In Svizzera cominceranno entro l’anno gli studi per portare i binari di AlpTransit da Lugano al confine con l’Italia. Intanto, a Roma si discute all’infinito sulla costruzione della tratta che unirebbe il nord del Paese al tracciato Lisbona – Kiev. Il confronto non potrebbe essere più illuminante. L’Italia preferisce l’alleanza con la Cina: quando deve scegliere tra Oriente e Occidente, il governo italiano di oggi non ha dubbi.
Il confronto tra la prima pagina del quotidiano svizzero Corriere del Ticino e quella dell’italiano Corriere della sera dell’otto marzo non potrebbe essere più illuminante. Mentre in Italia si discute all’infinito sulla costruzione di una tratta ferroviaria che unirebbe il nord del Paese al tracciato Lisbona – Kiev e in prospettiva verso la Cina, la Svizzera dà il via agli studi per prolungare la tratta ferroviaria veloce AlpTransit da Lugano, dove arriverà nei prossimi mesi, fino all’estremo sud del Paese, al confine con l’Italia.
AlpTransit non è una ferrovia ad alta velocità in senso tecnico, è un tracciato più veloce e parallelo, rispetto alla gloriosa Ferrovia del Gottardo. La vecchia linea non regge più i volumi in transito e obbliga i treni a salire alla quota di 1150 metri, attraverso un tortuoso percorso che rappresentò, quando fu realizzato, nella seconda metà dell’Ottocento, un capolavoro d’ingegneria, con i suoi ponti e le gallerie elicoidali. La nuova ferrovia, già oggi in esercizio sul troncone centrale, entra in un tunnel lungo 57 chilometri poco a nord di Bellinzona ed esce ad Erstfeld, a 80 chilometri da Zurigo.
Ha ridotto drasticamente il tempo di percorrenza tra due importanti città svizzere, cambiando la vita a molti pendolari e incentivando l’industria turistica, oltre al traffico merci. In aggiunta, è un asse di trasporto essenziale tra nord e sud Europa. A fine anno entrerà in funzione il troncone che unisce, quasi totalmente in sotterranea, Lugano a Bellinzona. I tempi di viaggio complessivi si accorceranno di un’altra ventina di minuti e vi sarà anche un sensibile vantaggio per la mobilità all’interno del Canton Ticino.
Nei giorni scorsi è stato annunciato che entro fine 2019 cominceranno gli studi per portare i binari di AlpTransit da Lugano fino al confine con l’Italia. Gli studi saranno pronti nel 2025: gli aspetti di cui tenere conto sono molti, anche di carattere ambientale, su un terreno geograficamente difficile e limitato (il territorio svizzero da Lugano al confine di Chiasso è una striscia densa di rilievi e larga pochi chilometri). Vi saranno discussioni e dibattiti, ma si può essere ragionevolmente certi che l’opera si farà, e si farà, come è già stato per il resto della tratta, senza chiedere soldi a nessuno, neppure ai Paesi confinanti, che pur beneficeranno indirettamente dell’opera. La consapevolezza ecologica, in Svizzera, è proverbiale: eppure, le opere si realizzano.
Quando AlpTransit arriverà a Chiasso, c’è da prevedere che ci si troverà nella situazione seguente: chi partirà da Milano impiegherà ancora, come oggi, da 45 a 90 minuti circa, oltre i frequenti ritardi, per compiere i 50 chilometri che separano il capoluogo lombardo dal confine svizzero, a dipendenza del treno scelto; da Chiasso in poi viaggerà su una delle infrastrutture ferroviarie più moderne d’Europa, costruita, per ironia della sorte, con la partecipazione di non poche imprese e maestranze italiane.
Le disonorevoli discussioni sulla TAV, che hanno abbandonato i dati oggettivi per trasformarsi in penosa rissa di politica interna, si accompagnano a un’altra scelta del governo italiano in materia di logistica internazionale: salvo ripensamenti dell’ultimo minuto, a breve Roma firmerà un memorandum d’intesa per far aderire l’Italia all’iniziativa cinese chiamata Nuova via della seta. Il progetto, per sé, presenta molte opportunità: unisce decine di Stati in una rete integrata di trasporto, via mare e via terra, fra Cina, Africa ed Europa.
Il punto critico è il modo in cui l’Italia vuole aderire al progetto. La Nuova via della seta non è solo una rete di trasporto, ha pesanti conseguenze geopolitiche: non è vero, che si tratterebbe semplicemente di una scelta commerciale. Tutti i Paesi occidentali sono scettici, verso questo progetto. In Cina, lo Stato interviene pesantemente in economia, la concorrenza non avviene su basi eque. Valgono standard economici, sociali e ambientali radicalmente diversi da quelli europei, in un Paese dove la società civile non ha alcun peso, almeno nel senso in cui la si intende in uno Stato di diritto.
Inserirsi nel progetto della Nuova via della seta come Paese di 60 milioni di abitanti, governato in questo momento da persone che hanno già fatto sospettare scarsa consapevolezza dei loro ruoli, non è un buon passo. La controparte è una potenza di un miliardo e quattrocento milioni di abitanti, governata da un regime autoritario che immette nelle imprese quantità di capitale che nessun gruppo industriale occidentale può eguagliare, falsando ogni logica di partnership equa. Non è bene che un Paese delle dimensioni della Cina investa in infrastrutture strategiche in un Paese come l’Italia, molto più piccolo e debole, che finirebbe rapidamente assoggettato alle volontà della controparte maggiore. A un progetto come la Nuova via della seta non si aderisce come Stato singolo, ma semmai come Unione europea, allo scopo di mettere sul piatto della bilancia il peso dell’intero Mercato comune. Proprio l’asse Lisbona-Kiev può rappresentare un contraltare più adeguato: potenzia anche il trasporto ferroviario verso l’Oriente e la stessa Cina, ma con investimenti europei.
In questa scelta a favore di Pechino, L’Italia volta la schiena persino agli Stati uniti, sebbene si ritenga generalmente che la linea del governo italiano attuale segua quella di Donald Trump. E’ segno che quando deve scegliere tra Oriente e Occidente, l’esecutivo di Roma non ha dubbi.
Non scrivo qui per discutere sull’essere favorevoli o contrari alla costruzione di ferrovie, ma per segnalare che le grandi infrastrutture hanno conseguenze profonde e durature sulla collocazione internazionale di un Paese. Si è legati, nel bene e nel male, ai Paesi con i quali si è collegati da vie di trasporto per merci e persone, e che hanno in tasca le chiavi degli investimenti strategici. La scelta tra la TAV come progetto europeo e un’adesione solitaria e sottomessa alla Nuova via della seta cinese è un altro scatto che l’Italia compie nel mutare il proprio orientamento internazionale. Da una parte c’è l’Unione europea, gli Stati del G7 e un mondo che si riconosce nei principi dello Stato di diritto; dall’altra c’è la Cina e un congiunto di Stati eurasiatici, orbitanti attorno a Mosca e a Pechino, che formano un club sempre più coeso di Paesi dall’economia dirigista, nei quali lo Stato interviene pesantemente a condizionare la vita pubblica e dove lo standard di libertà civili non è neppure paragonabile a quello a cui siamo abituati in Occidente.
Se questa metamorfosi italiana continuerà, è possibile che le generazioni attuali non avvertiranno, se non in minima parte, cambiamenti sostanziali. E’ la ragione per la quale coloro che siedono oggi al timone e decidono la rotta non se ne preoccupano: sanno che loro e la loro generazione difficilmente subiranno particolari scossoni. Il quadro comincerà a cambiare con la prossima generazione, quando giovani imprenditori italiani ed europei vorranno entrare sul mercato, ma lo troveranno falsato dalla presenza di operatori cinesi e russi dalle disponibilità economiche pressoché illimitate e dai modi spicci; quando si assisterà alle prime limitazioni delle libertà civili imposte dai nuovi padroni, per mantenere saldo il loro controllo, a cominciare dai media e da Internet.
In tutto ciò, l’elemento meno rassicurante è la totale indifferenza della popolazione rispetto a ciò che sta accadendo. Una comunicazione superficiale e sensazionalista fa leva sulla generale impreparazione del pubblico verso l’analisi degli scenari internazionali, anche la più semplice.
«Perché dovrebbe interessarmi, ciò che fa il governo in Cina e in Russia?» Te lo spiegheranno i russi e i cinesi stessi, se vorranno, caro cittadino, o lo capirai da solo quando ormai sarà tardi. Ma chissà, magari sarai contento di farti prendere a frustate. Essere liberi, in fondo, era una faticaccia.
Fosca Monesi ha detto:
Altri Paesi europei, Germania e Francia in testa, fanno da anni ACCORDI d’affari con la Cina, senza che l’UE abbia mai battuto ciglio. Gli USA fin dal “Pivot to Asia” di Obama hanno di fatto dimostrato quali sono i mercati prioritari a livello globale. La piccola Svizzera, anche se non UE, nel 2013 ha addirittura siglato un TRATTATO di libero scambio coi cinesi. Perché dunque tanto risentimento e aggressività verbale nei confronti dell’Italia che, solito fanalino di coda, si appresta a firmare un MEMORANDUM d’intesa, niente più che una “lettera d’intenti” (tra l’altro già firmato da altri 13 Paesi europei), il cui contenuto non verte su temi strategici per la sicurezza nazionale come il 5G?
Luca Lovisolo ha detto:
E’ una situazione molto diversa. Il quadro complessivo è un altro, il progetto Nuova via della seta non è un trattato di libero scambio (che, come ricorderà, anche in Svizzera non è stato firmato senza riserve e polemiche, soprattutto per quanto riguarda la questione dei diritti umani). Nessuno dice che non si debbano cogliere le opportunità dei mercati asiatici. Si dice, piuttosto, che lo si deve fare nella consapevolezza delle conseguenze geopolitiche di tale atto e soprattutto da una posizione di forza, non come partner deboli di una potenza venticinque volte più grande. Quanto al contenuto del Memorandum d’intesa, è stato detto che il testo non contiene riferimenti al 5G, ma i dettagli del testo, sino a oggi, sono segreti: lo si è detto per rassicurare gli USA, ma, dal poco che si sa, nel Memorandum è comunque incluso un capitolo sulle telecomunicazioni. Le infrastrutture in gioco e la possibilità che l’Italia si indebiti con enti statali e istituti di credito asiatici sono questioni ben diverse e più gravide di conseguenze, rispetto a un trattato di libero scambio o a intese commerciali generiche.
Vero che altri Paesi hanno firmato intese con la Cina per questa iniziativa: confronti le dimensioni e il peso dell’Italia rispetto agli altri, e vedrà perché il passo dell’Italia preoccupa di più, senza contare che l’attuale governo italiano suscita per sé assai poca fiducia. La credibilità personale dei governanti, ampiamente sotto il livello di guardia a Roma oggi, non è un criterio privo di peso, in questioni di tale importanza. Non dipende dall’orientamento politico o dai partiti di appartenenza, ma dalla capacità delle persone di rendersi affidabili.
Quanto al fatto che il Memorandum sia un documento commerciale, perciò senza valore politico, è bene ricordare che le intese commerciali sono anche politiche, se giungono a queste dimensioni. Non è una scusante, affermare che il documento non vincolerebbe l’Italia giuridicamente o politicamente, ma solo commercialmente (sempre che sia vero, visto il mistero sul contenuto): se l’intesa si firma, è perché le parti intendono attuarla, in quanto hanno identificato interessi ben precisi. Tali interessi sembrano non essere in primo luogo economici, ma piuttosto geopolitici: l’allineamento dell’Italia ai Paesi eurasiatici e il suo allontanamento progressivo dall’Unione europea, soprattutto se letta insieme alle esitazioni sulla TAV e all’atteggiamento del governo italiano attuale verso le istituzioni europee. Ancora questa mattina, una convincente analisi di Francesco Giavazzi sul Corriere della sera metteva in luce quanto sia difficile spiegare razionalmente questa scelta, dal punto di vista economico. E’ un passo che con tutta evidenza ha altri retroterra non dichiarati. Per essere intuiti. questi richiedono un’attenzione che il cittadino comune, purtroppo, solitamente non riserva alle questioni internazionali, anche se scelte di campo come questa possono incidere pesantemente e durevolmente sulla vita di ciascuno. Cordiali saluti. LL