La costituzione della Zona di libero scambio africana deve rallegrarci: due modelli inventati e sviluppati da noi europei, lo Stato di diritto e l’Unione europea, funzionano e portano sviluppo ovunque vengono applicati. Non risolverà tutti i problemi dell’Africa, ma è un enorme passo avanti per lo sviluppo dei Paesi del continente. I tre insegnamenti che dobbiamo ricavarne.
L’otto luglio scorso è stato firmato Niamey, capitale del Niger, l’accordo per la costituzione della Zona di libero scambio continentale africana. Con la sola eccezione dell’Eritrea, che intende associarsi in futuro, tutti gli Stati del continente africano hanno aderito al progetto. La zona di libero scambio sarà attiva dal 1. luglio 2020. A un gruppo di sei Stati meno sviluppati, che hanno comunque aderito all’iniziativa, è stato concesso un periodo di tempo più lungo per adeguarsi agli standard previsti. Il progetto è nato in seno all’Unione africana, fondata nel 2002 sul modello dell’Unione europea, come successore dell’Organizzazione per l’unità africana. L’unione comprende oggi tutti i 55 Stati dell’Africa.
Tutti gli osservatori concordano nel dire che la costituzione di una zona di libero scambio continentale non risolverà tutti i problemi dell’Africa, ma è un enorme passo avanti per la facilitazione degli scambi e la promozione dello sviluppo dei Paesi africani. Significa l’abolizione di barriere doganali obsolete, l’unificazione di normative e la definizione di standard sui criteri di origine delle merci. Dimostra, inoltre, una grande capacità di iniziativa politica. Nei mesi scorsi sono stati avviati due altri importanti progetti: l’emissione di un passaporto unico per tutti i cittadini africani e l’estensione a più Paesi del Continente di una valuta unica, a partire dall’esperienza degli Stati che oggi adottano il franco CFA, in vista della creazione di una moneta comune per tutta l’Africa, sul modello dell’euro.
A noi europei, questi grandi passi avanti della vicina Unione africana insegnano tre cose.
La prima è che lo Stato di diritto, come lo conosciamo in Europa, resta il modello capace di garantire il miglior sviluppo alle popolazioni. In un numero crescente di Stati africani, particolarmente in Africa occidentale, dopo decenni di dittature, i meccanismi della democrazia liberale cominciano a funzionare, sebbene ancora imperfetti. Producono libertà e benessere per le popolazioni, non ancora paragonabili a quelli occidentali, ma in rapida crescita.
L’affermarsi dello Stato di diritto ha anche un effetto esterno: aumenta la fiducia fra i governi, al punto che diventa realtà un progetto di enorme portata, come la Zona di libero scambio continentale, nel cassetto da decenni. Gli Stati più avanzati, in un simile progetto, diventano il motore che trascina quelli ancora in difficoltà.
Il secondo insegnamento è che dobbiamo cambiare il nostro modo di guardare all’Africa, particolarmente in merito alle migrazioni. Non che ve ne fosse bisogno, ma un nuovo studio, pubblicato nelle settimane scorse dall’Istituto berlinese di studi sulla popolazione e lo sviluppo (Berlin-Institut für Bevölkerung und Entwicklung), ha sottolineato ancora una volta che i migranti che giungono in Europa, recuperati dalle acque dinanzi alle coste libiche, non provengono affatto dai Paesi africani più poveri, ma da quelli in maggior sviluppo, nei quali le popolazioni dispongono delle svariate migliaia di euro necessarie a pagare il viaggio ai trafficanti di uomini.
Lo studio osserva poi che il flusso migratorio verso l’Europa si innesca quando gli Stati di origine raggiungono un prodotto interno lordo pro capite di 8’000 dollari, ma torna a ridursi quando il PIL supera i 13’000 dollari. Significa che coloro che emigrano da Stati in maggiore difficoltà restano normalmente in Africa, mentre l’emigrazione verso l’Europa è, per strano che possa sembrare, indice di accresciuto benessere. Queste informazioni, fondate su osservazioni oggettive, sono generalmente assenti dal dibattito pubblico sulle migrazioni, che si alimenta di vecchi cliché e di prese di posizione idealistiche e politicizzate.
La costituzione della Zona di libero scambio africana è una dimostrazione del dinamismo dell’Africa e dell’intelligenza di molti suoi leader, ormai lontani dagli stereotipi dei decenni passati. L’Europa deve lavorare per far crescere gli Stati africani oltre quelle soglie di sviluppo che permettono ai giovani africani di restare nei loro Paesi, anziché credere alle promesse dei passatori e rischiare la vita per entrare illegalmente in Europa. I risultati sono a portata di mano, volendolo. Non ovunque, ma nei Paesi più avanzati, che possono poi trainare gli altri, sì.
Il terzo insegnamento che ricaviamo da ciò che sta accadendo in Africa è che l’originale modello organizzativo dell’Unione europea, nonostante le critiche che subisce nella stessa Europa, si mostra vincente. L’Unione africana, nel cui quadro è nata la Zona di libero scambio, è forgiata sul modello dell’Unione europea, le sue istituzioni portano persino le stesse denominazioni di quelle europee. La sua azione si rivela sempre più efficace nella cooperazione economica e politica, nella prevenzione di conflitti e nella risoluzione di crisi locali. A differenza dell’Europa, in Africa non esiste ancora un vero parlamento continentale. Esiste già, tuttavia, un Parlamento africano: si riunisce in Sud Africa, non raccoglie ancora tutti gli Stati del Continente ed è formato da parlamentari eletti nei parlamenti nazionali. E’ sempre meno lontano il momento in cui anche gli africani, come gli europei, potranno eleggere un parlamento continentale a suffragio universale diretto.
Coloro che pensarono l’architettura istituzionale delle Comunità europee, poi divenute Unione europea, videro giusto. Si trattava di inventare un modo per far cooperare e mantenere in pace Stati che nel mondo, da soli, avrebbero contato sempre meno, senza però schiacciarne le originalità culturali e storiche. Come ben sappiamo, il modello dell’Unione europea richiede ancora molte limature, ma intanto ispira altri continenti a muoversi lungo lo stesso cammino, e funziona. Più in piccolo, in Sud America, anche il Mercosur riprende elementi dell’Unione europea.
Siamo bombardati da falsi profeti, targati Mosca, che vogliono convincerci che lo Stato di diritto ha terminato la sua parabola storica e andrebbe sostituito con poteri autoritari. Altre cassandre sbraitano che l’Unione europea sarebbe ormai fallita. Chiacchiere infinite piovono sulle poche migliaia di migranti recuperati al largo della Libia, descrivendo situazioni di persecuzione e povertà nei loro Paesi di origine che nella maggioranza dei casi non hanno più alcuna relazione con la realtà.
La costituzione della Zona di libero scambio africana deve rallegrarci, come europei: due modelli inventati e sviluppati da noi, lo Stato di diritto e l’Unione europea, funzionano e portano sviluppo ovunque vengono applicati; deve ammonirci, però, sulla nostra incapacità e immaturità nel capire e affrontare le migrazioni illegali dall’Africa verso l’Europa.
Paola ha detto:
Molto interessante l’apertura mentale nell’analisi. Grazie
Luca Lovisolo ha detto:
Grazie a Lei per l’attenzione.