Bielorussia, proteste persistenti iniziate nell’agosto 2020 chiedevano la fine del regime di Aljaksandr Lukašėnka, confermato a capo dello Stato con elezioni non riconosciute. Le dimostrazioni avevano suscitato l’ammirazione del mondo intero. La situazione nel Paese un anno dopo. L’attenzione dell’opinione pubblica mondiale per i moti di rivolta è calata. Il caso dell’atleta bielorussa alle Olimpiadi.
Alcuni episodi recenti hanno riportato l’attenzione sulla Bielorussia, perché hanno coinvolto personalità note o interessi europei. E’ il caso del >dirottamento di un aereo europeo Ryanair e della fuga di atleti bielorussi dalle Olimpiadi di Tokyo. Tra questi, in particolare, l’atleta bielorussa Kryscina Cimanoŭskaja (o Kristina Timanovskaya, come viene più spesso translitterato il suo nome dai media), che il governo di Lukašėnka voleva costringere a interrompere la partecipazione ai Giochi dopo che aveva espresso critiche al Comitato olimpico del suo Paese, guidato da Viktar Lukašėnka, figlio del presidente Aljaksandr.
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Bielorussia, proteste alle Olimpiadi e altri fatti recenti
Il meccanismo di protezione del Comitato olimpico internazionale per gli atleti sottoposti a pressioni politiche ha funzionato, la giovane velocista bielorussa e suo marito sono ora al sicuro, grazie alla collaborazione della polizia giapponese e al visto umanitario concesso loro dalla Polonia.
Si temono però conseguenze per i genitori della giovane, rimasti in patria. Secondo >Voices of Belarus, una testata Internet curata da giornalisti e scrittori vicini ai dissidenti, il 2 agosto la polizia bielorussa si sarebbe recata a casa dei genitori dell’atleta.
Nei giorni scorsi, inoltre, si è registrato l’omicidio di un attivista bielorusso domiciliato in Ucraina, che si adoperava da lì nel sostegno ai dissidenti del regime di Minsk. Questi casi non aggiungono molto a ciò che si sta dicendo da un anno, sul regime di Lukašėnka. Sono anelli di una catena silenziosa di cadaveri e fuggiaschi. Gli atleti emergono dall’anonimato, per il loro ruolo e per il contesto in cui avvengono le loro fughe. E’ triste ma facile prevedere che la catena non terminerà qui.
Lukašėnka, chi è e cosa ha fatto
Aljaksandr Ryhoravič Lukašėnka è nato il 30 agosto del 1954 nel distretto di Orša, nella Bielorussia orientale, a poca distanza dal confine russo. Può trovarsi citato come Aleksandr Grigor’evič Lukašenko, se translitterato dal russo, o Alexandr Lukashenko, come viene spesso riportato nei media italiani, che utilizzano la translitterazione fonetica all’inglese.
Aljaksandr Lukašėnka vinse nel 1994 le prime elezioni presidenziali seguite all’indipendenza della Bielorussia, riconosciuta nell’agosto 1991, pochi giorni dopo il colpo di Stato da cui iniziò il processo di scioglimento dell’Unione sovietica. Lukašėnka ottenne la vittoria con una campagna elettorale fondata su messaggi populistici, a soli 40 anni di età. Prevalse su concorrenti ben più esperti di lui, ma visti dalla popolazione come esponenti del precedente regime sovietico.
Da allora in poi Lukašėnka ha rafforzato a Minsk un regime di crescente autoritarismo, ormai scivolato nella dittatura. Alle soglie dei settant’anni, difende con le unghie e con i denti il proprio potere e sembra prepararsi a cederlo a uno dei suoi tre figli. Tra questi, Viktar svolge già da tempo ruoli di Stato; il più presente a fianco del padre, però, è l’ancor giovane Mikalaj, comparso spesso anche in circostanze ufficiali.
Bielorussia, proteste e dissidenza emergono nell’agosto 2020
Le elezioni presidenziali bielorusse dell’agosto 2020 hanno confermato per l’ennesima volta la vittoria schiacciante di Lukašėnka, al potere da quasi trent’anni, ma sono considerate prive di legittimità. Ove è stato possibile svolgere scrutini paralleli non controllati dal governo, è uscita vincitrice colei che oggi è riconosciuta come guida dell’opposizione del Paese, Svjatlana Cichanoŭskaja (o, in russo, Svetlana Tichanovskaja). Moglie di un noto blogger di opposizione candidato presidente, è subentrata nella corsa elettorale al marito, arrestato dal regime per impedirgli di partecipale alle elezioni.
Pressoché tutti gli esponenti della dissidenza bielorussa si trovano oggi in esilio, perseguitati con un’ondata di arresti dopo le elezioni e nel contesto delle proteste che le seguirono. Tra gli oppositori rimasti nel Paese vi è l’energica Marya Kalesnikava (o Kolesnikova), che proprio in questi giorni viene processata per la sua partecipazione alle attività delle forze contrarie al regime.
Aljaksandr Lukašėnka e il suo governo non cadono. La solidità del sistema di potere, apparentemente inspiegabile, ha molte spiegazioni.
Lukašėnka – Bielorussia: un binomio senza alternative?
La fine di una dittatura difficilmente avviene solo per rivolta popolare, anche se in alcuni casi così sembra. Fascismo e nazismo caddero perché persero una guerra mondiale e lasciarono distrutti i Paesi che governarono; in Spagna la dittatura franchista cessò per la morte di Franco, quella di Salazar in Portogallo sopravvisse di poco al suo capo.
Nei Paesi dell’Est i regimi comunisti finirono nel 1989 perché cessò il supporto di Mosca. Senza il venir meno dell’appoggio sovietico, le proteste in Romania e negli altri Paesi dell’Europa orientale sarebbero state schiacciate, come a Berlino est nel 1953, a Budapest nel 1956 e a Praga nel 1968. L’Unione sovietica stessa finì perché incapace, negli ultimi anni, di riscaldare le case dei cittadini e di far giungere nei negozi i beni di prima necessità.
In Occidente attribuiamo molta importanza alle manifestazioni di piazza, forze troppa. Vedere in TV le strade di Minsk colorate da centinaia di migliaia di manifestanti pacifici, un anno fa, suscitava sensazione e ammirazione. Non bisogna dimenticare, però, che quelle migliaia di cittadini rappresentano pur sempre una minoranza di abitanti, concentrata nei centri urbani. Sono i più colti, i più consapevoli e coraggiosi. Il regime di Aljaksandr Lukašėnka ha i suoi sostenitori nella popolazione rurale e più anziana, nostalgica dello stile di vita sovietico. Lukašėnka sa accattivarsi le simpatie di questa fascia di cittadini poco ambiziosi, garantendo loro il pagamento delle pensioni e l’erogazione di servizi sociali elementari.
La differenza culturale tra i blocchi sociali che avversano Lukašėnka e quelli che lo sostengono emergeva impietosamente anche dal linguaggio degli intervistati, ai microfoni dei giornalisti che interrogavano i partecipanti alle manifestazioni pro e contro il presidente. L’altro pilastro del regime sono gli impiegati dello Stato, consapevoli che la caduta del sistema li trascinerebbe nell’incertezza del futuro. Poi c’è la massa degli indifferenti, che manca di coraggio e di idee, e accetta lo status quo. Questo quadro poco incoraggiante sembra stia lentamente cambiando, ma un mutamento profondo e duraturo richiederà tempo.
Unione Russia-Bielorussia: l’altra chiave del potere
L’unione tra Russia e Bielorussia è un’altra ragione della persistenza al potere di Lukašėnka. Un progetto di confederazione fra i due Stati avviato da tempo, che fatica a progredire, ma che ha ripreso slancio proprio dopo le elezioni del 2020. Non è azzardato affermare, oggi, che Lukašėnka sia la longa manus di Putin in Bielorussia: la realizzazione completa dell’Unione tra di due Paesi ridurrebbe l’indipendenza di Minsk a una formalità, ma per Mosca è un passo verso la riconquista delle posizioni perdute con la fine dell’Unione sovietica.
Putin sta cogliendo con abilità i moti di opposizione contro Lukašėnka per far cadere le ultime remore di quest’ultimo verso la realizzazione della confederazione. Per il presidente bielorusso, in difficoltà, è pur sempre meglio essere governatore assoluto di una regione russa, piuttosto che dover fuggire come un dittatore rincorso da una folla inferocita. Putin ha garantito alla Bielorussia denaro e sostegno, persino inviando personale da Mosca per sostituire i cittadini bielorussi scioperanti, durante le proteste. Molti osservatori credevano che Putin avrebbe scaricato Lukašėnka, diventato troppo ingombrante anche per il Cremlino. Non è stato così, si è assistito semmai a un ulteriore avvicinamento tra i due.
Bielorussia: proteste e opposizione contro i regimi dell’Est
Per questi motivi, con tutta la stima e la simpatia per i cittadini che rischiano la vita contestando il loro governo per le strade; con tutta l’ammirazione che si può nutrire per le forze di opposizione che si organizzano fuori dalla Bielorussia con scaltrezza e abnegazione, è ragionevole credere che il regime contro cui combattono finirà solo quando qualche evento traumatico farà cessare il suo potere di controllo e di repressione. Il sostegno russo, la persistenza di un consenso presso fasce determinanti di popolazione e la fedeltà dell’apparato statale allontanano la resa dei conti.
L’appoggio concreto offerto dall’Europa agli oppositori bielorussi resta poco più che formale. I Paesi che prestano maggior aiuto sono la Lituania, la Polonia e l’Ucraina, ma l’Occidente nel suo insieme resta timido e indeciso, per codardia e impreparazione. Troppi intellettuali, partiti politici e giornalisti occidentali hanno un cinico interesse ideologico a non disturbare i manovratori dei regimi autoritari ai confini dell’Europa, taluni li sostengono addirittura, più o meno apertamente. A fare le spese delle loro fantasie sono popoli interi schiacciati da regimi sempre più violenti.
Pochi governanti occidentali hanno la preparazione per comprendere a fondo i Paesi dell’ex blocco sovietico e la pericolosità di alcuni dei loro governi per l’Occidente. Si crede che siano fenomeni passeggeri, legati solo ai loro uomini di punta, con i quali dialogare per convincerli a essere un po’ meno cattivi, e tutto passerà. La realtà è assai peggiore.
Le dittature devono essere abbattute: non per mero slancio umanitario verso i milioni di donne e di uomini che le subiscono in casa loro, ma perché, in un mondo globalizzato, sono anche affar nostro. Il dirottamento dell’aereo Ryanair in Bielorussia e la pandemia da nuovo Coronavirus sono lì a dimostrarlo.