Le ragioni contrapposte intorno al Nagorno-Karabakh nel conflitto tra Armenia e Azerbaijan. Benché la popolazione del Nagorno-Karabakh sia di etnia armena, la regione è legittimamente parte dell’Azerbaijan. Le operazioni militari più recenti e l’accusa di pulizia etnica. È bene per l’Europa che in quella regione strategica, tra Europa, Russia e Asia, si consolidino Stati democratici e affidabili.
L’Azerbaijan ha compiuto nei giorni scorsi una pesante operazione militare nel Nagorno-Karabakh. La popolazione della regione, già provata da un lungo isolamento, è in fuga. Anche se, soprattutto da parte azera, il frasario assomiglia a quello russo, la situazione è diversa dalla guerra in Ucraina. Mentre tra Russia e Ucraina le responsabilità sono chiare, tra Armenia e Azerbaijan stabilire chi ha ragione sul Nagorno-Karabakh è meno immediato. In Azerbaijan, dove si parla una lingua turcofona e si pratica l’islam, esiste davvero un conflitto etnico con la minoranza armena e cristiana del Nagorno-Karabakh.
La disputa covava dai tempi di Stalin ed è riesplosa alla fine dell’Unione Sovietica, già negli ultimi anni di governo di Michail Gorbačëv.
Benché la popolazione del Nagorno-Karabakh sia di etnia armena, la regione è legittimamente parte dell’Azerbaijan, uscito dall’Unione sovietica con i confini attuali, secondo il principio uti possidetis iuris. Lo riconoscono innumerevoli pronunce delle Nazioni Unite. In Nagorno-Karabakh esiste un movimento per l’indipendenza, ma i due referendum separatisti (1991 e 2006), privi di basi legali, non sono riconosciuti dalla comunità internazionale, se non dall’Armenia e da un manipolo di Stati vicini alla Russia.
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Nagorno-Karabakh: le condotte di Armeina e Azerbaijan, chi ha ragione?
Di fronte a queste spinte separatiste, l’Azerbaijan ha ragione di tutelare la propria integrità territoriale. Lo fa, però, con gli strumenti sbagliati. Ignorando le esortazioni delle istituzioni internazionali distrugge i monumenti cristiani, isola la popolazione armena e non ne rispetta i diritti fondamentali di autonomia culturale e politica, blocca le forniture energetiche e le vie d’accesso alla regione. E’ in questo contesto, come se non bastasse, che s’inserisce l’operazione militare di questi giorni. Agli abitanti non resta che fuggire, ammassandosi in aeroporto. È sempre più chiara la volontà dell’Azerbaijan di eseguire una «pulizia etnica» ai danni della minoranza armena.
L’Armenia, da parte sua, non fa mistero di sostenere la secessione del Nagorno-Karabakh, con l’intento di annettere la regione. Sostiene politicamente i gruppi separatisti ed è intervenuta militarmente in territorio azero. Condiziona il traffico stradale verso il Nakhchivan, una regione azera, che però dall’Azerbaijan si raggiunge solo attraversando l’Armenia, a meno di non fare un lungo giro in Iran.
Né l’Armenia né l’Azerbaijan, perciò, si attengono a una corretta condotta internazionale. Oggi l’Armenia deve accettare il fallimento del suo progetto di controllo e annessione. Ha sbagliato quando ha occupato ampie parti di territorio azero, sapendo di avere torto. Il Nagorno-Karabakh – che gli armeni chiamano Artsakh – fa parte a ragione dell’Azerbaijan, e ciò non è contestabile.
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Il contesto internazionale e le alleanze: il ruolo di Russia e Turchia
Con la guerra in Ucraina, l’Azerbaijan ha intensificato la sua azione. Il Paese è diventato un importante fornitore, alternativo alla Russia, di gas e petrolio. L’Occidente ha bisogno delle materie prime azere e non prende posizioni decise contro ciò che sta accadendo. In Europa, il teatro di guerra caucasico è ignorato dai più. L’Azerbaijan è sostenuto dalla Turchia. Erdoğan sogna di costituire un mini-impero informale tra Mediterraneo e Asia centrale, di cui la Turchia sarebbe il dominus indiscusso.
Il progetto include Stati vicini che parlano lingue di ceppo turco e praticano la religione islamica. Se realizzato, il piano di Erdoğan strangolerebbe l’Armenia in una morsa geopolitica. Questa prospettiva suscita negli armeni la triste memoria del genocidio sofferto per mano dei turchi alla fine della Prima guerra mondiale.
L’Armenia, invece, è vicina alla Russia e questo è stato un suo altro, decisivo errore strategico: ha puntato sull’alleato sbagliato. Mosca aveva inviato una forza d’interposizione, nel Caucaso, per arginare il conflitto tra Armenia e Azerbaijan riesploso a fine estate del 2020. Oggi la Russia è sotto pressione in Ucraina. Putin deve gestire enormi tensioni in seno allo Stato e deve riorganizzarsi in Africa, dopo il fallito golpe che ha tolto al Cremlino l’operatività della milizia Wagner di Evgenij Prigožin; In conseguenza, lo scenario caucasico è diventato marginale anche per Mosca.
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Nagorno-Karabakh: la ragione del diritto, nel peggiore dei modi
Di recente, il capo del governo armeno, Nikol Pashinyan, deluso dall’inefficacia dei russi, si è detto a favore di un avvicinamento del suo Paese all’Europa. L’ira del Cremlino, dopo le sue parole, non ha tardato a farsi sentire. L’attacco azero di questi giorni è avvenuto senza dubbio con la connivenza del contingente russo nella regione. Non vi sono prove dirette, ma è lecito pensare che tra i motivi del tacito assenso russo all’operazione militare dell’Azerbaijan vi sia proprio l’irritazione di Putin per le dichiarazioni di Pashinyan.
L’operazione dell’Azerbaijan in Nagorno-Karabakh ripristina una situazione giuridicamente corretta, ma lo fa nel peggiore dei modi possibili. Si sarebbe potuto ottenere lo stesso risultato senza interventi militari delle due parti e senza sottoporre la popolazione del Nagorno-Karabakh a una via crucis che perdura da anni.
Ora spetta all’Azerbaijan, garantire al territorio l’autonomia amministrativa necessaria e rispettare i diritti della minoranza armena, anziché prodursi in pulizie etniche e violenze. In queste ore, migliaia di abitanti del Nagorno-Karabakh stanno fuggendo volontariamente.
L’Armenia, da parte sua, può sostenere moralmente la minoranza armena in Azerbaijan, per solidarietà culturale. Può sostenerla anche politicamente, finché resta nei limiti della non ingerenza negli affari interni dell’Azerbaijan. In altre parole, anche l’Armenia deve restare nel quadro della legittimità internazionale. Sinora, nessuno dei tre attori del conflitto (Armenia, Azerbaijan e gruppi separatisti) vi si è attenuto.
La disinformazione e l’importanza del Caucaso per l’Europa
In questi giorni, in particolare sui media italiani, compaiono spiegazioni piuttosto fantasiose di questo conflitto. Vi sono commentatori che definiscono il Nagorno-Karabakh «enclave armena» dell’Azerbaijan. Ciò è errato: è semmai, una «enclave etnica armena» – omettere questa precisazione suggerisce che il Nagorno-Karabakh sia un territorio politicamente appartenente all’Armenia, mentre è territorio dell’Azerbaijan, benché di lingua e cultura armena.
Molti parlano di «annessione» del Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbaijan, altri piangono la scomparsa dello «Stato indipendente» del Nagorno-Karabakh e difendono a spada tratta i separatisti armeni e l’Armenia stessa. Altri ancora si appellano al diritto di autodeterminazione dei popoli, dimostrando di conoscere il nome ma non il contenuto e l’applicazione di questo diritto.
I propagandisti sostenitori della Russia, poi, sostengono in automatico anche i suoi alleati, qualunque cosa facciano. Esaltano perciò il ruolo dell’Armenia, a costo di distorcere i dati oggettivi del conflitto. Se l’Armenia cambierà campo e lascerà la Russia per allearsi con l’Occidente, vedremo questi propagandisti convertirsi all’improvviso in suo acerrimi critici.
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Si tratta di interpretazioni errate e parziali, costruite da punti di vista politici o emotivi del tutto personali. Il quadro giuridico, storico e politico del conflitto è molto chiaro. Se viene analizzato con cognizione di causa, lascia poco spazio alla fantasia.
Per l’Europa, i tre Stati del Caucaso sono importanti. L’Azerbaijan lo è per le forniture energetiche. Georgia e Armenia oscillano tra la cooperazione con l’Unione europea e la sfera d’influenza russa. È bene per l’Europa che in quella regione strategica, a cavallo tra Occidente, Asia e Russia, si consolidino Stati democratici e affidabili.
| Nel mio corso «Capire l’attualità internazionale» (>dettagli qui) ripercorro in dettaglio la vicenda nel Nagorno-Karabakh, come esempio di metodo per l’analisi di uno scenario conflittuale.
Marco Villa ha detto:
Caro Lovisolo,
Seguo da tempo le vicende del Caucaso e condivido la Sua analisi. Mi sento sentimentalmente vicino agli Armeni (si ricorda Aznavour?), ma devo riconoscere che stanno raccogliendo quello che hanno seminato e che hanno puntato sul cavallo sbagliato. Quello che sta accadendo nel Nagorno-Karabakh è un’anteprima dei cambi che avverranno in Cecenia, Georgia, Siria…. mentre tramonta la possibilità di un «imperialismo» russo e la Turchia assume sempre più un ruolo guida per gli Stati etnicamente/linguisticamente affini (Mongolia inclusa e addio Unione Europea). Spero che da tutto questo si rafforzino due principi (validi anche per il Kosovo): 1. Pacta sunt servanda; 2. Rispetto delle minoranze.
Con stima
Marco Villa
Luca Lovisolo ha detto:
Grazie per il Suo commento. La sofferenza degli armeni è grande e si manifesta anche nell’esodo di questi giorni dal Nagorno-Karabakh. Si può solo solidarizzare con questo sfortunato popolo, in particolare se si pensa alle sue passate grandezze. La solidarietà morale, però, non deve far dimenticare gli elementi oggettivi della questione, che sono chiari, come sottolinea anche Lei. Scelte politiche errate, dirigenti non sempre all’altezza e le conseguenze del mai troppo deprecato passato sovietico hanno condotto gli armeni alla situazione di oggi. Credere che la condizione della minoranza armena del Nagorno-Karabakh si potesse risolvere forzando il diritto internazionale con la costituzione di uno Stato-fantoccio e interventi militari è stato un errore dalle gravi conseguenze, per gli armeni stessi in primo luogo.
Sulla figura di Aznavour tenni una lezione del mio corso, proprio in occasione di un ennesimo infiammarsi del conflitto. Condivido che tutta la regione dal Mediterraneo orientale all’Asia centrale è in attesa di un riordinamento e che non più la Russia, ma la Turchia potrebbe esserne il motore, almeno in base a ciò che possiamo dire oggi. Considerati i soggetti che si aggirano in quei luoghi, potrebbe essere il male minore. Vedremo, se ciò avverrà nel rispetto dei principi fondamentali che Lei cita. Cordiali saluti. LL