La traduzione di «aggravante della crudeltà» presuppone un’analisi che superi la componente emotiva che questo termine può contenere. Anche per fatti molto gravi, non sempre i giudici riconoscono questa aggravante, nel commisurare la pena. Tradurre la parola crudeltà, nei contesti penali e in questa particolare fattispecie, richiede cautela. Il ruolo spesso fuorviante dei media e le indicazioni per il lavoro di traduzione.
Il dibattito sulla cosiddetta aggravante della crudeltà riemerge con una certa frequenza, rispetto ai fatti di cronaca nera. Accade che i giudici, anche di fronte a omicidi efferati, non riconoscano tale aggravante a carico del reo. Qualche anno fa, in Italia, fece sensazione che la Corte di cassazione non riconobbe la crudeltà nella condotta dell’autore di un noto, tristissimo uxoricidio.
Vediamo perché la traduzione di aggravante della crudeltà richiede cautele, quando si tratta di diritto penale italiano, in riferimento al reato di omicidio. Queste considerazioni non riguardano solo la traduzione di atti giudiziari, ma anche la resa di articoli di giornale o di testi di altro genere concernenti questi casi. Restiamo nell’esempio del processo appena citato, che è significativo.
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«Aggravante della crudeltà:» un caso concreto e controverso
In fatto, il reo aveva inferto oltre trenta coltellate alla giovane moglie, mentre si trovava in un bosco, causandone la morte.
In diritto, l’aggravante della crudeltà, nella commissione dell’omicidio, è prevista al punto 4 dell’articolo 61 del Codice penale italiano. Con sentenza del 30.04.2014 nr. 18136, la prima sezione della Cassazione penale statuisce che il configurarsi della crudeltà richiede un cosiddetto quid pluris, ossia una condotta che vada oltre il processo causale che porta alla morte della vittima.
Spieghiamoci meglio: le coltellate inferte dal reo costituiscono il processo che ha causato la morte della povera moglie. Se, oltre a ciò, l’omicida avesse compiuto altri atti eccedenti questa condotta – ad esempio, mentre inferiva le coltellate avesse appiccato il fuoco al corpo della donna ancora in vita o avesse sottoposto la sventurata ad altra violenza, distinta dalle coltellate, per accrescerne la sofferenza – allora si sarebbe riconosciuta, nell’azione del reo, la circostanza aggravante dell’agire con crudeltà.
Nella condotta dell’omicida, pur gravissima e riprovevole, non vi era questo presupposto. L’omicidio è avvenuto per effetto delle sole coltellate. Oltre a colpire con il pugnale, l’uomo non ha compiuto altri atti destinati ad aggravare i patimenti della vittima.
Per questi motivi, la Corte di cassazione ha rinviato il giudizio al grado precedente, affinché la sentenza venisse riformata e la pena a carico del condannato venisse ricalcolata senza l’aggravante della crudeltà, che era stata invece riconosciuta dalle istanze inferiori.
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Tradurre «aggravante della crudeltà» e differenze tra Italia e Svizzera
Quali indicazioni trarre, per il lavoro di traduzione, dinanzi all’espressione aggravante della crudeltà? Come abbiamo visto, la parola crudeltà ha un significato giuridico esatto, precisato da una o più decisioni di Cassazione. Se il testo nella lingua d’origine utilizza un termine che può essere tradotto, secondo normali considerazioni linguistiche, con crudeltà, prima di utilizzare questa parola nel testo di destinazione in italiano per l’Italia, è necessario accertare che crudeltà, nell’ordinamento da cui proviene il testo sorgente, corrisponda alla fattispecie stabilita dalla Cassazione italiana.
Parlo esplicitamente di ordinamento e non di lingua. Determinante, infatti, è il significato che il termine in questione ha per l’ordinamento, non il suo senso comune. Per accertare ciò, il testo sorgente dev’essere analizzato con cura sotto il profilo giuridico. Il testo di destinazione, in conseguenza, deve essere formulato in modo da non causare equivoci.
Il Codice penale svizzero in versione italiana, a differenza di quello italiano, in riferimento al reato di omicidio (art. 111 CP CH) non utilizza il termine crudeltà. La legislazione svizzera distingue però tra omicidio e assassinio. Quest’ultimo si configura «se il colpevole ha agito con particolare mancanza di scrupoli, segnatamente con movente, scopo o modalità particolarmente perversi […]» (art. 112 CP CH). Ciò non deve far pensare che l’omicidio con l’aggravante della crudeltà dell’ordinamento italiano corrisponda sempre all’assassinio del diritto svizzero. Bisogna ponderare caso per caso gli orientamenti giurisprudenziali rispettivi.
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Termini alternativi e possibili equivoci nel linguaggio comune
Se le fattispecie non corrispondono, anziché il termine crudeltà, nella traduzione se ne userà un altro equivalente, ad esempio efferatezza, che non rimanda alla precisa definizione normativa di aggravante della crudeltà. Si dovrà evitare la tentazione di usare tout court un termine alternativo più generico, per timore di esporsi: la parola dev’essere scelta con cura, poiché un linguaggio errato ha conseguenze giuridiche sia con l’uso sia con il non-uso di un termine specifico.
Tutto ciò non significa che la condotta di un reo come quello citato nell’esempio – che ha commesso uno dei reati più odiosi, uccidendo la giovane moglie – dopo il mancato riconoscimento dell’aggravante della crudeltà debba essere considerata socialmente meno riprovevole. Compito del Tribunale è accertare se la condotta di chi ha commesso il reato corrisponda alla fattispecie descritta dalla norma. Il terzo grado di giudizio, in particolare, ha una funzione specifica, detta di nomofilassi o nomofilachia: deve far sì che le norme non si annacquino con interpretazioni analogiche o altre deviazioni esegetiche dal loro dettato.
E’ chiaro che questa decisione della Cassazione, se non spiegata nella sua tecnicità, può lasciare perplessi. Il caso citato offre un buon esempio di uso poco responsabile del linguaggio da parte dei media: anziché spiegare ai loro lettori i motivi di tale decisione, nel commentarla hanno insistito sul senso di rifiuto che essa ha provocato presso l’opinione pubblica, cavalcando l’emotività.
«Aggravante della crudeltà» e determinatezza della norma penale
La precisione della norma penale e della sua interpretazione tutela tutti noi dal possibile arbitrio della giustizia. Certe decisioni dei giudici possono apparire contrarie al senso comune. Eppure, vale il principio fondante del diritto penale: nulla poena sine lege. Nessuno di noi può essere condannato per un fatto non precisamente descritto dalla norma penale, secondo criteri di tassatività applicativa e sufficiente determinatezza descrittiva. In ciò, è essenziale usare il linguaggio in modo rigoroso. Questo principio si riflette anche sull’attività di traduzione.
Nel caso che abbiamo citato come esempio, la Cassazione ha accertato che la condotta del reo, benché abominevole, non integra l’aggravante della crudeltà, secondo le definizioni statuite dalla Cassazione stessa. Per mantenere costanti i criteri di applicazione della norma, non ha potuto far altro che correggere l’esito dei due gradi di giudizio precedenti, che invece l’avevano riconosciuta. Così facendo, la Cassazione ha tutelato anche i diritti del colpevole, che non deve essere condannato a pene superiori a quelle previste per i fatti e le circostanze del caso. In questo, nulla rilevano le pur comprensibili reazioni emotive suscitate nel pubblico dalla gravità dell’accaduto.
Questo esempio spiega ancora una volta perché, nella traduzione di testi legali, è essenziale essere consapevoli del portato giuridico di ogni termine. Il senso comune o il riscontro presso l’opinione pubblica non rilevano: fonti del linguaggio sono le norme e la loro interpretazione statuita dai giudici. Per una corretta traduzione, l’espressione aggravante della crudeltà offre un utile modello metodologico.
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(Articolo pubblicato in originale il 18.2.2015, ripubblicato con aggiornamenti il 26.9.2024)
Fausto ha detto:
Salve Luca,
Nelle questiono giuridiche ho ascoltato spesso Marco Travaglio che, forse per rendere chiara al pubblico la spiegazione, affermava che la Cassazione non entra nel merito, ma nella forma. Questo mi sembra confermato dal fatto che la Cassazione non è l’ultima parola, come sembrerebbe dai famosi «tre gradi di giudizio,» ma annulla la sentenza di appello (ad es. perché non sono stati considerati certi indizi) e impone un nuovo processo appunto d’appello.
E’ corretta questa distinzione?
Luca Lovisolo ha detto:
Buongiorno Fausto, è vero che il terzo grado non da un giudizio nel merito (non torna, perciò, sui fatti) ma non è corretto dire che giudica nella forma. Il terzo grado da un cosiddetto «giudizio di legittimità:» verifica la corretta applicazione del principio di diritto sul quale è costruita una norma, affinché essa sia applicata con uniformità e correttezza. Ciò vale sia per le norme sostanziali sia per quelle di procedura. Il caso citato è un buon esempio. La Cassazione ha richiamato i giudici al rispetto del principio di diritto che sottostà all’aggravante di crudeltà, termine che, come abbiamo visto, non va letto in senso meramente linguistico, ma nella sua precisa valenza normativa. Il terzo grado, poi, è effettivamente l’ultimo grado di giudizio, almeno nazionale. Può decidere di rinviare il procedimento al grado precedente, ma questo non ne altera la posizione gerarchica. Saluti. LL
maria antonietta ha detto:
Articolo molto ben scritto, chiaro, asciutto, esaustivo.
Luca Lovisolo ha detto:
Grazie per il Suo apprezzamento.