Guerra in Israele, fatti e cause del 7 ottobre

Cause e fatti della guerra in Israele dopo gli attacchi del 7 ottobre
Guerra in Israele: cause e fatti | Soldati di Israele | © Timon Studler

Guerra in Israele: le cause dei fatti del 7 ottobre che hanno risvegliato un conflitto mai risolto. La gravità degli eventi obbliga a guardare oltre i confini della Palestina. Panoramica delle cause storiche del conflitto. L’allargamento della prospettiva al nuovo ordine mondiale. La relazione tra Russia, Iran e guerra in Ucraina. L’evoluzione delle relazioni fra Israele e i Paesi arabi. Il «Sud globale» contro l’Occidente.


Guerra in Israele: si possono spiegare i fatti partendo dalle cause del conflitto arabo-israeliano. La dimensione degli eventi, però, obbliga a guardare oltre i confini della Palestina. Prima di alzare lo sguardo, è bene riassumere i termini del conflitto regionale. Non è possibile sintetizzare in poche righe lo scontro fra arabi e israeliani. Se ne possono spiegare i fondamenti, che aiutano a capire ciò che accade oggi.

Sia il popolo arabo sia quello ebraico hanno diritto di vivere in Palestina. Per entrambi, questo diritto è fondato su ragioni storiche, culturali e religiose.

Anche gli ebrei sono un popolo palestinese, sebbene oggi, quando si usa il termine palestinese, lo si riferisca per abitudine solo agli arabi che vivono nella regione. La convivenza fra i due popoli richiede di suddividere il territorio in due parti: una per la comunità ebraica, l’altra per la comunità araba. Nel 1947 le Nazioni unite realizzarono un piano di spartizione della Palestina: in quel momento, il territorio palestinese non esisteva come Stato autonomo. Era amministrato dagli inglesi, dopo la caduta dell’Impero ottomano, di cui era stato parte sino alla fine della Prima guerra mondiale. Lo Stato di Israele non era ancora nato.

LA SPARTIZIONE DELLA PALESTINA: LE FONTI DELLA GUERRA

Guerra Israele: cause e fatti intorno alla partizione della Palestina
Il piano ONU: Più scure, le aree assegnate agli arabi

Il piano di spartizione della Palestina fu accettato dagli ebrei e approvato dall’Assemblea generale delle Nazioni unite il 29 novembre 1947. Pochi mesi dopo, il 14 maggio 1948, sul territorio loro assegnato gli ebrei costituirono lo Stato di Israele. Il piano fu rifiutato invece dagli arabi, non solo quelli della Palestina, ma da tutti gli Stati arabi.

Ciò significa che nessuno contesta il diritto degli arabi di vivere in Palestina. Non lo contestano nemmeno gli ebrei, che avevano accettato la spartizione e la costituzione di due Stati. A rifiutarla furono gli arabi, ritenendo di avere diritto all’intera Palestina. Gli arabi non costituirono il loro Stato, perché ciò avrebbe significato accettare per fatto concludente l’esistenza di Israele e il piano di spartizione. Continuarono a comportarsi come se questo non esistesse, benché fosse stato approvato dall’ONU.

Per questo motivo, la notte successiva al giorno di fondazione dello Stato di Israele, tra il 14 e il 15 maggio 1948, una coalizione di Stati arabi mosse guerra contro lo Stato ebraico appena costituito, con l’intento di cancellarlo e conquistare l’intera Palestina (spiego più estesamente questa fase nel mio corso «Capire l’attualità internazionale» >dettagli qui).

Tutto ciò che è avvenuto da allora a oggi deriva da quel contrasto. Vi sono state altre guerre e innumerevoli azioni terroristiche da parte araba. Israele, da parte sua, ha violato più volte i patti territoriali, ora per difendersi dagli atti ostili degli arabi, ora per sue politiche dissennate, come la costituzione di insediamenti illeciti di coloni ebrei o la questione dello status di Gerusalemme. In particolare con la Guerra dei sei giorni, nel 1967, Israele, esasperato dalle ostilità da parte dei Paesi arabi, conquistò ampie aree assegnate agli arabi. Se ne ritirò poi in parte negli anni successivi.

Israele, le cause della guerra: i fatti alla radice del conflitto

La radice del conflitto, però, resta il rifiuto degli arabi di accettare il piano di spartizione della Palestina, approvato dalle Nazioni unite, e l’esistenza stessa dello Stato di Israele. Lo Stato ebraico vede violata da 75 anni la sua sicurezza, con continui atti ostili provenienti dai territori palestinesi assegnati agli arabi. Questi territori, oggi, sono governati da un’autorità debole e piegata alle logiche dei gruppi più violenti.

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E’ vero che Israele tiene sotto stretto controllo questi territori, in particolare la Striscia di Gaza. Ciò rende difficile la vita in tali luoghi. Dai territori arabi, però, provengono continui atti terroristici e bellici contro Israele. Da lì sono partiti anche gli attacchi del 7 ottobre.

Per fare queste considerazioni non si tratta di essere amici o nemici di Israele, sostenitori o detrattori degli arabi di Palestina. Sulle cause della guerra tra Israele e vicini arabi, fatti e documenti parlano chiaro.

Le cause: il ruolo di Hamas nella guerra in Israele

Vi è chi afferma che Hamas, il gruppo politico e paramilitare che promuove gli attacchi contro Israele, agirebbe in realtà contro gli interessi del popolo palestinese. Questa affermazione riflette una mentalità che vede nel «popolo» l’incarnazione inevitabile del bene: se accade qualche delitto, la colpa è di una minoranza traditrice che lo corrompe. E’ possibile interpretare i fatti anche in questo modo. Bisogna ricordare, però, che Hamas ha vinto le elezioni del 2006 nei territori arabi palestinesi e gode tuttora di largo sostegno popolare.

Esiste una parte di arabi di Palestina che accetta di convivere con Israele. Molti arabi abitano e lavorano addirittura, nello Stato ebraico. In questi giorni, però, dai territori arabo-palestinesi non si è sentita alcuna voce di condanna o dissociazione, di fronte agli orrori dell’azione contro Israele. Gli attacchi suscitano invece manifestazioni di sostegno per le strade non solo nei territori arabi di Palestina, ma anche in altri Paesi arabi e presso le comunità di migranti in Europa. Affermare che l’azione dei gruppi violenti non corrisponda al sentire della maggioranza della popolazione arabo-palestinese sembra affrettato.

GUERRA IN ISRAELE: IL CONTESTO INTERNAZIONALE

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Ripassata la storia, alziamo lo sguardo. I fatti di queste ore utilizzano in conflitto tra arabi e Israele e le sue cause per una guerra dai fini eterogenei. Questi riguardano da vicino noi e il mondo occidentale. L’attacco del 7 ottobre non è pensabile senza cooperazione di altri Paesi, in particolare dell’Iran. L’Iran ha ammesso il suo sostegno ai movimenti politici e terroristici della regione, ma poi ha negato il coinvolgimento diretto in questi specifici attacchi: prendiamone atto. Questa presa di distanza, però, resta un dettaglio, se si conosce il lungo rapporto dell’Iran con Hamas, il gruppo che ordisce gli attacchi, e con Hezbollah, che dal sud del Libano preme sulla frontiera nord di Israele. A fianco dell’Iran, nel supporto morale e materiale a queste organizzazioni, vi sono anche il Qatar, l’Egitto, la Siria.

Se si parla di Iran si parla di Russia. Ma come, c’entrano anche qui la Russia e la guerra in Ucraina? Non si muove foglia al mondo, oggi, senza che c’entri la guerra in Ucraina, ricordiamocelo ogni volta che pensiamo che non ci riguardi.

La Russia acquista armi dall’Iran per usarle in Ucraina, in particolare i tristemente noti droni Shahed. In cambio, fornisce all’Iran altre armi e tecnologia militare. John Kirkby, membro del Consiglio di sicurezza nazionale degli Stati uniti, sulla base di chiare indicazioni provenienti da Teheran, ha osservato che con la guerra in Ucraina la cooperazione militare tra Russia e Iran è cresciuta esponenzialmente, sul piano materiale e tecnologico.

Dall’Iran alla Corea: la Russia contro l’Occidente

Lo stesso scenario si sta realizzando fra Russia e Corea del nord. Il suggello è stato il recente incontro fra Vladimir Putin e Kim Jong-un a Vladivostok. Già poche settimane dopo l’incontro fra i due, i trasporti di merci fra Russia e Corea del nord sono cresciuti sino a volumi senza precedenti. Lo riferisce il canale televisivo russo Telekanal Dožd’ (non controllato dal Cremlino), citando il centro indipendente di rilevazioni satellitari Beyond Parallels.

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La tecnologia russa è antiquata rispetto a quella occidentale, ma è superiore a quella iraniana, nordcoreana e di altri Paesi meno sviluppati. Fatti e immagini degli attacchi di questi giorni su Israele suggeriscono che l’uso di una tecnologia militare avanzata è stato determinante, per realizzarli. Vi sono attacchi di droni mirati con precisione, lanci di missili su larga scala e uso di tecniche di oscuramento delle telecomunicazioni che denotano il possesso di strumenti piuttosto progrediti.

Guerra in Israele: i guastatori informatici russi

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Va considerato inoltre il coinvolgimento delle reti russe di guastatori informatici, come Killnet o Anonymus Sudan (che, a dispetto del suo nome, è legata al Cremlino). Da mesi Anonymus Sudan vanta di riuscire a violare importanti reti elettroniche di Israele. Già a maggio 2023 il quotidiano >Times of Israel ammoniva sull’attivismo di questa e altre reti russe di hackeraggio. Non si tratta di organizzazioni statali russe, ma di gruppi privati che agiscono con mezzi illegali nell’interesse della Russia, cooperando con diverse entità eversive nel mondo.

Sono queste, che hanno contribuito a rallentare la reazione degli israeliani all’attacco del 7 ottobre, disturbando le comunicazioni nella zona di frontiera con la Striscia di Gaza. Né gli uomini di Hamas né l’Iran sono in grado di condurre attacchi cibernetici di questa portata contro uno Stato come Israele, che dispone di tecnologie informatiche di punta. I fatti che ancora emergeranno su questi aspetti della cooperazione di guerra daranno più dettagli sulle cause dell’inattesa riuscita dell’attacco a Israele, ma gli elementi esistenti sono coerenti e convincono già ora.

La collaborazione operativa fra tutti questi attori, poi, non è l’unico elemento di valutazione. Ve ne è uno strategico e ideologico, non meno significativo.

NEI FATTI LA GUERRA VA OLTRE ISRAELE: LE CAUSE

La guerra in Ucraina ha catalizzato intorno alla Russia e alla Cina una coalizione fra Paesi del cosiddetto Sud globale. L’incontro degli Stati BRICS del 23 e 24 agosto in Sud Africa li ha chiamati a raccolta. Il nucleo degli Stati BRICS è formato da Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. Intorno a questi orbitano una trentina di altri Paesi, in cerca di un ruolo più incisivo sulla scena internazionale. Tra questi l’Iran, l’Arabia saudita e altri del Medio oriente.

Non è un male, se Stati che si ritengono svantaggiati dall’ordine mondiale presente si riuniscono per avere più peso all’interno delle organizzazioni internazionali. Gli Stati del Sud globale, però, sono diversissimi fra loro: è difficile vedere in che modo possano cooperare con obiettivi comuni. L’unico tratto che li unisce è il rancore verso le libertà e la modernità incarnate dall’Occidente.

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A fianco di questi Stati c’è una serie di Paesi africani, ancora più poveri. Alcuni sono legati alla Russia per antica consuetudine. Altri si sono aggiunti di recente, con i colpi di Stato pilotati da Mosca che hanno portato al potere giunte militari fedeli al Cremlino: Mali, Burkina Faso, Niger.

La combinazione fra Stati BRICS e Paesi africani realizza uno schema ben definito nella dottrina di politica estera russa. Il suo costrutto ideologico è chiaro e si è sviluppato a Mosca sin dai primi anni dopo la caduta dell’Unione sovietica, rinnovando la scuola filosofico-politica dell’eurasiatismo classico. Questa visione è spiegata in modo molto chiaro, ad esempio, dal politologo russo Aleksandr Dugin, nei suoi seminari sulla sua Quarta teoria politica e in altri interventi concernenti il cosiddetto mondo multipolare (da non confondere con il mondo multilaterale nel senso che intendiamo in Occidente).

Dalla guerra in Israele alla dottrina di Mosca

La fine dell'Unione sovietica
Il racconto in video della fine dell’URSS – di Luca Lovisolo

Questo aspetto della dottrina prende spunto dalle teorie del sociologo neomarxista americano Immanuel Wallerstein. Nel seminario in cui illustra i principi economici della sua teoria, Aleksandr Dugin afferma che Russia e Cina devono raccogliere intorno a sé proprio i Paesi BRICS e altri equivalenti, inglobare quelli più poveri dell’Africa e di altri continenti per muovere, tutti insieme, contro l’Occidente. Lo scopo è «eliminare radicalmente» («радикально убрать») ogni traccia di liberalismo. Deve sorgere un ordine mondiale in cui i diritti umani e la centralità dell’individuo, con tutte le conquiste della modernità, vengono sostituiti da una società fortemente controllata dallo Stato e da un mondo organizzato in zone d’influenza.

Noi europei siamo assegnati alla zona d’influenza della Russia. Una visione che estende la vecchia dottrina di Leonid Il’ič Brežnev, nella quale l’Unione sovietica formalizzava il suo diritto di imporre agli Stati confinanti il proprio regime e le proprie volontà, anche con la forza. Lo schema predicato dalla dottrina russa di oggi è analogo e ha la sua componente armata nella dissuasione nucleare data dagli arsenali di Mosca e Pechino. E’ la paura verso la potenza nucleare di Russia e Cina, che deve convincere l’Europa a sottomettersi.

Si tratta di un ordine mondiale fondato sulla prevaricazione e sulla minaccia dell’uso della forza. La guerra in Israele ha le sue cause nel conflitto arabo-israeliano, i fatti hanno conseguenze interne e regionali, ma vanno analizzati anche come parte di questa visione globale. L’attacco di Hamas contro Israele, in questo momento storico, condotto con le alleanze e gli strumenti che abbiamo appena detto, è parte di un progetto rivolto contro l’Occidente, la società aperta e l’universalità dei diritti fondamentali (ne parlo più in dettaglio in una precedente analisi >qui).

Le cause della guerra in Israele: il Sud globale dalle parole ai fatti

L’insieme che oggi chiamiamo Sud globale riunisce i Paesi che non si riconoscono nell’Occidente: un tempo si definiva secondo e terzo mondo. Gli enormi contrasti esistenti fra gli Stati del Sud globale non li ostacolano, nell’unirsi contro l’Occidente.

E’ errato credere che la guerra in Ucraina indebolisca la Russia al punto da impedirle di realizzare questo progetto. Mosca dispone di risorse non statali, sufficientemente autonome, che le permettono di esercitare influenza in diversi punti del mondo senza coinvolgere funzioni di Stato: milizie private, gruppi di guastatori informatici, reti di propagandisti sui media occidentali che fiaccano la resistenza delle opinioni pubbliche europee e le piegano verso Mosca. La Russia conta poi su ampie alleanze, come si vede nelle tiepide condanne dell’aggressione all’Ucraina provenienti proprio dagli Stati del Sud globale.

In questo contesto, per Mosca, la guerra in Ucraina è, piuttosto, un elemento di forza. Agli occhi dei Paesi del Sud globale, la Russia è l’avanguardia eroica che in Ucraina combatte contro l’Occidente e apre la strada a chi la seguirà. E’ una visione che emerge da ogni incontro a Mosca fra Putin e i rappresentati di quella parte di mondo. Non bisogna vedere il Cremlino come un direttore d’orchestra, in questo contesto. La Russia è, piuttosto, un contenitore in cui s’inseriscono tutti i movimenti i cui interessi coincidono con quelli di Mosca, contro l’Occidente. Le cause dei fatti di guerra avvenuti con gli attacchi del 7 ottobre contro Israele si collocano in questa posizione.

L’evoluzione delle relazioni tra Israele e i Paesi arabi

Guerra in Israele: cause e fatti
Gerusalemme | © Zekeriya Sen

In questo bailamme Israele ha compiuto un errore strategico. Nel contesto dalla guerra in Ucraina, ha puntato sulla vicinanza alla Russia. Ha rifiutato di contrastare Mosca applicando le sanzioni e non ha fornito aiuto all’Ucraina. E’ possibile che questa scelta dipenda dall’incompetenza dei suoi governanti e dal grande numero di ebrei emigrati dalla Russia e prima dall’Unione sovietica, che hanno una certa influenza. Dopo aver strizzato l’occhio al Cremlino, Israele si ritrova oggi colpito da attacchi cibernetici condotti da guastatori russi, mentre Putin prende parte senza mezzi termini a favore degli arabi palestinesi.

Vi è un altro legame tra i fatti di Israele e il nuovo ordine globale vagheggiato dalla Russia. Lasciandosi alle spalle il gran rifiuto del piano per la spartizione della Palestina, nel 1947, un numero crescente di Stati arabi abbandona i pregiudizi e accetta oggi la presenza di Israele in Palestina. Nel 2020 i cosiddetti «Accordi di Abramo» hanno normalizzato le relazioni fra gli Emirati arabi uniti e Israele. Sono seguiti altri accordi analoghi e uno ulteriore è in corso di negoziato con l’Arabia saudita.

L’intesa con l’Arabia saudita avrebbe un valore più che simbolico. Sarebbe una base forte per sbloccare anche la questione palestinese. L’avvicinamento fra Israele e i Paesi arabi, però, è contrario a un ordine mondiale in cui il Sud globale dialoga con l’Occidente. I Paesi del Sud globale devono opporsi all’Occidente, per distruggerne il modello di società aperta. Israele fa parte dell’Occidente, in questa visione. Gli attacchi del 7 ottobre tendono a impedire il riavvicinamento fra Israele e i Paesi arabi, in particolare con l’Arabia saudita. Secondo quasi tutti gli analisti, questa potrebbe essere la loro finalità principale. E’ coerente con il nuovo ordine mondiale, invece, l’avvicinamento fra Arabia saudita e Iran, guidato non a caso dalla Cina.

LA POSIZIONE DELL’EUROPA: TANTE CAUSE DI CONFUSIONE

L'Italia vista dalla Svizzera nei sei mesi più delicati della sua storia recente
«L’Italia vista da fuori» – Il libro di Luca Lovisolo sull’Italia

La posizione dell’Europa dopo gli attacchi del 7 ottobre è ingenua e autolesionista. Vi sono scuole di pensiero politiche e accademiche, nel nostro continente, che condividono la visione dei Paesi arabi secondo cui lo Stato di Israele non ha diritto di esistere. Non tutti coloro che lo pensano lo affermano esplicitamente, per ragioni di opportunità. Se si chiede loro di spiegare questa convinzione, rispondono con slogan o teorie del complotto, oppure dimostrano di non conoscere a fondo la vicenda. Questa visione influenza la politica e il dibattito pubblico.

In particolare con la ripresa della guerra in Ucraina, il 24 febbraio 2022, in Italia più che altrove, sui media sono comparsi nuovi commentatori dell’attualità internazionale. Presentati come esperti, dal retroterra accademico e professionale all’apparenza rispettabile, mancano in realtà delle necessarie competenze di merito e di metodo, Con l’attacco a Israele del 7 ottobre, gli stessi giornalisti, politici e propagandisti che sostengono la Russia nelle sue pretese contro l’Ucraina, compaiono sui media sostenendo le pretese dei palestinesi contro Israele.

Da questi commentatori si leggono e si sentono condanne formali e poco convincenti, verso gli atti contro Israele. Manifestano una malcelata comprensione verso le ragioni degli attacchi del 7 ottobre, come per l’aggressione della Russia contro l’Ucraina. L’argomento ricorrente è: «Sono contro il terrorismo e contro la guerra, ma capisco le ragioni di chi aggredisce.»

Si sappia una cosa: le pretese degli arabi di Palestina verso Israele, come le pretese della Russia verso l’Ucraina, si possono realizzare solo con l’uso della forza e contro il diritto. Questa non è un’opinione: è logica giuridica. Chi dice di non condividere l’uso della forza, ma di condividere le motivazioni di Hamas o di Putin, cade in una contraddizione in termini. L’equidistanza, in queste materie, diventa propaganda.

Europa: migrazioni e partiti legati alla Russia

Sabato 7 ottobre, a Berlino, una squadra della rete televisiva Welt che intervistava i passanti sui fatti in corso in Israele, è stata circondata da dimostranti favorevoli agli attacchi. E’ stata costretta a cancellare le immagini già girate e a cessare le riprese. Nel frattempo, giovani dimostranti distribuivano dolci in città per festeggiare l’azione contro Israele. Manifestazioni di giubilo si sono ripetute in altre città tedesche e capitali europee.

I protagonisti di queste azioni sono giovani migranti, anche di seconda generazione. Sono giunti in Europa protetti dal diritto d’asilo, oppure sono già nati in Germania, Francia e altri Paesi da genitori rifugiati, ma non accettano i valori europei. Gli sforzi dei nostri Stati per facilitare l’integrazione dei migranti sono inutili, se i migranti stessi, per primi, non compiono una intima scelta di accettazione dei nostri valori.

La risposta da parte di politici e commentatori a queste sconcertanti manifestazioni è debole. Vi sono già oggi quartieri di città europee dove persone di religione ebraica o non appartenenti alle etnie dei migranti non entrano, perché subiscono molestie e violenze. Le manifestazioni a favore degli attacchi contro Israele non sono fatti isolati. Durante questa estate si sono avuti almeno tre casi in cui il centro di città tedesche è stato bloccato per ore da risse fra bande di migranti, scoppiate per ragioni politiche o per contrasti fra gruppi criminali.

La Germania, sotto questo profilo, è un esempio che richiama l’attenzione. Nelle elezioni di domenica in due importati regioni tedesche si è assistito a una forte avanzata del partito di estrema destra Alternative für Deutschland, causata dall’insoddisfazione della popolazione verso l’immigrazione incontrollata. Questo partito, come altri simili in Europa, è portatore di un modello di società chiusa, ispirata al modello della Russia e alla sua visione del mondo.

Legga anche: >L’uso della parola «Stato»

Guerra, dall’Ucraina a Israele: cause di un mutamento culturale

Il perdurare del conflitto in Ucraina, scatenato dalla Russia, ha già prodotto un mutamento culturale. La guerra viene di nuovo guardata come possibile strumento di regolazione delle controversie internazionali. E’ vero che vi sono state altre guerre, in tempi recenti, dall’Afghanistan all’Iraq. La gravità di ciò che sta compiendo la Russia in Ucraina, però, incide più a fondo. Nella Carta della Nazioni unite e in tutte le Costituzioni degli Stati europei scritte dopo la Seconda guerra mondiale è radicato il ripudio della guerra come strumento di aggressione. La noncuranza con la quale la Russia ha calpestato l’ordine mondiale del Dopoguerra, in piena Europa, con l’aggressione alla Georgia e all’Ucraina, sta causando la progressiva indifferenza verso l’uso dello strumento militare.

La guerra non fa più paura nemmeno alle opinioni pubbliche. La popolazione ha capito che la guerra, finché resta lontana, non ti cambia la vita. Fa male se ti arriva in casa. Quando arriva, però, ormai te la tieni e il più forte la vince, lo sanno bene tutti gli autocrati, da Putin in giù. Questo mutamento di prospettiva fa sentire autorizzati sempre più Stati e organizzazioni a considerare di nuovo gli interventi armati come mezzo di affermazione delle proprie pretese, legittime o illegittime. Il successo elettorale di partiti europei che sostengono apertamente la Russia, sebbene questa abbia scatenato una guerra a poche migliaia di chilometri dalle nostre città, è un altro indice di questo mutamento.

Israele-Palestina: guerra e cause di un conflitto irrisolto
1947: viene approvato il piano per la spartizione della Palestina

ISRAELE: COSA PUÒ SUCCEDERE ADESSO

Si attende che Israele, nelle prossime ore, occupi via terra la Striscia di Gaza, il territorio dal quale sono partiti gli attacchi del 7 ottobre. La Striscia di Gaza è attribuita agli arabi palestinesi. E’ lunga una quarantina di chilometri e larga meno di 15. Nel suo sottosuolo si trovano centrali di comando e strutture paramilitari usate contro Israele. E’ attraversata da una rete di tunnel che i terroristi utilizzano per spostarsi senza essere visti. Alcune gallerie passano sotto la frontiera e sbucano in territorio israeliano.

Per questi motivi, i bombardamenti aerei mirati in superficie non bastano a distruggere le infrastrutture utilizzate dai terroristi. Israele ha già occupato più volte la Striscia di Gaza, per lo stesso motivo. Poi, in ottemperanza alle sollecitazioni internazionali, ha ritirato le sue truppe, l’ultima volta nel 2005. Ogni volta, le gallerie e le strutture usate dai terroristi sono state ricostruite e Gaza è tornata ad essere la base per gli attacchi contro lo Stato ebraico.

Nella Striscia di Gaza vivono più di due milioni di persone. Si ode già ora la voce di chi ammonisce che un intervento militare israeliano in un territorio così ristretto e densamente popolato metterà in pericolo i civili, fatto vietato dal diritto internazionale. Questo è vero. Esiste anche un altro principio del diritto internazionale, che trova applicazione in questo caso: il diritto di autodifesa di uno Stato in risposta a un atto di aggressione. Ci troviamo di fronte a un caso in cui due diritti confliggono fra loro, almeno all’apparenza.

Due principi di diritto internazionale in conflitto

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Si può vedere la questione in un altro modo, più aderente ai fatti. A mettere a rischio la popolazione di Gaza non è Israele: sono coloro che hanno trasformato questo piccolo e affollato territorio in una base di partenza per gli attacchi verso uno Stato confinante. Se, partendo da un certo luogo, si aggredisce uno Stato vicino, è ragionevole prevedere che lo Stato aggredito si difenderà e colpirà il territorio dal quale provengono gli attacchi.

E’ corretto esortare Israele a usare cautela verso i civili di Gaza. Tuttavia, bisognerebbe chiedersi perché i gruppi di terroristi che governano e utilizzano Gaza come base per colpire Israele non abbiano evacuato loro stessi la loro popolazione, prima di attaccare, nella facile previsione che Israele avrebbe colpito in risposta, rischiando di coinvolgere i civili.

Vi è un altro punto da considerare: a compiere gli attacchi contro Israele non è un esercito regolare, ma un gruppo terrorista. I terroristi non sono militari, sono civili. Le loro basi non si trovano in caserme ma in abitazioni, nei sotterranei dei condomini, celate fra le infrastrutture dell’abitato.

In condizioni normali, la distinzione fra un civile e un militare è possibile con certezza giuridica. A Gaza, invece, chi può dire che un uomo che oggi si aggira pacificamente per la città non fosse, sabato 7 ottobre, alla guida di un sistema lanciamissili? Nella Striscia vivono anche persone che non condividono gli attacchi a Israele. Dove corre, però, la linea di confine tra lo status di persona o obiettivo civile da quello di persona o obiettivo militare, alle condizioni date oggi a Gaza e nei territori arabi palestinesi? Meriterebbe approfondire questi interrogativi, anziché affermare principi giuridici astratti, con i quali e facile essere tutti d’accordo.

GUERRA IN ISRAELE: CAUSE E CONCLUSIONI

Il diritto dello Stato di Israele di esistere in Palestina non è contestabile: non lo contestano più nemmeno molti Stati arabi. E’ errato affermare che il terrorismo miri a ottenere migliori condizioni di vita per gli arabi. L’obiettivo è cacciare gli ebrei dalla Palestina.

E’ altresì errato affermare che il diritto di autodeterminazione del popolo arabo di Palestina non venga rispettato. La spartizione del 1947 garantiva questo diritto sia agli ebrei sia agli arabi. E’ stato un grave errore degli arabi, perdere quell’occasione, in quel momento storico.

Vi sono state violenze anche da parte di Israele. Vi è differenza, però, tra singoli eventi di violenza – che devono essere sanzionati con rigore – e la violenza esercitata in modo continuato e organizzato, con il dolo specifico di distruggere il proprio vicino. Infine, l’uso della forza da parte di chi aggredisce deve essere valutato in modo diverso, dall’uso della forza da parte di chi si difende da tale aggressione.

Il conflitto palestinese è parte di uno scenario ostile ai valori fondamentali dell’Occidente. Da anni Israele è guidato da governanti populisti e incompetenti, con continue elezioni anticipate. L’incapacità di prevenire e contrastare adeguatamente l’attacco del 7 ottobre ne è la triste conseguenza. Ciò che è accaduto in questi giorni allo Stato ebraico rischia di diventare un’avvisaglia di ciò che potrà accadere in Europa, se si continua a permettere che il dibattito pubblico sia ammorbato dall’ignoranza e dalla propaganda.

Le immagini di corpi umani dilaniati che ci provengono in queste ore da Israele sono analoghe a quelle che abbiamo visto a Buča, Irpin e nelle altre località dell’Ucraina martoriate dai soldati russi. Come per la guerra in Ucraina, bisogna decidere quale tipo di società vogliamo consegnare alle prossime generazioni.

| Degli aspetti relativi al conflitto in Palestina parlo anche nel mio seminario «Origini del conflitto arabo-israeliano» >Dettagli

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Il mio corso «Capire l'attualità internazionale» accompagna chi desidera comprendere meglio i fatti del mondo. Con il corso «Il diritto per tradurre» comunico le competenze giuridiche necessarie per tradurre testi legali da o verso la lingua italiana.

Commenti

  1. Donato ha detto:

    Due stati per due popoli o uno stato per due popoli sono soluzioni entrambi piu’ difficili da realizzare dopo mezzo secolo di guerre e atti di violenza da entrambe le parte e il sangue versato. La guerra a oltranza non e’ una soluzione crea odio e ulteriori divisioni. Lo stato di Israele ha diritto ad esistere con a fianco uno stato palestinese .Due stati per due popoli che collaborano per un futuro di pace e sviluppo delle prossime generazioni.Non esiste altra soluzione

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Vero, peccato che la «soluzione a due Stati» sia stata rifiutata dagli arabi, nel 1947, causando tutte le conseguenze che conosciamo. Gli ebrei l’avevano accettata.

  2. Nicola Marvulli ha detto:

    Chiarissimo, non sapevo che gli arabi si rifiutarono da subito di cooperare con il comitato ONU. Gli altri esempi da Lei citati sono inequivocabili. Cordiali saluti e buon lavoro, continuo a leggerla con interesse.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie

  3. Nicola ha detto:

    Come sempre analisi molto chiara e precisa, grazie.

    Una domanda: posto che gli stati arabi rifiutarono la partizione dell’Onu reclamando la totalità del territorio palestinese mandatario, secondo lei la questione del mar di Galilea ebbe effettivo peso nel rifiuto o i palestinesi, anche con una diversa soluzione territoriale per il lago di Tiberiade, non avrebbero comunque accettato la partizione e continuato a rivendicare il controllo dell’intero ex protettorato?

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie per il Suo apprezzamento. Il problema di fondo è che gli arabi non vogliono gli ebrei in Palestina. Ci sono altri casi in cui si arrivò vicinissimi a un accordo, anche per la restituzione dei territori che Israele ha occupato per difendesi dagli attacchi arabi nella varie guerre. Alla fine, a far saltare il banco furono sempre gli arabi. Anche i fatti del 7 ottobre vanno letti in quest’ottica. L’accordo di riconoscimento fra Israele e Arabia saudita, come spiego sopra, molto verosimilmente avrebbe portato una soluzione anche per la questione palestinese. Abbiamo visto cosa è successo. Le rivendicazioni territoriali, poi, da parte degli arabi, hanno poco fondamento: rifiutarono sin da subito di cooperare ai lavori del comitato ONU che predispose la mappa di spartizione. Non si può contestare il risultato di una partita, se si rifiuta di giocare. La questione di fondo ü che gli arabi non ritengono di dover spartire la Palestina con gli ebrei. Cordiali saluti. LL

  4. Giuseppe Imparato ha detto:

    Salve,

    Seguo con interesse e convinta adesione il suo blog. Lei giustamente ritiene che la visione «multipolare» della Russia di Putin sia un importante punto di partenza anche nella attuale situazione in Palestina. Cita spesso Dugin e Le chiedo se conosce (magari già l’ha citato) il libro di Walter Schubart «L’Europa e l’anima dell’Oriente» (1938), che a me sembra una impressionante anticipazione delle idee di Dugin. Grazie.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Non conosco il libro, ma il pensiero di Schubart contiene punti di contatto con il pensiero eurasista, per quanto fosse una figura atipica, per molti versi. Cito Dugin perché più attuale e vicino al mio campo di lavoro. Cordiali saluti. LL

  5. Paola Petrino Rietto ha detto:

    Purtroppo hai tremendamente ragione; ma sei una lucida Cassandra, amico mio!
    Paola

    • Luca Lovisolo ha detto:

      A volte preferirei sbagliare le analisi…

  6. Camilla ha detto:

    Analisi davvero chiara ed interessante. La ringrazio perché con un linguaggio semplice e esaustivo ha dato una diapositiva limpida di una situazione molto complessa. Per caso avrebbe una versione dell’articolo in inglese? Le auguro buon lavoro.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie, sono lieto che Le sia utile. No, non c’è una versione inglese. Cordiali saluti. LL

  7. G. Franco Pardini ha detto:

    Complimenti. Mi sembra che abbia fatto un’analisi ben ponderata dell’ attuale situazione internazionale. La ringrazio per aver chiarito molte mie convinzioni. Resto dell’ avviso che il cosiddetto “mondo occidentale” dovrebbe sostenere alacremente lo sviluppo del Sud globale.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie. Sono d’accordo con Lei sul Sud globale. Quest’ultimo, però, deve anche dare prova di maturità e coerenza. Come vediamo anche in questi giorni, alla fine per sbrogliare le matasse deve intervenire sempre il tanto vituperato Occidente (anzi, in particolare gli Stati uniti), perché gli altri non cavano un ragno dal buco. Cordiali saluti.

  8. Massimo Occhi ha detto:

    Grazie. Ottima lettura. Sia nei contenuti che nella forma, scorrevole e di facile comprensione. Ho letto anni fa il libro «Gerusalemme, Gerusalemme!» di Dominique Lapierre. Una lettura importante che consiglio a tutti per comprendere i fatti di oggi.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie per l’apprezzamento e l’indicazione bibliografica. Sono lieto che l’analisi Le sia stata utile.

  9. Nicoletta Olivieri ha detto:

    Grazie per questa analisi veramente completa. Sono preoccupata per la dilagante ignoranza e la superficialità di certi giudizi, specialmente nei giovani. Cercherò nel mio piccolo di fare girare più possibile questo suo articolo storicamente corretto. Purtroppo la maggioranza delle persone usano gli slogan al posto dello studio. Grazie di nuovo.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie per il Suo apprezzamento. Condivido le Sue considerazioni sulla superficialità con cui ci si accosta oggi a questi temi, come se non ci riguardassero e si potessero trasformare in battaglie di bandiera. Cordiali saluti. LL

  10. Antonello Antonucci ha detto:

    Analisi dettagliata e molto chiara, un elemento a mio parere essenziale e determinante però non è stato messo in evidenza e credo che questo sia stata la goccia che abbia fatto traboccare il vaso: i continui insediamenti di coloni su territori palestinesi con il vergognoso silenzio di tutti, non ho letto nessun articolo di condanna su questo fatto in quasi nessun quotidiano e questo è uno scempio, e a parte il mondo arabo il resto delle nazioni non ha aperto bocca.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie per le Sue considerazioni. In realtà parlo dell’insediamento illecito di coloni all’inizio dell’articolo. Si tratta di un accenno, ma, in questa analisi, che guarda principalmente al contesto internazionale, non potevo fare di più. E’ vero che degli insediamenti si parla poco. Bisogna riconoscere, però, che nel quadro complessivo del conflitto non hanno il peso maggiore. A determinare i fatti sono, purtroppo, elementi ideologici e politici di fondo. Fare cenno agli insediamenti di coloni, poi, obbliga anche a dire che nel 2005 Israele rimosse ben 21 insediamenti di coloni ebrei installatisi a Gaza, territorio assegnato agli arabi. Ottemperando alle disposizioni internazionali, Israele fece allontanare i suoi coloni, contro la sua opinione pubblica e vincendo le resistenze dei coloni stessi, che furono evacuati con la forza. Molti sostengono che se Israele non avesse ritirato quegli insediamenti e riconsegnato Gaza agli arabi, gli attacchi di sabato 7 ottobre non sarebbero avvenuti. Non si può fare la Storia con i se, tuttavia è chiaro che la questione dei coloni è intrecciata ad altre vicende e, nel complesso del conflitto, tende inevitabilmente a passare in secondo piano. Cordiali saluti. LL

  11. Aldo ha detto:

    Complimenti per la sua analisi “super partes”, come dovrebbe essere qualsiasi storiografia. Le chiedo: cosa c’è stato all’originine del gran rifiuto dei paesi arabi alla sottoscrizione del piano del 1947? Quali motivazioni sono state addotte dai paesi arabi per giustificare il rifiuto? E, infine, dietro questo rifiuto ci può essere stata una regia esterna, contraria alla pacificazione dell’area medio orientale?

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie. Il rifiuto opposto dagli arabi al piano di spartizione dipende dalla loro convinzione di essere gli unici aventi diritto all’intera Palestina. In realtà, sia gli ebrei sia gli arabi hanno diritto a quel territorio (per la verità, gli ebrei vi arrivarono molto prima). Per la lunga storia in cui entrambi questi popoli hanno abitato e contribuito allo sviluppo della Palestina, che contiene tracce di entrambe le civilizzazioni (oltre che di altre, tra cui quella romana), è corretto dire, come fece l’ONU, che entrambi devono potervi risiedere. Gli arabi non hanno accettato questo principio. Hamas e le frange più estreme non lo accettano ancora oggi e puntano a distruggere lo Stato di Israele, che considerano illegittimo.

      • Giovanna ha detto:

        Buongiorno Luca, a me pare che questo non voler riconoscere il diritto degli ebrei a risiedere in Palestina sia molto diffuso anche tra i media italiani, almeno lo deduco dalla lettura dei vari quotidiani, blog ecc., che, tranne forse Il foglio, nel riportare gli eventi di questi giorni adottano platealmente due pesi e due misure. Mi chiedo: questo orientamento chiaramente di parte da cosa dipende? Non può derivare unicamente dall‘ignoranza dei fatti storici …
        Grazie dei suoi interventi sempre approfonditi e pacati.

      • Luca Lovisolo ha detto:

        Buongiorno Giovanna,

        L’ignoranza non basta, è vero, anche se è tanta. Alla base c’è un’appropriazione ideologica della questione palestinese. I palestinesi sono i «poveri oppressi» che lottano per sconfiggere i «ricchi ebrei.» Nelle violente manifestazioni pro Hamas tenutesi ancora una volta ieri a Berlino, i dimostranti urlavano proprio questo: «Die Juden sind die Reichen!» – Gli ebrei sono i ricchi. Insieme a questi dimostranti c’erano giovani della sinistra estrema tedesca. Solo ieri, in Germania, la sezione giovanile del Partito socialdemocratico ha cessato la collaborazione con un gruppo politico palestinese. In Francia, Italia e altri Paesi d’Europa il contesto è lo stesso, per non parlare degli Stati uniti. Ho letto poco fa un delirante comunicato in cui il preside di una facoltà dell’Università di New York definisce gli israeliani «colonizzatori» e solidarizza con gli arabo-palestinesi, in quanto oppressi da un regime coloniale: siamo in una università, quindi l’argomento dell’ignoranza non è (o non dovrebbe essere) rilevante. La questione palestinese è stata traslata in lotta di classe e guerra di liberazione anticoloniale: una specie di Rivoluzione d’ottobre e di Guerra d’Algeria messe insieme. Tutto ciò non ha nulla a che vedere con la Storia e con la realtà, ma i media e le accademie italiane vivono ancora oggi nel cono d’ombra di queste visioni del mondo. Chi si discosta viene emarginato, perciò alla fine tutti si adeguano per la carriera e per la pagnotta, tanti purtroppo anche per convinzione. In poche righe non posso dire di più, ma questo è il contesto in cui si sviluppa il fenomeno che tutti osserviamo. Cordiali saluti e buon lavoro.

  12. Roberto Losito ha detto:

    Trovi modo di farsi sentire di più e più spesso.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie. Qui mi si trova sempre. Altrove non dipende da me!

  13. Annamaria Cardelli ha detto:

    Grazie per la sua analisi chiara e esaustiva
    Purtroppo le informazioni che arrivano sono sempre inficiate da ideologie e mi preoccupano molto che i giovani studenti delle scuole italiane prendano posizioni a favore dei terroristi. Molto preoccupante.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie a Lei per l’attenzione. Purtroppo non è cambiato nulla dagli anni Settanta e Ottanta. Sono abbastanza vecchio per ricordarmi come veniva presentato allora quello scenario. E’ caduto il Muro di Berlino e il mondo è tutt’altra cosa, ma gli slogan della propaganda restano, mentre la gente muore.

  14. Ylenia ha detto:

    Analisi preziosa, merita maggiore diffusione (dovrebbe apparire nei giornali principali).

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie per il Suo apprezzamento. LL

  15. Claudio Porcellana ha detto:

    Tutto molto interessante. Ne approfitto per chiedere se è vero oppure no quanto letto oggi su France24 secondo cui: «A UN special committee proposed a partition plan giving 56.47 percent of Palestine for a Jewish state and 44.53 percent for an Arab state. The Jewish state takes control of 77 percent of the territory of Mandate Palestine, according to the UN.” Questo non toglie che la madre di quella guerra sia il rifiuto degli arabi, ma cosa sarebbe successo se gli israeliani non si fossero allargati così tanto?

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Gli israeliani si sono allargati principalmente per portare sotto il loro controllo territori arabi dai quali provenivano atti ostili. Poi ci sono allargamenti dovuti a insediamenti di coloni ebrei e la questione di Gerusalemme, frutto di scelte politiche errate. Questi non hanno giustificazione. Se gli arabi avessero accettato il piano nel 1947 e le due comunità avessero vissuto in pace, non vi sarebbero stati allargamenti. In caso di necessità, i confini si sarebbero potuti modificare con le normali procedure. E’ vero che gli arabi, nella spartizione ONU, erano lievemente svantaggiati sul piano dei kmq di superficie, ma gli israeliani avevano gran parte del deserto meridionale, mentre gli arabi detenevano regioni più centrali. La spartizione, perciò, nella sostanza era equa.

      • Nino ha detto:

        Analisi puntuale, dettagliata ed equilibrata. Mi chiedo se esiste un modo per favorire metodologie analitiche e pensiero critico tra le persone in maniera da dare luogo a comportamenti virtuosi in consessi decisionali.
        Grazie per il suo lavoro preciso e illuminante.

      • Luca Lovisolo ha detto:

        Grazie a Lei per il Suo apprezzamento. Temo che nei consessi decisionali i comportamenti virtuosi siano ormai una «vana parola,» per riprendere Cesare Pavese. Cordiali saluti.

  16. Dario ha detto:

    La sua sintesi è perfetta, complimenti.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie.

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Con le mie analisi e i miei corsi accompagno a comprendere l'attualità globale chi vive e lavora in contesti internazionali.

Tengo corsi di traduzione giuridica rivolti a chi traduce, da o verso la lingua italiana, i testi legali utilizzati nelle relazioni internazionali fra persone, imprese e organi di giustizia.

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