Lampedusa, migranti: cose fattibili in tre punti

Migranti e leggi fondamentali, caso Lampedusa
Migranti: cosa fare? | Migranti in zona desertica | © Sebastien Goldberg

Migranti: cosa fare, di fronte ai nuovi sbarchi a Lampedusa. Le questioni che il dibattito pubblico spesso non considera. Soluzioni europee, ridistribuzione e altri temi ricorrenti non affrontano il problema alla radice. I buchi della legislazione e la Convenzione di Ginevra. Un approccio meditato e deciso agli aspetti legali è necessario. E’ una sfida politica enorme, ma è il banco di prova.


[Dieser Beitrag in >deutscher Sprache] – In migliaia sbarcano sull’isola italiana di Lampedusa e il dibattito sulla migrazione si riaccende. Ancora una volta, però, non tocca le questioni di fondo. Politici e commentatori invocano una «soluzione europea» improntata alla «solidarietà» all’interno dell’Unione. Le soluzioni proposte e adottate sinora non si sono mostrate efficaci, eppure nessuno osa affrontare il problema alla radice. Una questione va chiarita subito: quando si parla di migrazione non si dovrebbe parlare di solidarietà, anche se questa parola suona bene. Gli Stati non agiscono rispondendo a sentimenti, agiscono per mezzo di leggi.

Anche gli atti di solidarietà devono essere formulati in provvedimenti legislativi. La solidarietà anima la generosità dei privati cittadini, ma non è per sé una soluzione sostenibile per le sfide che vanno oltre. La migrazione non è in primo luogo una questione di sentimenti. L’entrata e l’uscita dal territorio di uno Stato, la permanenza e il lavoro in un Paese diverso dal proprio sono regolati dalla legge. Non importa quali ragioni umanitarie e solidaristiche si citano: un diritto illimitato di accedere e permanere sul territorio di uno Stato estero non può esistere.

MIGRANTI, COSA FARE: LE QUESTIONI FONDAMENTALI

Compito di uno Stato è, tra altri doveri, amministrare la sua popolazione sul proprio territorio. Se si parte dal presupposto che ogni cittadino del mondo abbia diritto di entrare senza controllo nel territorio di qualunque Stato e di restarci, questo diritto entra in conflitto con quello dei cittadini di tale Stato di essere amministrati dal proprio governo in condizioni di efficienza e sicurezza. Un diritto fondamentale alla migrazione non esiste per questo motivo. Non potrebbe essere garantito senza confliggere con altri diritti fondamentali prevalenti.

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Ciò premesso, nel dibattito sulla migrazione si riconoscono in particolare tre questioni.

  • La procedura e le basi legali dell’ingresso sul territorio dello Stato e della domanda d’asilo (>qui);
  • Il respingimento di richiedenti l’asilo che non hanno tale diritto, verso lo Stato di primo ingresso o verso quello di provenienza (>qui);
  • L’attività lavorativa del migrante e la sua concreta integrazione sociale (>qui).

Con il termine «migrante» mi riferisco qui in generale a persone che giungono in Europa dall’Africa o da Paesi più poveri, in cerca di protezione o di lavoro. Considero la differenza tra richiedenti asilo e migranti economici caso per caso.

I tre punti che ho appena citato sollevano questioni fondamentali. Tali questioni non trovano risposta né con leggi nazionali né con provvedimenti dell’Unione europea. Sono radicate, infatti, nella Convezione ONU di Ginevra sullo status dei rifugiati e nel rispettivo protocollo integrativo (>qui). La Convenzione di Ginevra è stata approvata nel 1951, 72 anni or sono. Il protocollo integrativo è sorto nel 1967, di fronte ai mutamenti politici e giuridici avvenuti nel mondo a quel tempo. Sono passati pur sempre 56 anni.

Le leggi fondamentali dopo il 1951 e situazione odierna

Tutte le norme sulla migrazione approvate in tempi successivi fanno riferimento alla Convenzione di Ginevra e in particolare alla definizione di «rifugiato» fissata nella Convenzione stessa. Ciò vale anche per il Regolamento di Dublino, per l’Eurodac e per le rispettive disposizioni di attuazione.

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La maggioranza schiacciante dei migranti provenienti dall’Africa non si compone di persone perseguitate, aventi diritto d’asilo ai sensi della Convenzione di Ginevra. Si tratta di migranti economici. Questa affermazione è sostenuta da ampie esperienze e dalle statistiche degli Stati di accoglienza. Chi giunge ai confini europei si richiama però alle norme sul diritto d’asilo, per tentare di essere ammesso comunque sul territorio. Merita, perciò, valutare il quadro della migrazione proprio dal punto di vista della Convenzione ONU.

BASI LEGALI DELL’INGRESSO IN FRONTIERA E RICHIESTA D’ASILO

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Hanno diritto di accedere al territorio e a fare domanda d’asilo, secondo la Convenzione di Ginevra, anche persone sprovviste di documenti d’identità. L’applicazione della Convenzione, in origine, era limitata esplicitamente a persone perseguitate «per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951» [cit.]. In conseguenza, la Convenzione si applicava principalmente a cittadini europei che erano stati deportati o catturati durante la Seconda guerra mondiale e che si trovavano in un Paese diverso dal proprio, al momento della Convenzione, perché minacciati «per la loro razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche» [cit.].

Alle condizioni di allora si poteva certo considerare che gli aventi diritto all’asilo fossero fuggiti senza passaporto, oppure che si trovassero in un Paese estero senza documenti di ingresso validi, per qualunque motivo. Con l’aggiunta del protocollo del 1967, però, la norma relativa ai documenti d’identità è rimasta invariata. Tuttora è compito dello Stato di accoglienza, verificare l’identità del richiedente asilo, se questo giunge in frontiera senza documenti validi.

Quest’obbligo rende la procedura d’asilo più lunga, costosa e complicata. Inoltre, l’esperienza indica che spesso i migranti mentono alle autorità, sulla loro provenienza, età e identità. Questa disposizione ha per ulteriore conseguenza che i migranti non di rado distruggono volontariamente i loro passaporti per presentarsi in frontiera senza documenti. Sanno che godono di un diritto temporaneo di permanenza, sinché la procedura d’asilo non è conclusa. Quanto più la procedura si allunga, tanto meglio per loro.

Migranti, cosa fare: chi non ha un documento d’identità oggi?

Oggi non sarebbe esagerato esigere che una persona autenticamente bisognosa di protezione porti con sé un documento d’identità. Considerate le difficili condizioni nelle quali un migrante potrebbe porre domanda d’asilo, si potrebbero accettare anche documenti scaduti o diversi, dai quali si possano desumere con certezza l’identità e la provenienza della persona richiedente asilo. Ad esempio un libretto universitario, un porto d’armi o simili.

La questione dell’identità di una persona richiedente asilo rimanda a un’altra regolamentazione che oggi sembra non più adeguata. Il protocollo del 1967 ha esteso l’applicazione della Convenzione di Ginevra in modo indistinto a tutto il mondo. E’ compito dello Stato che esegue la procedura d’asilo, verificare successivamente se la persona che chiede protezione provenga davvero da un territorio nel quale può essere esposta a persecuzione.

Nel 1967 questa disposizione aveva un senso, considerato il livello di informazione di allora. La situazione, oggi, è diversa. Sappiamo con esattezza, in modo rapido e dettagliato, in quali regioni del mondo le persone possono essere esposte a persecuzione. In molti casi, grazie a ciò si può valutare la credibilità di una richiesta d’asilo già al momento della presentazione in frontiera.

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MIGRANTI E RESPINGIMENTO: COSA (NON) SI PUÒ FARE

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Il respingimento di migranti, secondo le leggi vigenti in materia, è di fatto impossibile. Il principio del non-respingimento impedisce di espellere o respingere alla frontiera qualunque persona richiedente asilo proveniente da Paesi cosiddetti «non sicuri.» In conseguenza, se una persona che proviene da tali Paesi si presenta alla frontiera e dichiara di voler porre domanda di protezione, le guardie di confine non possono far altro che lasciarla entrare. In teoria, le autorità devono registrare la persona e avviare la procedura d’asilo. Per molti motivi, ciò non avviene sempre. Il migrante si dà alla macchia, le autorità sono sovraccariche di richieste oppure non acquisiscono la procedura per motivi politici. Ciò accade spesso in Italia.

Sempre a causa delle disposizioni sugli Stati di origine sicuri, non è nemmeno possibile espellere il migrante in un secondo tempo, a seguito del rigetto della domanda d’asilo o perché si trattiene illegalmente sul territorio. Gli stranieri non possono essere rimandati verso Stati non sicuri. Questo è un principio valido, ma ogni Stato dell’Ue ha una lista diversa di Stati riconosciuti sicuri. Tutte queste liste, comunque, sono molto corte. La Germania riconosce sicuri solo >9 Stati, oltre a quelli europei; >l’Italia 16, la >Francia 13.

Ciò significa che i cittadini di tutti gli altri Stati che non possono restare legalmente in Europa, in pratica riescono a rimanerci lo stesso, perché le autorità non possono espellerli. I singoli governi europei devono tollerare la loro presenza. Infine, i pochi Stati considerati sicuri verso i quali sarebbe possibile espellere i migranti illegali spesso non accettano il rimpatrio dei loro stessi cittadini. Questa condotta viola l’art. 13 comma 2 della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, ma è abituale.

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Un circolo vizioso inaccettabile per chiunque

Questo contesto giuridico causa un circolo vizioso che di fatto genera un diritto illimitato di permanenza degli stranieri sul territorio europeo. Nessun ordinamento nazionale tollererebbe l’esistenza di un tale nonsenso; nel diritto internazionale, invece, si è giunti a questa situazione e nessuno sembra voler prendere l’iniziativa per cambiare qualcosa.

E’ la prospettiva di giungere alle coste europee e non poter in nessun modo essere rimpatriati, che attira schiere di migranti. Vi sono sfumature di applicazione, alle diverse frontiere esterne dell’Unione europea, ma questo stato di cose è garantito dalla legislazione internazionale. E’ questa che deve essere cambiata, poiché oggi offre più clienti ai passatori di quanto garantisca protezione ai veri richiedenti l’asilo.

Questo è il nocciolo del problema: blocchi navali o ridistribuzione dei migranti in Europa non significano nulla, da questo punto di vista. Una buona idea sarebbe definire una lista comune europea di Stati d’origine sicuri, compilata però in base alla situazione reale della sicurezza dei diversi Paesi. La lista dovrebbe tenere conto anche delle differenze regionali. Non ha senso stabilire che il Congo o la Nigeria sono Paesi non sicuri. Si tratta di Stati enormi, all’interno dei quali vi sono regioni non sicure, ma altre nelle quali non vi è ragione di temere pericoli.

Respingimento alla frontiera o espulsione successiva?

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Che si tratti di rimandare il migrante allo Stato di primo ingresso (molto spesso l’Italia) o al suo Paese di origine (molto spesso in Africa), non rileva. I battibecchi tra Germania, Italia e Francia o le modifiche al Regolamento di Dublino, molto chiacchierate ma mai concretizzate, non risolvono il problema. Non lo risolve nemmeno la contabilità della ridistribuzione dei migranti fra Stati europei. Se non si modifica la base legale, prima o poi la proporzione tra migranti e popolazione europea raggiungerà comunque il limite del sopportabile.

Un respingimento verso Stati e territori dove non vi sono pericoli reali deve essere possibile. Il deposito di una domanda d’asilo da parte di cittadini provenienti da tali territori dovrebbe essere rifiutato già in frontiera. La pressione politica sugli Stati che non accettano il rimpatrio dei loro cittadini dovrebbe essere molto più forte delle misure esercitate sinora dagli Stati europei, decisamente timide.

L’argomento con il quale si giustifica la debolezza degli europei rispetto agli Stati africani è che se sosteniamo comunque i Paesi dell’Africa, la loro situazione migliorerà gradualmente e da quei Paesi arriverà meno migrazione. Questo argomento ricorda il tristemente noto principio del «cambiamento attraverso gli scambi economici» (Wandel durch Handel) che ha improntato negli ultimi trent’anni le nostre relazioni con la Russia e la Cina. Cosa ne abbiamo ottenuto, lo abbiamo visto con la pandemia e con la guerra in Ucraina. Trattare con le dittature e con regimi non affidabili rafforza leader di dubbia moralità e accresce la nostra dipendenza. Se l’accordo su aiuti allo sviluppo e misure per il controllo della migrazione concluso tra Unione europea e Tunisia nel luglio 2023 sia un passo nella direzione giusta, resta tutto da stabilire.

MIGRANTI, COSA FARE: LAVORO E INTEGRAZIONE

L’obiettivo della schiacciante maggioranza dei migranti, abbiamo detto, non è la richiesta d’asilo, ma il miglioramento delle proprie condizioni economiche. Pur apprezzando questa intenzione, bisogna riconoscere che la loro speranza di successo professionale in Europa è condannata a rimanere tale.

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L’Europa ha bisogno di forza lavoro e i migranti cercano impiego. Per soddisfare le reciproche aspettative, però, i migranti devono disporre di qualificazioni che corrispondano alle esigenze del mercato del lavoro europeo. I più, purtroppo, non parlano neppure le nostre lingue. Farli entrare come falsi richiedenti asilo, con la prospettiva che possano realizzarsi professionalmente, è demagogia pura. Qualifiche, conoscenze linguistiche e atteggiamento dei migranti verso i Paesi nei quali vogliono lavorare devono essere accertati preventivamente e nei loro Paesi di provenienza.

L’esperienza di Italia e Germania nel 1955

Nel 1955 l’Italia e la Germania firmarono un trattato per l’assunzione di lavoratori italiani da parte delle imprese tedesche (>qui). Nel quadro di tale accordo fu aperta, in Italia, un’agenzia dell’Istituto federale tedesco del lavoro. Questa Commissione tedesca, come fu chiamata, raccoglieva le richieste di assunzione provenienti dalle industrie della Germania. Verificava, direttamente in Italia, i presupposti dei candidati, prima ancora che questi affrontassero il viaggio. Poi, rinviava i lavoratori italiani interessati al datore di lavoro tedesco.

Questo sistema si mostrò efficace, allora, e potrebbe costituire un modello per impostare accordi simili tra l’Unione europea e i Paesi africani. I cittadini di Stati africani che sono seriamente interessati a lavorare in Europa avrebbero così un punto di riferimento ufficiale, per conoscere le opportunità concrete esistenti. Riceverebbero informazioni sulle condizioni di vita e lavoro in Europa e potrebbero far verificare subito i loro presupposti.

Un elemento di tale verifica dovrebbe essere la capacità, anzi: la loro volontà di integrazione. Tutti i nostri magniloquenti discorsi sull’integrazione partono dal presupposto che ogni migrante non aspetti altro che integrarsi nella società europea. Questo presupposto è troppo ottimista, e ce ne accorgiamo guardano le periferie e certi quartieri delle metropoli europee, dove sono sorte società parallele totalmente isolate dal resto dei nostri Paesi. I migranti che non vogliono integrarsi diventano problematici. Non devono essere ammessi o devono essere espulsi; lo stesso vale per quelli che non hanno diritto di soggiorno.

MIGRANTI, COSA FARE: CONCLUSIONI

Migranti e leggi fondamentali anche nel libro L'Italia vista da fuori
«L’Italia vista da fuori» – Il libro di Luca Lovisolo sull’Italia

Il disordine della questione migratoria ha molte cause, ma l’invecchiamento delle norme internazionali di diritto della migrazione è fra le più gravi. Uno Stato – o un insieme di Stati, come l’Unione europea – non può rinunciare al controllo degli ingressi e della popolazione, poiché è un elemento essenziale della sua sovranità. La questione non dipende dall’uno o dall’altro partito politico. La dimostrazione migliore la offre proprio l’Italia. Negli anni recenti, né il governo della sinistra populista di Giuseppe Conte, né il tecnico Mario Draghi e nemmeno l’esecutivo di destra di Giorgia Meloni sono riusciti a cambiare qualcosa di sostanziale, nel controllo degli ingressi.

I buchi della vigente legislazione internazionale vengono sfruttati dalla criminalità organizzata per trasbordare persone verso l’Europa. Tutto ciò non ha più nulla a che vedere con la ratio della Convenzione di Ginevra. La Convenzione fu scritta per proteggere singoli individui in condizioni di persecuzione. Oggi, i flussi di migranti sono governati dal traffico organizzato di esseri umani. Nel momento in cui i migranti stessi si concedono consapevolmente al business dei passatori e versano loro delle somme di denaro, per ottenerne in cambio un trasbordo illegale, sorge una correità.

Ci si può allora chiedere a buona ragione se una migrazione di massa a queste condizioni corrisponda ancora all’ambito di applicazione della Convenzione di Ginevra, o non la contraddica piuttosto. Quelli che soffrono più di tutti, in questa situazione, infatti, sono coloro che hanno vero diritto d’asilo.

Migrazione in Europa: nuove proposte di legge dalle gambe corte

Negli ultimi mesi si sono registrate alcune proposte di nuove leggi sulla migrazione. Ciò è avvenuto in particolare in Francia e in Germania. Obiettivo non dichiarato ma ben evidente di queste proposte è rispondere alla crescente frustrazione dei cittadini europei verso l’immigrazione incontrollata. La migrazione causa insicurezza presso la popolazione.

La Germania ne è un esempio particolarmente probante. A Berlino più nessuno nasconde che gli episodi sempre più frequenti di accoltellamento, gli scontri di massa per le strade e altre pesanti turbative dell’ordine pubblico, in una società un tempo tranquilla e ben autoregolata, sono causati nella maggioranza dei casi da migranti. Le nuove proposte di legge toccano alcuni dei punti che ho citato qui, ma restano nel ristretto spazio d’azione degli ordinamenti dei singoli Paesi. Per questo motivo, le nuove leggi difficilmente porteranno progressi decisivi.

L’insoddisfazione della popolazione europea viene sfruttata da partiti di estrema destra, che ricevono consensi crescenti dagli elettori. Non mi occupo qui dei riflessi di politica interna, in caso di salita al potere di partiti xenofobi. Considero le conseguenze sul piano internazionale: i partiti di destra sono portatori della visione del mondo della Russia. Se l’incapacità dell’Europa di affrontare in modo deciso la questione della migrazione porterà al governo questi partiti, sarà la Russia a sedere alle leve di comando dei nostri Stati. Non ho bisogno di spiegare cosa ciò significherebbe, per la società aperta europea e per le nostre libertà fondamentali.

Migranti, cosa fare: un buon punto di partenza

Un buon punto di partenza sarebbe sottrarre il dibattito sulla migrazione alle zuffe tra partiti politici. La migrazione tocca questioni fondamentali, come il controllo degli ingressi sul territorio e il governo della popolazione, la sovranità dello Stato e la sicurezza dei cittadini. Sono i compiti essenziali di uno Stato moderno, sui quali dovrebbe esistere un consenso trasversale alle forze politiche.

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Le continue accuse reciproche fra Paesi europei, l’idea – errata – che l’Unione europea abbia la bacchetta magica per far comparire la soluzione, gli appelli all’adeguamento del Regolamento di Dublino, che ormai non si possono più sentire, sono argomenti buoni per i commentatori dei media. Tutto ciò che esiste in fatto di norme sulla migrazione si basa sui principi della Convenzione di Ginevra. L’Unione europea, con tutti gli Stati che hanno interesse a un’immigrazione regolata, dovrebbe piuttosto attivarsi nelle sedi opportune per un rapido adeguamento della Convenzione, anziché litigare su questioni secondarie.

La sfida è decisiva

Si tratta di una sfida politica enorme. Il resto del mondo, il cosiddetto «Sud globale», si leverà compatto contro ogni riforma restrittiva delle norme sull’asilo. Su questa sfida, però, si misurerà la capacità di decisione delle classi politiche europee. Cosa succederebbe, se tutti gli Stati dell’Unione europea e qualcun altro ancora, ad esempio la Svizzera, sospendessero allo stesso tempo l’applicazione della Convenzione di Ginevra, perché non corrisponde più al suo nobile intento originario? Sarebbe un passo estremo, ma è possibile, e bisogna pur poterne parlare.

Sul sito Internet dell’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni unite, nella versione tedesca, si legge una frase degna di nota: «La Convenzione di Ginevra sui rifugiati è indispensabile.» Questa affermazione sembra un po‘ esagerata. A essere indispensabile è l’istituto giuridico della protezione internazionale. Le norme che regolano lo statuto dei rifugiati possono essere messe in discussione, se non sono più attuali, come qualunque altro testo di legge.

Se non lo si farà in fretta, l’abuso di norme internazionali nate con molte buone intenzioni diventerà così estremo, che le norme stesse perderanno di significato. L’abuso della legge è il modo più efficace per farla morire.

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Il mio corso «Capire l'attualità internazionale» accompagna chi desidera comprendere meglio i fatti del mondo. Con il corso «Il diritto per tradurre» comunico le competenze giuridiche necessarie per tradurre testi legali da o verso la lingua italiana.

Commenti

  1. Giacomina Enrica Maria Cassina ha detto:

    Grazie per la (spietata) lucidità che raramente – purtroppo – arriva fino a coinvolgere i politici e a modificare le norme, nazionali o internazionali che siano. Resta fondamentale ricondurre il problema migranti e richiedenti asilo ad un quadro giuridico certo, coerente e adatto agli sviluppi di questa realtà (umana, sociale ed economica).

    Una sola osservazione: sento sempre più necessaria anche una modifica delle norme sulle migrazioni economiche che permetta flussi controllabili di lavoratori: sono convinta (tra l’altro per esperienza personale come europea e migrante) che questa modifica debba essere decisa presto a livello dell’UE e implicare una reimpostazione delle finalità e del lavoro delle nostre Ambasciate nei paesi d’origine. Qualcosa di simile a quanto già fanno, in parte, le Ambasciate di Germania ed Austria: un lavoro di preselezione in loco dei potenziali migranti e di preparazione alla migrazione legale.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie per il Suo apprezzamento. Concordo sulla necessità di regolare la migrazione economica. Come scrivo anche nell’articolo, a questo scopo è necessario far giungere in Europa persone capaci di dare risposta concreta alle esigenze del mercato del lavoro. L’esperienza degli accordi del ’55 tra Italia e Germania potrebbe insegnare molto. Un’altra idea sarebbe istituire, da parte europea, scuole professionali in Africa, capaci di formare sul posto le abilità necessarie qui. Si potrebbero ottenere risultati già in poco tempo, per i profili meno esigenti. Purtroppo, sono misure che pagano poco sul piano della retorica elettorale. Il dibattito di questi giorni a Bruxelles sulle modifiche alle norme europee sulla migrazione è la triste conferma di ciò che spiego nell’articolo: interventi di scarsa presa che hanno più l’aspetto di un maquillage, che di una reale riforma delle basi legali. Cordiali saluti.

  2. Giorgio ha detto:

    Ottimo esempio di come un problema complesso come quello delle migrazioni internazionali possa essere affrontato in modo razionale e non con le lenti dell’ideologia e dell’emotività, come avviene di solito.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie.

  3. Antonello ha detto:

    Come sempre le sue analisi e osservazioni sono acute e offrono un punto di vista difficilmente riscontrabile nei media o in politica. Tempo fa ho avuto modo di ascoltare la sua audizione del 6 agosto 2020 davanti alla Commissione parlamentare. È emblematico come, col senno di poi, la politica e i politicanti non siano al passo con la storia attuale. Saluti

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie per la Sua attenzione e il Suo apprezzamento. Cordiali saluti. LL

  4. Dario Durando ha detto:

    Bravissimo! Condivido al 100%.

  5. Luigi Tesio ha detto:

    Ma se anche modificando la convenzione di Ginevra il flusso di migranti economici continua, forse nulla cambierebbe una volta che arrivano. O no?

    • Luca Lovisolo ha detto:

      I migranti sanno che di fatto non possono essere rimandati a casa, con le regole attuali, se arrivano sulla costa italiana. Perciò chiedono l’asilo, anche se sono migranti economici, e passano. Ciò non è più tollerabile, poiché significa che lo Stato perde il controllo sugli ingressi. Se si modificano le norme in modo da consentire i respingimenti, i migranti sapranno che devono tornare, se non hanno diritto di restare, perciò è più probabile che non partano. E’ chiaro che bisogna aggiornare anche le norme sui Paesi d’origine sicuri, che oggi indicano come pericolosi Stati in cui, in realtà, non vi sono più pericoli reali. Per chi vuole entrare in Europa con serie intenzioni di lavoro, si possono trovare soluzioni, come spiego nel testo con l’esempio del trattato Italia-Germania. L’ingovernabilità delle migrazioni ha anche altre concause, ma la situazione legislativa attuale sembra fatta apposta per attirare il malaffare e tanti migranti senza prospettive.

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Con le mie analisi e i miei corsi accompagno a comprendere l'attualità globale chi vive e lavora in contesti internazionali.

Tengo corsi di traduzione giuridica rivolti a chi traduce, da o verso la lingua italiana, i testi legali utilizzati nelle relazioni internazionali fra persone, imprese e organi di giustizia.

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