Per capire il significato della presenza di Aleksandr Dugin a Lugano per la Svizzera, l’Italia e l’Europa bisogna conoscere la sua Quarta teoria politica. Senza questa fondazione, le mosse di Putin in Georgia e Ucraina, i rapporti Russia-Cina, le evoluzioni in Asia centrale ex sovietica e i passi dell’attuale governo italiano sembrano slegati. Perché la Quarta teoria ci riguarda tutti e qual è la sua concretizzazione.
Aleksandr Dugin è lungo e stretto, più giovane di quel che vuole apparire. Quando entra nella sala conferenze di Lugano, sembra una di quelle matite che un tempo si regalavano ai bambini, sormontate, sull’estremità opposta alla punta, dalla testa di qualche personaggio con una lunga barba. Si siede dietro al tavolo, a fianco di un altro oratore che non potrebbe essere più diverso da lui: di minor statura, testa e volto rasati, fronte alta, mento volitivo, sguardo penetrante. Questo prende la parola per primo, ed è come se un busto marmoreo di Mussolini, dimenticato dietro al banco dei conferenzieri, si animasse di una forza misteriosa e cominciasse a parlare.
Dopo, la parola passa per poco a un oratore di cui non merita riferire e poi, più lungamente, all’economista italiano di cui ho detto nell’articolo della settimana scorsa (>qui). Infine, parla Dugin, politologo russo riconosciuto a ragione – e vedremo perché – come ideologo del regime di Vladimir Putin.
Per capire il significato di Dugin a Lugano per la Svizzera, l’Italia e l’Europa, bisogna conoscere la sua «Quarta teoria politica.» Dugin stesso mette a disposizione un videocorso completo, in cui la illustra dibattendo con dei giovani studiosi. Dodici filmati per oltre 25 ore di lezione, in russo, di qualità tecnica purtroppo carente, ma chiarissimi. Le lezioni orali sono meglio dei libri: non subiscono le levigature della scrittura e presentano la Quarta teoria così come esce dalla barba del suo autore. A Dugin va riconosciuta abilità: quando spiega la fondazione della Quarta teoria a partire dalla critica al Dasein di Heidegger, è difficile sottrarsi al fascino delle sue argomentazioni.
Conoscere la Quarta teoria di Dugin è necessario per capire la politica estera della Russia, il progetto di Putin su di noi europei (tutti, anche non Ue) e, in conseguenza, una buona parte dell’attualità internazionale. Senza questa fondazione, le mosse di Putin in Georgia e Ucraina, i rapporti Russia-Cina, le evoluzioni in Asia centrale ex sovietica, i passi dell’attuale governo italiano, che risponde a Mosca, restano fili che penzolano senza un perché. L’elemento unificante è il concetto di «euroasiaticità per il XXI secolo,» che Dugin espone in uno dei suoi seminari («Евразийство в XXI веке»). Capito questo, si accende la luce sul destino che la Russia sta preparando per noi, senza che nessuno le opponga sostanziali resistenze, anzi.
L’«Eurasia» non è solo un concetto geografico: Dugin stesso la definisce una costruzione razionale, canonica e di valori. Questa solidità è necessaria, perché rende l’Eurasia criticabile, nel senso filosofico e metodologico del termine: così, chi vuole attaccare l’idea di Eurasia deve farlo secondo una stringente logica argomentativa, non sulla base di opinioni o emozioni. L’Eurasia, in una parola, è un’ideologia: l’ideologia per il XXI secolo, che sostituisce le tre precedenti (liberismo, fascismo e comunismo). Per questo, la teoria di Dugin, costruita intorno all’Eurasia, è la «Quarta teoria politica.»
L’Eurasia siamo noi. Uno spazio che si estende dall’estremo orientale della Russia sino a Lisbona, includendo Russia, Europa e Asia centrale, e strettamente legata alla Cina. Per Dugin, l’Eurasia è opposta all’«Occidente:» come ha spiegato anche qui a Lugano, Occidente, secondo lui, è sinonimo di «anglosassone» (Inghilterra e Stati uniti). Noi – svizzeri, italiani, francesi… – non siamo occidentali: subiamo temporaneamente l’influenza impropria del capitalismo anglosassone, ma il nostro posto non è con gli Stati uniti, è nell’abbraccio euroasiatico con Mosca.
Sul fatto che noi europei siamo esposti a influenze improprie da parte degli Stati uniti, è facile essere d’accordo. Non basta, però: bisogna capire qual è il modello alternativo di società che la Quarta teoria di Dugin propone per l’Eurasia, della quale è impaziente che tutti diventiamo parte. Per saperlo, bisogna scorrere l’elenco delle dottrine che Dugin identifica come nemiche dell’Eurasia e che perciò, nella nostra nuova casa, non avranno diritto di domicilio. L’elenco è lungo e include liberisti, nazionalisti, fascisti, difensori dei diritti umani, razzisti, cristiani universalisti, una non meglio precisata «rete di agenti d’influenza atlantica» («сеть атлантистских агентов влияния»), sostenitori della Perestrojka di Gorbačëv e della Russia di El’cin, con molti altri.
Un elenco che appare contraddittorio, ma nella visione di Dugin non lo è. Queste dottrine, a suo dire, sostengono tutte l’esistenza di una civilizzazione unica, mentre l’Eurasia sarebbe espressione di pluralismo di civiltà. Il maggior nemico dell’Eurasia, naturalmente, è il liberismo, il cui pensiero è «una costruzione antitetica» al progetto eurasiatico. I difensori dei diritti umani sono nemici dell’Eurasia perché i diritti umani, secondo Dugin, non sono valori universali: sono espressione del liberismo e della visione anglosassone dell’individuo, opposta all’euroasiatismo.
Dugin stesso dice qual è, invece, la concreta realizzazione terrena dell’Eurasia: la Russia di Putin. Lo dice lui a chiare parole nei seminari, non è una mia deduzione. Lo è in «prospettiva storica:» ciò significa che la Russia porta su di sé la missione storica di realizzare L’Eurasia, allontanando dall’Europa (cioè da noi) la perversa influenza anglosassone e riportandoci sotto il tetto comune. Così, abbiamo trovato anche la fondazione teoretica del referendum per la Brexit: l’Inghilterra non è Europa, è «anglosassone,» come ha ripetuto più volte anche qui a Lugano, perciò è giusto che si sganci dall’Europa continentale. L’Unione europea, poiché è dominata dallo spirito del liberismo anglosassone, è, secondo Dugin, una sovrastruttura innaturale, per l’Europa. Si trova qui la fondazione dei mini-BOT italiani, primo passo per far uscire l’Italia dall’euro e dall’Unione europea, ridurre progressivamente l’Ue all’insignificanza e costruire una nuova Europa, «l’Europa che vogliamo noi russi» (parole sue).
Chi, come me, segue da vicino le mosse della Russia sullo scacchiere internazionale, vede bene che da una dozzina d’anni ogni atto di Mosca va esattamente nella direzione indicata da Dugin: dall’Ucraina al Caucaso, dalla Cina al Kazakistan, fino, da un annetto a questa parte, all’Italia, traballante vagone che gli elettori della Penisola hanno fieramente attaccato al treno di Putin.
Ci si può chiedere quale sarà il sistema economico della nostra futura casa Eurasia: Dugin lo spiega molto bene in un seminario specifico, «Il modello economico della Quarta teoria politica» («Экономическая модель четвёртой политической теории»). Lo fa partendo dalle tesi del sociologo statunitense neomarxista Immanuel Wallerstein, secondo il quale il mondo si va organizzando in tre poli: un polo in cui si concentra il capitale, un altro polo, opposto, in cui si concentrano le masse e un polo intermedio. Quest’ultimo è destinato a svuotarsi, perché le sue élite tendono ad assimilarsi al polo del capitale e le sue masse vengono assorbite dal polo opposto. Il ruolo della Russia, in questo scenario, è rafforzare il polo intermedio e lavorare per un «nuovo solidarismo» che unisca ricchi e poveri, affinché il polo intermedio resti in vita e combatta il polo del capitale.
La Russia, però, non può farcela da sola: deve allearsi con le economie emergenti dei BRICS, l’associazione dei cinque Paesi più dinamici del secondo mondo (oltre alla Russia, Brasile, India, Cina e Sud Africa). Quest’alleanza, finché sarà solo economica, non potrà funzionare. Otterrà il suo risultato – ascoltate bene – solo quando diventerà un’alleanza militare, che potrà contare sull’arsenale nucleare russo e cinese. Lo scenario, perciò, è una Russia alleata ai BRICS contro Inghilterra e Stati uniti, per sfilare l’Europa (noi) dal mondo liberale e assoggettarla alla Russia, per formare l’Eurasia. L’Europa può anche restare unita, «anche se questo, per noi russi, potrebbe essere difficile da accettare» dice Dugin: purché non sia l’Unione europea di oggi, alleata degli Stati uniti, ispirata al liberismo e alla centralità dei diritti umani, ma sia parte dell’Eurasia in cui domina l’egemonia russa.
Nell’Eurasia, riassumendo, non avranno posto i diritti umani e per realizzare il «nuovo solidarismo» bisognerà «eliminare radicalmente» («радикально убрать») ogni traccia di liberismo. La Quarta teoria di Dugin, perciò, non è che un’ennesima ideologia totalitaria che costruisce un mondo dei sogni e ne impone la realizzazione usando metodi autoritari. Eppure, per l’Europa, Dugin ha proposto il modello federale svizzero, ideale per «l’Europa che vogliamo noi russi,» parte dell’Eurasia. Ha fatto così sospettare di non conoscere molto a fondo né il funzionamento della Svizzera né quello dell’Unione europea. Il federalismo di Dugin assomiglia piuttosto al federalismo sovietico, che garantiva sulla carta autonomia alle comunità, ma le schiacciava tutte sotto lo stesso modello ideologico. Il modello dell’Eurasia è il modello sovietico, senza collettivizzazione dei mezzi di produzione, ma egualmente statalista, russocentrico e totalitario (con qualche eco del «comunismo su base etnica» di Lenin).
Come Dugin ha detto esplicitamente in più occasioni, l’Italia di oggi, unico Paese europeo governato da due partiti strettamente legati a Mosca, è uno straordinario laboratorio per la costruzione della nuova «Europa dei popoli» che sarà parte dell’Eurasia: si ascolti l’ampia intervista a Dugin trasmessa qualche mese fa dalla TV di Stato italiana. Dugin stesso, che parla un italiano più che accettabile, sebbene maculato di qualche ispanismo, dichiara di essere in contatto costante con esponenti governativi italiani. Non occorre che ce lo ricordi, è un’evidenza estrinseca.
Quanto alla Svizzera, non vorrei che qualcuno, nella Confederazione, si illudesse che la storica neutralità del Paese costituisca una barriera rispetto alle grinfie di questi soggetti. La conferenza di Lugano è stata organizzata da un’associazione di privati, che, a domanda, mi hanno risposto di aver finanziato l’incontro di tasca loro. Non posso far altro che riportare questa risposta. Resta da chiedersi perché, in una Lugano di fine primavera, si organizzi una conferenza di tal genere, nella quale oratori simili non vengono turbati da alcun contraddittorio (non era previsto neppure lo spazio per le domande del pubblico).
Gli squilibri e l’evoluzione della globalizzazione sono un tema importantissimo: a chi giova, organizzare su un tema così attuale una conferenza che è parsa nulla più di un’operazione di politica interna italiana e, più ancora, un atto di gratuita propaganda filorussa (della quale in Ticino, purtroppo, non ci mancano i precedenti)? C’è da chiedersi se chi organizza questi incontri sia pienamente consapevole delle idee di cui si fa strumento, magari in buona fede. Per tacere delle debolezze degli altri oratori, che mi sono parsi, se così vogliamo dire, ampiamente sopravvalutati dai media e dalla politica, rispetto alla loro reale solidità argomentativa.
Al termine, non ero il solo a uscire dalla sala con il volto perplesso. Qui, la popolazione ha una cultura civica ed economica media relativamente alta, non si lascia intortare facilmente.
In Italia, se si esclude qualche resistenza residua, nella prima metà di giugno Dugin ha compiuto una tournée di otto conferenze, lungo tutta la Penisola. Le difese del cittadino italiano medio sono decisamente più deboli. Arrivederci in Eurasia.