senza questa intenzione restano gravissimi, ma non possono essere definiti genocidio, Non comportano l’applicazione della Convenzione contro il genocidio, perché non mirano a distruggere un popolo.
COSA CHIEDE IL SUDAFRICA CONTRO ISRAELE ALL’AJA: GENOCIDIO
Il ricorso del Sudafrica si apre riconoscendo l’insediamento del popolo ebraico in Palestina dal 1948 come atto di colonialismo. Tale atto, secondo il Sudafrica, ha espropriato e disperso il popolo arabo-palestinese e gli ha negato il diritto all’autodeterminazione. Israele, afferma il Sudafrica, sottopone gli arabo-palestinesi a una politica di apartheid. Le operazioni che Israele sta compiendo a Gaza dopo il 7 ottobre sarebbero il prolungamento di tutti gli atti compiuti in Palestina dallo Stato ebraico sin dal 1948. Secondo il Sudafrica, la Striscia di Gaza è tuttora un territorio occupato, poiché Israele ne manterrebbe il controllo anche dopo il ritiro dei coloni israeliani avvenuto nel 2005.
L’elemento oggettivo, cioè i fatti che all’Aja il Sudafrica riporta contro Israele per sostenere l’accusa di genocidio, sono l’uccisione di abitanti di Gaza e le gravi lesioni psicofisiche loro inferte. Il Sudafrica vede in questi atti un programma premeditato di azioni che formano un unico disegno criminoso, al fine di giungere alla distruzione fisica, totale o parziale, della popolazione di Gaza.
L’elemento soggettivo del genocidio, cioè la volontà di Israele di sopprimere del tutto o in parte la popolazione di Gaza, si desume, secondo il Sudafrica, dalla condotta stessa di Israele. Lo Stato ebraico attacca abitazioni e infrastrutture civili, impedisce l’accesso di aiuti umanitari e vede come nemico non solo l’ala militare di Hamas, ma l’intera popolazione di Gaza. Inoltre, il Sudafrica cita un lungo elenco di dichiarazioni di politici, giornalisti e persone di cultura di Israele. Da tali dichiarazioni, continua il Sudafrica, si comprenderebbe che Israele ha la volontà esplicita di distruggere la popolazione di Gaza.
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La posizione del Sudafrica sulle intenzioni di Israele
Israele vuole sopprimere Hamas, continua il Sudafrica, ma ciò non esclude e non giustifica un genocidio contro la popolazione di Gaza. Nemmeno il diritto all’autodifesa può motivare un genocidio, afferma il Sudafrica, anche se singoli cittadini di Gaza hanno compiuto atti violenti contro Israele – Il Sudafrica intende con ciò i guerriglieri di Hamas e gli attacchi del 7 ottobre.
Per il Sudafrica, in conseguenza, non siamo in presenza di un eccesso di legittima difesa. Israele avrebbe la volontà manifesta di distruggere la popolazione di Gaza. A conferma della gravità della situazione sul territorio, il Sudafrica riporta le dichiarazioni del Segretario generale delle Nazioni unite, secondo il quale a Gaza vi sono «una crisi di umanità, un inferno vivente e un bagno di sangue.»
Nelle sue conclusioni, il Sudafrica chiede alla Corte internazionale di giustizia di applicare misure cautelari. Tali misure significano, in sintesi, vietare a Israele di proseguire le sue operazioni militari nella Striscia di Gaza e cessare le dichiarazioni che inciterebbero a distruggere la popolazione arabo-palestinese.
ISRAELE: NON È GENOCIDIO, IL SUDAFRICA DISTORCE I FATTI
Agli argomenti del Sudafrica Israele ha risposto che lo scopo della Convenzione contro il genocidio è prevenire il genocidio, non regolare le conseguenze di azioni belliche, per quanto pesanti. La stessa Corte internazionale di giustizia, ricorda Israele, ha affermato che l’uso della forza non basta, per sé, a costituire un atto di genocidio.
Sui fatti, Israele riconosce che le ostilità causano un enorme tributo di vittime su entrambi i lati. Aggiunge, però, che Hamas ha diffuso le sue attività in tutta la Striscia di Gaza, un territorio dall’elevata densità di popolazione. Ha costruito gallerie a cui si accede attraverso abitazioni civili, moschee, edifici delle Nazioni unite, scuole e ospedali. Israele sottolinea che le informazioni secondo cui a Gaza vi sarebbero più di 20’000 vittime sono poco credibili e non verificabili. Non è noto neppure quanti morti fossero militanti di Hamas e quanti siano invece vittime collaterali di legittime azioni di difesa di Israele.
Israele afferma di non avere alcuna intenzione di distruggere la popolazione di Gaza, ma di avere piuttosto l’obbligo di difendere la propria popolazione, nel rispetto del diritto internazionale. Le citazioni riportate dal Sudafrica, secondo cui politici, militari e uomini di cultura israeliani inciterebbero al genocidio, provengono, secondo Israele, da dichiarazioni di singole persone o sono state estratte dal loro contesto, perciò non sono rappresentative delle intenzioni dello Stato ebraico.
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Le intenzioni di Israele rappresentate alla Corte
Sulle volontà dello Stato, continua Israele, fanno fede le dichiarazioni ufficiali del governo. D’altra parte, il governo ha smentito più volte dichiarazioni individuali inadeguate. Israele ricorda che il primo ministro Netanyahu ha affermato più volte che Israele combatte Hamas, non la popolazione civile, e che lo scopo dell’azione è scongiurare che da Gaza partano ulteriori atti terroristici. Anche le direttive dell’esercito israeliano indicano di evitare danni ai civili e di facilitare l’aiuto umanitario.
Nelle sue conclusioni, lo Stato ebraico afferma che le misure cautelari richieste dal Sudafrica all’Aja contro Israele per prevenire un genocidio imporrebbero la sospensione unilaterale delle attività militari, perciò negherebbero il suo diritto di difesa. Israele deve tutelare i propri cittadini, sia quelli aggrediti in territorio israeliano sia gli ostaggi ancora trattenuti da Hamas. Vittime collaterali e danni a strutture civili sono ammessi dal diritto internazionale, se risultano da attacchi su obiettivi legittimi.
Infine, Israele allega all’incarto del procedimento la documentazione delle azioni compiute per fornire aiuti umanitari a Gaza, alleviare le conseguenze sui civili ed evitare il più possibile vittime collaterali. Tra questo materiale vi sono la registrazione di 70’000 telefonate ai cittadini di Gaza, per invitarli ad allontanarsi dalle zone dei bombardamenti, le copie dei volantini distribuiti allo stesso scopo e le prove del ripristino della fornitura di acqua e alimenti sul territorio.
SUDAFRICA CONTRO ISRAELE: I DUBBI SUL RICORSO ALL’AJA
Il ricorso del Sudafrica si fonda su due affermazioni che si fatica a credere di leggere, in un atto di tale portata. Secondo il Sudafrica, Israele occupa la Palestina dal 1948 come potenza colonizzatrice. In questo ruolo, Israele praticherebbe una politica di apartheid contro gli arabi di Palestina. Queste due affermazioni sono false, per ragioni oggettive.
Israele non colonizza la Palestina. Ha pieno diritto di esistere in quel luogo, sia per elementari ragioni storiche e culturali sia per gli effetti giuridici della risoluzione delle Nazioni unite numero 181 del 1947, che sancisce il diritto del popolo ebraico di vivere in Palestina. La stessa risoluzione divide il territorio in due parti, destinate l’una agli arabi e l’altra agli ebrei. Per gli stessi motivi è falso affermare che Israele occuperebbe la Palestina dal 1948. E’ vero che Israele ha occupato in passato e occupa tuttora alcuni territori palestinesi assegnati agli arabi, in parte per ragioni di sicurezza, in parte per una politica rimproverabile di insediamenti illegali. Bisogna anche aggiungere, però, che non occupa tali territori dal 1948; alcuni li ha già restituiti e ha offerto di restituirne altri, senza però trovare l’accordo con gli arabi.
La questione dell’apartheid
L’apartheid è una politica di discriminazione razziale. Proprio il Sudafrica, per triste ironia della sorte, ne è citato a esempio, poiché l’ha praticata sino ai primi anni Novanta del Novecento. Apartheid significa l’esclusione totale o parziale dai diritti civili di un gruppo di persone, perché appartenente a una certa etnia. Nel caso del Sudafrica, le persone di colore vivevano segretate, per la sola ragione di non essere di pelle bianca.
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E’ vero che Israele prende da tempo provvedimenti che rendono difficile la vita degli arabo-palestinesi, particolarmente a Gaza. La causa di questi provvedimenti, però, non è l’appartenenza etnica degli arabi di Palestina, ma il fatto che dai territori arabo-palestinesi provengono da decenni attacchi alla sicurezza di Israele, culminati nei fatti del 7 ottobre 2023.
CHI SONO GLI ARABI DI PALESTINA
La Convenzione contro il genocidio, invocata dal Sudafrica contro Israele all’Aja, tutela dalla distruzione un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Prima di indagare se nella condotta di Israele ricorrano gli elementi del genocidio, è necessario stabilire se e come gli arabi che vivono nella Striscia di Gaza siano un gruppo qualificabile in uno di questi modi.
Sul territorio palestinese che le Nazioni unite hanno assegnato agli ebrei vivevano e vivono tuttora anche minoranze arabe. Israele ha conferito a questa popolazione araba la propria cittadinanza, come stabilito dalle Nazioni unite. Israele, così, oggi è lo Stato che ospita la più grande minoranza arabo-palestinese nel mondo. Per questo motivo è errato credere che la denominazione «palestinese» o meglio «arabo-palestinese» si riferisca solo agli arabi che abitano Gaza e la Cisgiordania. A Gaza, in particolare, vive solo un terzo di popolazione arabo-palestinese. Un altro terzo vive in Cisgiordania e un ulteriore terzo, circa due milioni di persone, vive in Israele. Gli arabi di Palestina, pertanto, sono un unico gruppo diviso fra tre territori inclusi in due entità amministrative: lo Stato di Israele e l’Autorità arabo-palestinese, non da tutti riconosciuta come Stato.
Se Israele avesse intenzione di distruggere gli arabo-palestinesi in quanto gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, le sue condotte colpirebbero tutti gli appartenenti a questo gruppo, nei tre territori. Al contrario, gli arabo-palestinesi che vivono in Cisgiordania non subiscono attacchi della stessa intensità di quelli che Israele sta compiendo sulla Striscia di Gaza. Quelli che vivono in Israele godono di pieni diritti civili, sono rappresentati in parlamento da un loro partito e alcuni prestano servizio nell’esercito israeliano. Inoltre, sino al 7 ottobre 2023 molti arabo-palestinesi di Gaza e Cisgiordania hanno lavorato legalmente in Israele, con normali permessi di lavoro.
Sudafrica contro Israele all’Aja: genocidio parziale?
E’ vero che la Convenzione contro il genocidio sanziona anche la distruzione parziale di una popolazione. Si potrebbe affermare, perciò, che Israele mira a distruggere solo la parte di arabo-palestinesi che vive a Gaza. Anche con questa precisazione, però, sembra difficile addebitare a Israele la volontà di distruggere parte degli arabi di Palestina in quanto gruppo etnico o religioso, come vorrebbe la Convenzione contro il genocidio, se un terzo di tale gruppo vive addirittura in Israele, beneficiando di tutte le garanzie di uno Stato di diritto.
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Israele agisce contro Gaza, perciò, non perché i suoi abitanti sono arabi o di religione musulmana, cioè in quanto gruppo etnico o religioso ai sensi della Convenzione contro il genocidio. Israele interviene perché da Gaza sono partiti gli attacchi del 7 ottobre, e molti altri precedenti. L’intenzione di Israele sembra piuttosto quella di distruggere una fonte di minaccia militare, non sopprimere la popolazione di Gaza a causa della sua appartenenza etnico-religiosa.
La natura dell’azione di Israele a Gaza
Israele interviene contro Gaza esercitando il suo diritto di autodifesa. E’ vero che Israele, ciò facendo, causa numerose vittime collaterali. Contrariamente a quanto si sente talvolta affermare, il diritto internazionale di guerra non esclude che uno Stato possa causare vittime civili collaterali, durante un’azione di difesa. Tuttavia, la legittima difesa di uno Stato, come la legittima difesa del cittadino, deve restare nei limiti del necessario. Nel difendersi, perciò, Israele deve limitare il più possibile il sorgere di vittime collaterali.
Nelle operazioni che sta conducendo a Gaza, Israele si espone al sospetto di abusare del suo diritto di difesa. Se nella condotta di Israele si vogliono cercare delle violazioni del diritto internazionale, piuttosto che nel genocidio è più probabile individuarle nell’eccesso di legittima difesa. Questo addebito, però, deve essere sostenuto da validi mezzi di prova. Nessuno ha ancora potuto accertare né la stima di oltre 20’000 morti a Gaza né se queste vittime siano collaterali ad azioni legittime di Israele, e non, piuttosto, causate da altri eventi.
La giornalista tedesca Tatiana Ohm ha potuto ascoltare le telefonate con le quali l’esercito di Israele informava la popolazione di Gaza, prima di bombardare gli edifici, invitandola a evacuarli. In molte di quelle chiamate gli abitanti di Gaza affermavano di essere disposti ad allontanarsi, ma Hamas impediva loro di abbandonare l’abitazione e la città. Se anche avessimo certezza del numero di vittime prodottesi a Gaza, dovremmo ancora distinguere le vittime collaterali della legittima difesa di Israele da quelle cadute come scudi umani per causa di Hamas, o per ragioni ancora diverse non indotte da Israele.
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La proporzionalità delle azioni di Israele a Gaza
Le distruzioni causate da Israele a Gaza sono ingenti. Questa distruzione era necessaria, per cancellare la capacità offensiva di Hamas contro Israele? La domanda è lecita, ma la risposta non può essere fondata sul pregiudizio o sulle emozioni suscitate dalle immagini diffuse in televisione. E’ necessario che un giudice o un ente terzo accerti fatti e circostanze. Un tale accertamento indipendente, a Gaza, oggi non è possibile. Anche le voci delle organizzazioni umanitarie, purtroppo, hanno perso la loro terzietà e credibilità. Il loro ruolo, a Gaza, si è esposto troppe volte al sospetto di collaborazionismo con i gruppi terroristici.
Tutto ciò che sappiamo è che Hamas ha realmente trasformato la Striscia di Gaza in un arsenale. Ha montato rampe per il lancio di missili e infrastrutture militari nei centri abitati, tra le abitazioni civili, persino nelle scuole e nelle strutture sanitarie. I terroristi di Hamas, inoltre, non sono militi di un esercito regolare. Non si può affermare che tutti gli abitanti di Gaza sono terroristi, ma bisogna riconoscere che i combattenti di Hamas non si distinguono dalla popolazione civile secondo criteri oggettivi, come accadrebbe se fossero militari di un esercito di Stato. La possibilità di errore e confusione, perciò, aumenta. Nel ricorso del Sudafrica all’Aja per genocidio contro Israele non vi è traccia di queste considerazioni.
D’altra parte, nessuno ha ancora saputo indicare quali azioni alternative concrete Israele potrebbe intraprendere, per tutelarsi da ulteriori attacchi da parte di Hamas provenienti dalla Striscia di Gaza. L’unico modo è colpire le infrastrutture e il personale operativo del gruppo terrorista. benché ciò esponga al rischio di danni e vittime collaterali.
UCRAINA VS RUSSIA: UN PRECEDENTE UTILE
Non è possibile analizzare nel dettaglio, qui, un numero rappresentativo precedenti al caso del Sudafrica contro Israele alla Corte dell’Aja: Il procedimento per genocidio più vicino e presente alla memoria di noi tutti è quello che ha opposto Russia e Ucraina. E’ un caso diverso nel metodo e nel merito, ma è utile farvi cenno.
E’ diverso nel metodo, perché l’Ucraina ha depositato presso la Corte internazionale di giustizia un ricorso in cui propone due domande. La prima, accertare che l’Ucraina non ha commesso alcun genocidio ai danni della sua popolazione di etnia russa. La Russia, infatti, ha cominciato la guerra in Ucraina con il pretesto di difendere cittadini di etnia russa da un presunto genocidio commesso dagli ucraini. La seconda domanda dell’Ucraina alla Corte è accertare che la Russia sta invece commettendo genocidio ai danni degli ucraini e condannare la Russia stessa a cessare questa condotta.
Nel merito, i due casi si distinguono perché Israele agisce a Gaza esercitando il diritto di autodifesa rispetto all’aggressione di Hamas. La Russia, al contrario, non è stata aggredita né dall’Ucraina né dall’Occidente.
Riguardo all’accusa specifica di genocidio, la Russia distrugge in Ucraina non solo vite umane e infrastrutture civili. Colpisce anche biblioteche, musei e altri luoghi che custodiscono l’identità nazionale ucraina. L’intento della Russia di distruggere la nazionalità ucraina è stato espresso senza alcuna moderazione in innumerevoli discorsi di dirigenti russi e del presidente Vladimir Putin. Quest’ultimo, in particolare, ha ripetutamente scritto e affermato che, a suo dire, la nazionalità ucraina non esiste, poiché russi e ucraini sarebbero un unico popolo. Tesi analoghe sono espresse nella dottrina che governa le relazioni internazionali russe da ormai quasi trent’anni.
Le differenze in sintesi, attendendo il giudizio
Tanto l’elemento oggettivo quanto l’elemento soggettivo del crimine di genocidio sono nettamente ipotizzabili, nella guerra della Russia contro l’Ucraina. Sembrano molto meno netti, invece, come abbiamo visto, nelle operazioni di Israele contro Gaza. La Corte non ha ancora depositato la sentenza sul caso Ucraina contro Russia. Intanto, ha però riconosciuto che nelle azioni russe vi sono i presupposti per adottare le misure cautelari. Per questo motivo ha imposto alla Russia di cessare il suo intervento in Ucraina. La Russia ha ignorato questa pronuncia.
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SUDAFRICA CONTRO ISRAELE, GENOCIDIO: COSA PUÒ SUCCEDERE ALL’AJA
Torniamo al caso della Palestina. La Corte internazionale di giustizia può decidere in due tempi. In un primo tempo decide se imporre le misure cautelari richieste, tutte o parte di esse. Questa fase può durare alcune settimane o alcuni mesi. Nel caso del conflitto in Palestina potrebbe imporre a Israele di cessare le operazioni militari a Gaza, in attesa di accertamenti. In questa fase, però, potrebbe anche decidere di respingere gli argomenti del Sudafrica e di non continuare la discussione del caso.
Se prosegue la discussione, in un secondo tempo la Corte deposita una sentenza con la quale decide nel dettaglio sul caso. Può anche accadere che esprima un giudizio più interlocutorio, ma è poco utile vagliare qui tutte le ipotesi. Bisogna attendere il deposito della sentenza, che può avvenire anni dopo l’apertura del procedimento.
La Corte internazionale di giustizia tratta controversie fra Stati, non le responsabilità personali. Quando si toccano violazioni che riguardano la vita e l’esistenza di individui e popolazioni, però, come il genocidio o la tortura, la distinzione fra Stati e persone si attenua. Gli Stati non agiscono da soli: sono governati da persone che decidono le loro politiche. Per giudicare le persone eventualmente trovate responsabili in un caso di genocidio, la Corte non ha però strumenti propri. Rimanda a tribunali appositi o agli organi di giustizia dei singoli Stati. Questi devono aver incluso nei loro codici penali dei reati che puniscano i crimini previsti dai trattati internazionali, tra cui il genocidio.
La debolezza del diritto e della Corte internazionale di giustizia
Questa struttura indebolisce l’incisività della Corte internazionale di giustizia. Se la Corte imponesse a Israele di sospendere in via cautelare le azioni militari a Gaza, Israele con tutta probabilità ignorerebbe questo ordine, rispondendo che esso nega il suo diritto di difesa, non solo: permette ad Hamas di riprendere i suoi attacchi. Una decisione di questo tipo potrebbe mettere in imbarazzo chi fornisce a Israele armi e supporto politico. Nel contesto attuale, però, difficilmente vi sarebbero conseguenze concrete sul sostegno che Israele riceve dai suoi alleati.
Se, giunta a sentenza, la Corte riconoscesse nelle azioni di Israele l’intento di commettere genocidio ai danni degli arabo-palestinesi di Gaza, i responsabili politici di Israele potrebbero essere fermati e giudicati da un tribunale penale istituito appositamente, oppure da un tribunale del luogo in cui è avvenuto il genocidio, cioè a Gaza. Sulla base della pronuncia della Corte, vi sarà l’intervento delle autorità dei singoli Paesi che potrebbero darle seguito, oppure la costituzione di un tribunale ad hoc. I tempi si allungano e le variabili si moltiplicano.
In conclusione, dalla decisione della Corte internazionale all’Aja sul caso del Sudafrica contro Israele per genocidio non ci si attendono effetti concreti a breve termine. Gli effetti a lungo termine potrebbero avere conseguenze personali per i responsabili politici o militari di Israele, ma in tempi e modi tali da non avere ricadute sulle operazioni militari in corso a Gaza. Emergono, in questi casi, tutti i limiti degli organi di giustizia internazionali. Da una parte, la Convenzione contro il genocidio ha il merito di costituire con esattezza questa fattispecie giuridica. Dall’altra, la giurisdizione internazionale spesso non ha strumenti efficaci per sanzionarne le violazioni, oltre il valore simbolico e morale.
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SUDAFRICA CONTRO ISRAELE: PERCHÉ RICORRERE ALL’AJA PER GENOCIDIO?
Ci si può chiedere perché il Sudafrica si sia avventurato in un procedimento così incerto contro Israele. Qualunque cosa la Corte deciderà, è improbabile che abbia conseguenze immediate sui fatti di Gaza.
Il mondo è sempre più diviso tra Occidente e un «Sud globale» formato dai Paesi che rifiutano la società aperta e lo Stato di diritto. Questi ultimi tendono a coalizzarsi contro l’Occidente, poiché si ritengono svantaggiati e vittime di sfruttamento. La voce di questi Paesi si fa sentire, ad esempio, attraverso il gruppo BRICS e altre istituzioni internazionali. Ciò è bene, poiché vi sono situazioni in cui quella parte di mondo subisce realmente trattamenti iniqui.
Quando si osserva la condotta dei Paesi del Sud globale sulla scena internazionale, però, quando si ascoltano i discorsi dei loro dirigenti, è difficile non notare che la loro azione non riesce a superare la retorica terzomondista e politiche di stampo populista. Manca una capacità di iniziativa che affronti alla radice le cause della debolezza di quei Paesi. Questa, in parte, è causata da un passato di sfruttamento. In altra parte, però, è dovuta alla loro incapacità di cogliere le opportunità di sviluppo esistenti.
Prima che la Corte internazionale di giustizia depositi una sentenza sulla condotta di Israele a Gaza possono passare anni. Nelle prossime settimane, però, la Corte deciderà sulla richiesta di misure cautelari contro Israele. Se la Corte imporrà anche una sola delle misure richieste dal Sudafrica, dal punto di vista giuridico ciò non significherà che avrà condannato Israele per genocidio. I media e parte dell’opinione pubblica interpreteranno però quella decisione come una condanna.
Potenziali effetti della decisione sulla percezione del conflitto
Hamas è sostenuto da una parte non irrilevante di opinione pubblica, anche in Europa. Vi sono università, partiti politici e organi d’informazione che condividono le ragioni dei terroristi, anche se si celano dietro mille eufemismi.
Qualunque atto di un organo internazionale che permetta di affermare, anche in modo pretestuoso, che Israele sta commettendo un genocidio, sarebbe un’arma di comunicazione potentissima nelle mani politici, giornalisti, docenti universitari che riprendono la retorica di Hamas. Ancor prima della pronuncia definitiva della Corte, i dirigenti degli Stati del Sud del mondo, i media e una parte rilevante del mondo accademico affermeranno che Israele è stato condannato dalla Corte internazionale di giustizia per genocidio contro gli abitanti di Gaza. Si può immaginare quale sarebbe l’impatto sulla percezione del conflitto arabo-israeliano, già distorta da decenni di ignoranza e disinformazione.
Se invece la Corte internazionale di giustizia rifiuterà di applicare le misure cautelari, o addirittura rigetterà il ricorso del Sudafrica per mancanza dei requisiti di procedibilità, sarà additata come ente inutile e asservito all’Occidente. Si rafforzerà così un altro argomento propagandistico caro alle dottrine postcoloniali e alle correnti di pensiero che sostengono il cosiddetto mondo multipolare, le quali ritengono che le istituzioni internazionali rappresentino solo il mondo occidentale. L’impressione che si ricava dall’analisi del caso Sudafrica contro Israele, perciò, è che esso prosegua sulla linea d’azione dei Paesi del Sud globale, che hanno ragioni da rivendicare, ma non sempre dimostrano la capacità di concretizzare la loro azione oltre gli slogan antioccidentali.
Se i Paesi del Sud globale vogliono far sentire la loro voce a difesa dei loro interessi, il ricorso del Sudafrica alla Corte internazionale di giustizia contro Israele non sembra un passo nella giusta direzione ed è improbabile che possa alleviare le conseguenze del conflitto tra Israele e Hamas.
Armando Borghi ha detto:
Grazie per l’analisi lucidissima.
Armando Borghi
Luca Lovisolo ha detto:
Sono lieto che sia apprezzata.