Alcune pagine dal nuovo libro «Il progetto della Russia su di noi.» Una sintesi del ruolo della Russia in Europa, rivolta anche ai lettori non specialisti. Dopo la sconfitta in Afghanistan, è cambiata la strategia russa. Cosa significa «guerra ibrida» e come viene usata da Mosca per compensare la sua inferiorità militare. Le conseguenze di questa dottrina sulla vita quotidiana di tutti noi.
Queste righe sono tratte dal libro «Il progetto della Russia su di noi: dalle trattative del Metropol all’egemonia di Mosca sull’Europa.» L’uscita è stata ritardata dalla pandemia, ma ciò ha consentito di inserire nell’analisi anche la vicenda degli aiuti russi all’Italia durante la crisi del nuovo Coronavirus. Questo estratto non contiene le citazioni e le fonti, che si trovano invece nel libro, disponibile >qui.
Bisogna spiegare, qui, il significato di guerra ibrida: la parola guerra è pesante, anche se l’aggettivo ibrida sembra mitigarla. Il concetto è ben noto agli studiosi di dottrina militare ma assai meno al grande pubblico.
Limitiamoci a dire l’essenziale: una guerra ibrida non è una guerra un po’ meno guerra delle altre. è, piuttosto, come afferma il ricercatore americano Timothy Snyder, una guerra peggiore e più pericolosa, perché nuova e strisciante, non meno efficace dei conflitti armati che abbiamo conosciuto nella Storia recente.
La guerra ibrida si combatte con strumenti detti anche asimmetrici, in verità non del tutto nuovi: i servizi segreti, le operazioni di ricognizione, l’influenza su mezzi e reti d’informazione, le pressioni economiche, i sabotaggi o gli attentati alle infrastrutture del nemico, l’impiego di formazioni militari o paramilitari private, il sostegno a partiti di opposizione e movimenti di protesta sociale. Strumenti che un tempo erano usati come supporto alle operazioni maggiori che si svolgevano sul terreno e con gli attacchi aerei.
Nella guerra ibrida, al contrario, gli strumenti asimmetrici sono equiparati a quelli tradizionali; anzi, si afferma ed è dimostrato che la guerra può essere combattuta e vinta già con questi, lasciando che l’intervento militare classico svolga compiti conclusivi o sinora considerati marginali. L’obiettivo del conflitto, ottenere il controllo politico, economico e territoriale sullo Stato nemico, si raggiunge comunque e con minore dispendio di risorse.
Alla Russia va il primato di aver sviluppato questa dottrina più di altri: la guerra ibrida nasce dalla consapevolezza della Russia di non poter competere con gli attori maggiori, sul piano delle risorse e del conflitto tradizionale. Qui, sull’argomento, può bastare come riferimento un solo testo, che tuttavia è un collettore di tutto ciò che è stato scritto in materia ed è sufficiente per farsi un’idea piuttosto chiara di ciò di cui stiamo parlando. È un documento di grande rilevanza, poiché ne è autore Valerij Vasil’evič Gerasimov, Capo di stato maggiore in carica delle forze armate russe. È la relazione da lui tenuta dinanzi all’assemblea plenaria dell’Accademia russa delle scienze militari nel gennaio 2013.
Rappresenta, perciò, la visione del vertice militare russo sulla condotta delle operazioni belliche presenti e future. Non è un caso che la Dottrina Gerasimov (che da allora porta il suo nome), pochi mesi dopo, tra la fine del 2013 e la primavera del 2014, abbia trovato la prima applicazione su larga scala con l’intervento russo in Ucraina. Qui, al contrario dell’Afghanistan, grazie all’applicazione della Dottrina Gerasimov la Russia ha conseguito, almeno sinora, un successo che difficilmente avrebbe ottenuto con operazioni militari tradizionali, che in Ucraina pur ci sono state. La reazione della comunità internazionale è stata complessivamente blanda, il conflitto prosegue sottotraccia e garantisce al Cremlino un controllo di fatto su ciò che accade nel Paese, non solo nelle regioni occupate.
Le armi possono non servire, dice Gerasimov, oppure entrano in gioco solo nella fase finale del conflitto, con l’alibi delle operazioni di mantenimento della pace, quando il conflitto è già vinto con altri mezzi: particolare importanza, in tutto ciò, va riconosciuta allo sfruttamento delle forze di opposizione politica del Paese estero, al ruolo dei media e della comunicazione di massa in generale.
Nell’uso dell’opposizione interna s’identifica il supporto del Cremlino ai partiti filorussi occidentali, che include il puntuale coinvolgimento russo in ogni possibile movimento di agitazione in Europa, dai sostenitori della Brexit agli indipendentisti catalani sino al movimento dei Gilet gialli francesi, tra le cui fila facevano capolino, senza neppure nascondersi alle telecamere, i volti di soggetti che agiscono sugli scenari civili e paramilitari di guerra ibrida russa dall’Europa all’Africa.
Il termine guerra dell’informazione, a sua volta, è difficile da tradurre univocamente, dal russo информационное противоборство, poiché ha un significato più esteso di quello che siamo soliti dargli in italiano e in altre lingue occidentali. Lo stesso vale per spazio dell’informazione (информационное пространство): talvolta può essere tradotto alla lettera, talaltra va reso con media o mezzi di comunicazione di massa, altre volte con reti di comunicazione o reti informatiche. Difficilmente si troverà un corrispondente adatto a tutti i contesti. Nella dottrina militare russa, infatti, i due termini includono sia le infrastrutture di comunicazione sia le azioni d’influenzamento dell’opinione pubblica con false notizie attraverso i media e Internet, ma anche la violazione di sistemi informatici e le attività di spionaggio. Queste attività, nella Dottrina Gerasimov, sono diventate la vera guerra.
Alla luce di ciò, restano ben pochi dubbi, sul fatto che l’intervento militare russo in Italia, dietro un apporto umanitario – definiamolo così – non insostituibile, durante la recente pandemia, sia stato per Mosca una straordinaria occasione per colmare le lacune di conoscenza e per elaborare risposte proprio alle questioni ancora irrisolte nel settore degli strumenti asimmetrici. Per questo, la missione di aiuto doveva essere condotta da militari, non da personale civile, e doveva essere guidata, come effettivamente è avvenuto, da alti gerarchi, in grado di riportare gli esiti direttamente alle massime autorità. L’Italia ha offerto alla Russia un contesto pressoché perfetto, a questo scopo.
Sul piano della propaganda, i risultati dell’operazione militare russa in Italia non si sono fatti attendere. Un articolato sondaggio della società SWG, svolto durante la pandemia, ha rivelato che gli italiani, alla domanda: «In futuro, con chi si deve alleare l’Italia?» hanno risposto Russia per il 32%, il 17% in più rispetto al periodo precedente il diffondersi del nuovo Coronavirus. Alla stessa domanda, ben il 52% degli italiani ha risposto Cina, il 42% in più rispetto ai mesi precedenti, sebbene la Cina sia all’origine del contagio: Pechino, durante l’emergenza sanitaria, ha fatto uso con grande abilità, pur in forme diverse, degli stessi strumenti di guerra ibrida impiegati dai russi.
Allo stesso sondaggio SWG, il 45% degli italiani ha risposto che la Germania è un Paese nemico dell’Italia. Allo stesso modo è precipitato il gradimento verso le istituzioni europee: ciò mentre la Banca centrale europea schermava con fiumi di denaro i tassi d’interesse dei titoli di Stato italiani, salvando la Penisola da una bancarotta sudamericana e mentre decine di ammalati lombardi del nuovo Coronavirus venivano curati in Germania. Sondaggi di altri istituti riportano esiti simili. Questi dati dimostrano quanto siano efficaci gli strumenti di guerra ibrida, per ottenere risultati strategici senza sparare un colpo.
Se in Italia, in quei giorni, si fosse votato per decidere le alleanze della Penisola, Russia e Cina sarebbero state le più gradite. L’Italia sarebbe uscita dal novero delle democrazie occidentali e i nuovi padroni avrebbero vantato che la sottomissione della Penisola era avvenuta per volontà popolare. Questi dati vanno ricordati, quando si parla dei referendum che la Russia organizza per far legittimare «democraticamente» alla popolazione la sua presenza nei territori che assoggetta a sé, dalla Crimea alle «repubbliche» del Donbass.
Eppure, il progetto della Russia non è inarrestabile. Dietro a metodi e strategie apparentemente all’avanguardia, vi sono obiettivi vecchi e scelte deboli. Se si conoscono gli errori e le contraddizioni dell’azione del Cremlino, si osserva che la strategia di Mosca non è affatto invincibile, a patto di non rendersene complici.
| Tratto dal libro di Luca Lovisolo: Il progetto della Russia su di noi – Dalle trattative del Metropol all’egemonia della Russia sull’Europa. Dettagli e acquisto >qui.