Si traduce «guerra» o «conflitto armato?»

Guerra e conflitto armato, differenze
Guerra e conflitto armato: differenze tra sinonimi apparenti | Hiroshima, memoriale | ® Wolfgang Hasselmann

Differenze fra «guerra» e «conflitto armato:» non sono sinonimi, nel linguaggio tecnico. Queste espressioni sono di triste attualità anche per i traduttori. Vi sono termini che sembrano equivalenti, ma hanno ciascuno un diverso contenuto politico-giuridico. Le conseguenze sull’applicazione del diritto internazionale e delle tutele umanitarie. Altri termini collegati alla materia.


La guerra presenta una componente terminologica: le parole concernenti gli scontri armati diventano di triste attualità anche per i traduttori, allo scoppio di un conflitto. Fra le tragedie causate da una guerra, gli aspetti linguistici sembrano un dettaglio accademico. Come in ogni branca del diritto, però, anche nelle questioni belliche il linguaggio è costitutivo, non si limita a descrivere una situazione di fatto.

In tempo di guerra, come quello che viviamo, in documenti, articoli di giornale e atti pubblici ricorrono termini come guerra, conflitto, conflitto armato. Li consideriamo sinonimi: in realtà, ciascuno ha un proprio significato, sia per l’applicazione del diritto internazionale sia per garantire le tutele umanitarie che possono alleviare le sofferenze delle persone coinvolte.

Legga anche: Il linguaggio penale delle epidemie

Vi sono poi espressioni sempre più comuni, spesso mancanti di una traduzione esatta in italiano, che identificano condotte di guerra nuove e particolari. Guerra ibrida, guerra non lineare, war by proxy e altre designazioni si ritrovano in molti testi, anche rivolti a un pubblico non tecnico. In questo articolo approfondiamo perché questi termini costituiscono fattispecie differenti e non sempre possono essere usati come sinonimi. Conosciamo anche altri termini imparentati, che saranno indicati in corsivo.

Differenze: guerra e conflitto, armato o non armato?

Nel linguaggio delle relazioni internazionali, il termine conflitto non si riferisce sempre a una guerra. Indica qualunque forma di contrasto fra due o più parti, anche un contrasto non armato e non in grado di mettere in pericolo la pace. Il conflitto è diverso dalla competizione: quando competono, due o più parti si scontrano per conseguire un obiettivo; un conflitto, invece, può nascere da divergenze di vedute o di condotta, non mirate a una volontà di prevalenza.

Un conflitto si compone di due elementi: l’oggetto della controversia e un’azione concreta per risolverla. Tuttavia, un conflitto può essere accantonato anche con metodi pacifici, che non minano il mantenimento della pace. Per questo motivo la Carta delle Nazioni unite non usa mai il termine conflitto: parla di minacce alla pace, di violazione della pace, di uso della forza, di violazione dell’integrità territoriale, etc. Per costituire giuridicamente la fattispecie di conflitto, nel diritto internazionale, è necessario indicare con concretezza cosa stia minando le relazioni pacifiche tra gli Stati (v. Quincy Wright, >International Conflicts and United Nations, World Politics, Vol. 10, N. 1, ottobre 1957, pag. 24-48, Cambridge University Press, 1957). In altre parole: un conflitto, armato oppure no, esiste se è possibile dire su cosa esso verte.

Legga anche: >Cosa significa «società aperta:» lingua e attualità

Guerra, conflitto o conflitto armato: differenze e criticità

L’uso della parola guerra è molto diffuso nel linguaggio comune, ma presenta criticità nel linguaggio politico e giuridico. Nelle costituzioni e nelle leggi degli Stati si usano i termini guerra e stato di guerra. Previsioni specifiche definiscono quale autorità ha il potere di deliberare e dichiarare lo stato guerra. Ad esempio, nella Repubblica italiana:

«Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari.»
(Art. 78 Cost. IT) «Il Presidente della Repubblica […] dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere.» (Art. 87 Cost. IT)

La Costituzione svizzera non contiene una norma analoga, ma la Confederazione e i singoli Cantoni conoscono un diritto di necessità extracostituzionale con cui il Consiglio federale (governo centrale), ma anche i Consigli di Stato (governi) dei Cantoni, possono acquisire pieni poteri e deliberare con larga autonomia rispetto alle Camere, in caso di emergenza. L’espressione pieni poteri entrò nell’uso in Svizzera durante la Seconda guerra mondiale, ultima circostanza in ordine di tempo in cui il Paese applicò il diritto di necessità extracostituzionale.

Legga anche: L’uso della parola «Stato»

Lo stato di guerra comporta l’applicazione di leggi eccezionali per il tempo di guerra. La parola guerra richiama pertanto precise fattispecie giuridiche. Oggi lo stato di guerra può solo rispondere a un’aggressione e ha funzione difensiva. Né in Italia né in Svizzera si parla di dichiarazione di guerra verso un altro Stato. Una tale dichiarazione manifesta la volontà politica di uno Stato di muovere allo scontro armato con un altro. In Italia, ciò contraddirebbe l’articolo 11 Cost., che esprime il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; in Svizzera, una dichiarazione di guerra sarebbe contraria al principio di neutralità.

Guerra: la precisione è fonte di problemi

Luca Lovisolo, Tredici passi verso il lavoro di traduttore
«Tredici passi verso il lavoro di traduttore» – La guida di Luca Lovisolo

All’opposto del termine conflitto, per il termine guerra è l’eccessiva precisione che causa problemi. Se in un trattato internazionale si usa la parola guerra, quel trattato sarà applicabile solo in caso di guerra dichiarata, ossia in presenza di una manifesta volontà politica di belligeranza. Nel concreto, se oggi si pretendesse di imporre alla Russia l’applicazione di qualche trattato internazionale formulato con l’espressione guerra, Mosca potrebbe tentare di sottrarsi affermando che non ha mai dichiarato guerra all’Ucraina, anzi: le sue attività sono una «operazione militare speciale» di estensione e scopi limitati – così l’hanno definita le autorità russe sin dal principio.

Nella realtà, questo stratagemma dialettico può soccorrere solo nei casi controversi e non aiuterà la Russia per gli eventi bellici in corso. La dimensione dello scontro rende manifesta per fatto concludente la volontà del governo russo di nuocere allo Stato e alla popolazione ucraini. L’espressione «operazione militare speciale» serve a evitare al Cremlino di pronunciare la parola guerra verso la popolazione interna. Per questo motivo, la definizione dovrebbe sempre essere citata fra virgolette, per evidenziarne la non rispondenza alla realtà.

Legga anche: >Cosa significa «regime:» accezioni insolite

Guerra e conflitto armato: le parole nella comunicazione e nel diritto

Proprio in questi giorni, il capo ufficio stampa del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha di fatto rinunciato all’eufemismo «operazione militare speciale» e ha affermato che la Russia si trova in guerra. Vedremo se questa mutazione avrà ricadute sul linguaggio quotidiano del governo russo. A noi, dal punto di vista linguistico, conferma l’importanza della scelta delle parole. Due anni fa, alla ripresa delle attività belliche in Ucraina, la parola guerra non sarebbe stata accettata dall’opinione pubblica russa. Dopo due anni di scontri può ormai rientrare in uso. Anzi, visto lo sforzo bellico a cui la Russia e la sua popolazione sono sottoposte, il termine guerra è utile per comunicare alla cittadinanza la dimensione dei fatti e giustificare le misure governative conseguenti.

Sembra contraddittorio, che una guerra sia regolata da norme del diritto internazionale. Eppure, per quanto difficile da applicare, in molti casi il diritto internazionale di guerra (jus in bello) riesce a limitare i danni di uno scontro armato. Fra i documenti fondativi c’è la >Convenzione di Ginevra sul trattamento dei prigionieri di guerra. Vi sono poi trattati internazionali sull’uso degli armamenti, che vietano l’impiego di armi particolarmente distruttive o la mira su obiettivi civili. Altre convenzioni regolano la punizione dei crimini di guerra e tutelano il patrimonio artistico e culturale in caso di scontro.

Le convenzioni internazionali sono firmate e ratificate dagli Stati. Il diritto internazionale di guerra presuppone che a combattere siano i cosiddetti legittimi combattenti, cioè le forze armate statali regolari. Ciò lo rende difficile da applicare quando le azioni violente sono compiute da gruppi terroristici o paramilitari, poiché questi non hanno il profilo riconosciuto di eserciti di Stato.

Guerra e conflitto armato, differenze: eserciti e gruppi non statali

Oggi, purtroppo, vi sono organizzazioni criminali e milizie private che hanno potenzialità offensive simili a quelle degli eserciti statali. Sono in grado di condurre operazioni che recano distruzioni analoghe a quelle di una guerra: ricordiamo l’attentato dell’11 settembre 2001 alle Torri gemelle di New York, compiuto da un gruppo terroristico internazionale di matrice religiosa; gli interventi delle milizie private russe in Africa; le azioni di gruppi separatisti e terroristici presenti in ogni angolo del pianeta. Lo stesso deve dirsi per gli scontri interni causati da raggruppamenti criminali, spesso legati al narcotraffico e ad altri illeciti economici, come accade in alcuni Paesi dell’America latina. Comportano violenze inaudite, ma non sono compiuti da Stati con da eserciti regolari.

Legga anche: >Gaza: Sudafrica contro Israele all’Aja, cosa significa

Un caso particolare è l’azione del gruppo Hamas, in Palestina. Si tratta di un gruppo terroristico che tuttavia governa un territorio e una popolazione, quella arabo-palestinese nella Striscia di Gaza. Questo territorio è parte dell’Autorità nazionale palestinese, non riconosciuta da tutti come Stato. Ai fini del diritto internazionale, però, il conflitto arabo-israeliano è considerato un conflitto fra Stati, per la sua realtà storica e fattuale. Ciò, fra l’altro, permette gli interventi della Corte internazionale di giustizia e una pur difficile applicazione delle convenzioni umanitarie.

Come la legge supera la difficoltà di formulazione

Le difficoltà di formulazione in materia possono essere difficili da aggirare. La scrittura di una norma prevede la costituzione di una fattispecie, cioè la combinazione di elementi di fatto e di diritto da cui discendono conseguenze giuridiche. L’applicazione di una convenzione internazionale che sanzioni un atto di guerra richiede che: a) l’autore dell’atto sia uno Stato firmatario della convenzione e b) sia dichiarata una guerra fra tale Stato e un altro, o l’azione abbia caratteristiche tali da configurare una guerra anche senza dichiarazione esplicita.

Legga anche: Il termine «crudeltà» nella traduzione giuridica

Questi presupposti erano evidenti in passato, quando la belligeranza osservava forme più tradizionali. Oggi, i modi e gli attori possibili di uno scontro si sono moltiplicati al punto da rendere obsolete molte fattispecie belliche definite secondo una terminologia tipica.

Da «guerra» a «conflitto armato:» meno precisione per più applicabilità

Per questi motivi, in molti documenti compare il distico conflitto armato. Nel linguaggio comune i due termini vengono usati come sinonimi, ma nel linguaggio tecnico-giuridico la differenza tra guerra e conflitto armato ha conseguenze. La distinzione è necessaria per consentire l’applicazione dei trattati anche alle azioni non qualificate come guerre. Troviamo la definizione di questi concetti proprio nella Convenzione di Ginevra del 1949, appena citata:

«Article 2 – […] The present Convention shall apply to all cases of declared war or of any other armed conflict which may arise between two or more of the High Contracting Parties, even if the state of war is not recognized by one of them

«Articolo 2 – […] La presente Convenzione si applica in caso di guerra dichiarata o di qualsiasi altro conflitto armato che scoppiasse tra due o più delle Alte Parti contraenti, anche se lo stato di guerra non fosse riconosciuto da una di esse.»

(Convenzione di Ginevra relativa al trattamento dei prigionieri di guerra, 1949 – Traduzione ufficiale del >diritto federale svizzero)

Conflitto armato: classificazioni, proxy war

Capire l'attualità internazionale
Il corso di Luca Lovisolo per
capire gli avvenimenti del mondo

Secondo la Convenzione citata, un conflitto armato può essere classificato come internazionale, interno o internazionalizzato – quest’ultimo si configura quando due parti istigatrici forniscono strumenti economici, bellici e politici per uno scontro condotto da eserciti di Stati terzi. E’ la cosiddetta proxy war, in italiano spesso designata come guerra per procura.

Casi simili si sono verificati spesso durante la Guerra fredda. Molti scontri armati fra Stati africani o asiatici scoppiavano come riflesso degli interessi delle due superpotenze emisferiche. Tuttavia, si può avere proxy war anche quando chi istiga al conflitto vi prende parte fisicamente, in modo più o meno scoperto: un esempio tristemente noto è la guerra del Vietnam, conclusasi nel 1975, che vide il coinvolgimento operativo dell’esercito degli Stati uniti, oltre alle forze locali.

L’espressione guerra per procura è tornata corrente dopo la ripresa dell’invasione russa in Ucraina. Vi è chi ritiene, infatti, che quella russo-ucraina sia una guerra che l’Ucraina combatte per procura (su incarico e istigazione) degli Stati uniti contro la Russia. Non è questo il luogo per soffermarsi sulla correttezza o meno di questa interpretazione. Per quanto ci interessa qui, questo richiamo ci rende attenti su quanto l’uso del linguaggio possa piegarsi anche a finalità di propaganda.

Quando il diritto e il suo linguaggio sono difficili da applicare

Sebbene utilizzi il termine conflitto armato, nel tentativo di aggirare l’ostacolo, la formulazione della Convenzione di Ginevra presuppone comunque la volontà politica di almeno uno degli Stati coinvolti di riconoscere le operazioni come atti di belligeranza. A settant’anni dalla promulgazione di questo testo, le definizioni in esso contenute presentano falle dovute all’evoluzione dei modi di scontro. Poiché le definizioni di guerra e conflitto armato fissate nella Convenzione sono prese a modello per la delimitazione di queste fattispecie, in fatto e in diritto, le conseguenze di questa incertezza si estendono all’applicazione di altre norme.

Legga anche: >L’uso della parola «Stato»

Quando le azioni sono condotte da gruppi di separatisti, ad esempio, il diritto internazionale bellico diventa difficile o impossibile da applicare. Infatti, se uno Stato esigesse l’applicazione di una convenzione internazionale in cui si parla di Stato e di guerra contro un movimento separatista, attribuirebbe implicitamente a tale movimento la dignità di Stato e riconoscerebbe così la perdita della propria integrità territoriale.

Differenza tra guerra e conflitto armato: e i conflitti interni?

Un esempio concreto: se il governo spagnolo avesse richiesto l’applicazione di un trattato internazionale di diritto bellico sugli atti compiuti dai separatisti catalani, ciò facendo avrebbe tacitamente riconosciuto ai separatisti una forma di statualità e avrebbe ammesso allo stesso tempo la fine dell’integrità territoriale dello Stato spagnolo uscito dalla Costituzione del 1978. Questa conseguenza è nei fatti: la riserva della Convenzione di Ginevra, espressa all’articolo 3., dove si afferma che l’applicazione della Convenzione stessa non causa una mutazione dello status giuridico delle parti, offre una contromisura molto debole.

Legga anche: Cos’è l’Unione europea: le parole per definirla

Con tutto ciò, anche la definizione di conflitto armato presenta problemi, ma è più elastica e offre maggiori possibilità di aggirare gli ostacoli dialettici e giuridici connessi alla parola guerra. Eppure, l’applicazione del diritto umanitario può ancora trovare difficoltà, nei casi in cui una o più parti coinvolte non accettano, per ragioni politiche, di trovarsi in una situazione di scontro dichiarato, interno o internazionale. In conseguenza, non consentono l’applicazione delle norme umanitarie, l’accesso di organizzazioni di salvataggio dei profughi e altre azioni a sollievo delle popolazioni colpite, rese possibili dai trattati internazionali rispettivi (cfr. Gertrude C. Chelimo, >Defining Armed Conflict in International Humanitarian Law, in: Enquires, Law and Justice, 2011, Vol. 3 N. 4).

Guerra ibrida, grey zone war, guerra non lineare

Corso: Il diritto per tradurre»
Il corso di Luca Lovisolo
per la traduzione giuridica

Queste definizioni si incontrano sempre più spesso. Indicano, con sfumature diverse, una condotta di guerra che include più componenti, oltre alle operazioni militari classiche. Gli studiosi non sono sempre concordi nel tracciare i confini tra queste definizioni. Tra di esse vi sono sovrapposizioni semantiche che facilitano la confusione. Ha poco senso qui entrare nel dettaglio della distinzione (una definizione sintetica ma efficace in lingua italiana si trova in: Marta Ottaviani, >Brigate russe, Bompiani, Milano, 2023). Perde di peso, in queste definizioni, la differenza tra guerra e conflitto armato.

Per noi, come traduttori, è importante sapere che termini come hybrid warfare (guerra ibrida), grey zone warfare, oppure guerra non convenzionale o non lineare non sono espressioni descrittive o di fantasia. Si riferiscono a modalità codificate di scontro messe in opera da uno Stato, che includono l’uso della falsa informazione, il coinvolgimento di attori non statali (gruppi di agitatori, terroristi o separatisti), l’esercizio di influenze politiche ed economiche, persino l’organizzazione di false missioni umanitarie, per esercitare pressione o controllo su un altro Stato.

Un caso esemplare di guerra ibrida (classificabile anche come guerra non lineare) è stato l’intervento medico-militare russo in Italia durante la recente pandemia di COVID-19 (ne parlo più in dettaglio in >Il progetto della Russia su di noi, 2020-23 e nella mia >relazione alla Commissione esteri della Camera dei deputati italiana, agosto 2020). L’uso di mezzi diversi dalle armi convenzionali non è nuovo, nella condotta delle guerre. Oggi, però, il peso degli strumenti atipici è maggiore, tanto che configura tipologie e definizioni specifiche di guerra.

Legga anche: >Separatismo e terminologie collegate: significati

Differenze tra guerra e conflitto armato: conclusioni

Guerra, conflitto e conflitto armato possono essere usati quasi sempre come sinonimi, nel linguaggio comune. Al contrario, nel linguaggio del diritto e delle relazioni internazionali bisogna ricordare che questi termini sono costitutivi di fattispecie diverse. La maggiore o minore elasticità nella scelta richiede un’analisi del contesto. Lo stesso deve dirsi per le terminologie collegate: stato di guerra, diritto di necessità extracostituzionale, legittimi combattenti e tutte le designazioni che abbiamo conosciuto sopra.

Nella traduzione, se il testo d’origine è scritto con cura, la fedeltà alla terminologia nella lingua di partenza salva da possibili errori, come in ogni traduzione tecnica. Purtroppo, come sappiamo, questa massima non sempre garantisce una traduzione corretta, poiché non tutti i testi da tradurre sono redatti con la necessaria attenzione, anche in contesti tecnici. Nel linguaggio giornalistico e della grande comunicazione, poi, le confusioni sono costanti. Occorre saper riconoscere i casi in cui la distinzione rileva ai fini tecnico-giuridici e quelli in cui possono essere accettati usi indifferenziati.

Come abbiamo visto, dall’impiego corretto della terminologia di guerra può dipendere l’applicabilità di un trattato internazionale o la possibilità di compiere una missione umanitaria. Nel tradurre queste parole dalle diverse lingue, nei contesti politici e tecnico-giuridici, è necessario tenere conto del loro retroterra.

(Articolo pubblicato in originale il 14.3.2022, ripubblicato con aggiornamenti il 26.3.2024)

Condivida questo articolo con i Suoi contatti

Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Il mio corso «Capire l'attualità internazionale» accompagna chi desidera comprendere meglio i fatti del mondo. Con il corso «Il diritto per tradurre» comunico le competenze giuridiche necessarie per tradurre testi legali da o verso la lingua italiana.

Commenti

  1. Paolo Cappelli ha detto:

    Mi sembra un contenuto eccellente. Da interprete che si occupa prevalentemente di queste materie, mi complimento per la chiarezza espositiva e il dettaglio della ricerca.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie. Ricordo il Suo intervento del 2017 sulle problematiche di interpretazione sugli scenari di guerra, a Milano (ne ho parlato >qui). LL

  2. Giacomina Enrica Maria CASSINA ha detto:

    Molto chiaro e molto utile anche per non traduttori. Grazie

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Con le mie analisi e i miei corsi accompagno a comprendere l'attualità globale chi vive e lavora in contesti internazionali.

Tengo corsi di traduzione giuridica rivolti a chi traduce, da o verso la lingua italiana, i testi legali utilizzati nelle relazioni internazionali fra persone, imprese e organi di giustizia.

Iscriversi al notiziario

Gli iscritti al notiziario ricevono informazione sull'uscita di nuovi articoli e sulle attività dei corsi. Il notiziario esce ogni due settimane circa.

Se desidera ricevere il notiziario nella versione per traduttori, non dimentichi di barrare la casella rispettiva, prima di inviare l'iscrizione.
Archomai – centro studi e formazione di Luca Lovisolo | Sede legale: I-28021 Borgomanero (Italia) | IT 02612440038 | Condizioni di vendita | * Protezione dei datiImpressum
Copyright © 2021 Luca Lovisolo