Cos’è un accordo di libero scambio

Porto | © Vadim Fomenok
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Il progetto cinese «Nuova via della seta» si può paragonare a un trattato di libero scambio? Per comprendere l’importanza dei trattati di libero scambio bisogna ricordare che ogni Stato è libero di gestire come meglio crede le proprie relazioni economiche con l’estero. Il progresso tecnologico degli ultimi decenni ha reso molto facile commerciare oltre le frontiere nazionali, persino per i beni più semplici.


Si parla molto del progetto cinese «Nuova via della seta:» presenta qualche analogia con i trattati di libero scambio? No: un trattato di libero scambio è destinato a facilitare il commercio tra due o più Paesi, introducendo misure di carattere legislativo e amministrativo.

Per comprendere l’importanza dei trattati di libero scambio bisogna ricordare che ogni Stato è libero di gestire come meglio crede le proprie relazioni economiche con l’estero. Può chiudere o aprire le frontiere, imporre dazi sull’importazione di merci o limitare le esportazioni. Può determinare regole per l’importazione ed esportazione di capitali, valori e prestazioni di servizio.

Gli scopi di queste regolamentazioni dei rapporti economici internazionali sono molteplici. Da una parte, servono allo Stato a governare la propria economia, a incassare tributi sui passaggi doganali, a evitare la fuoriuscita incontrollata di valuta. Restrizioni e imposizioni su importazioni ed esportazioni possono anche avere fini protezionistici: impedendo o rendendo difficile l’importazione di certi beni prodotti all’estero, lo Stato favorisce, almeno apparentemente, i produttori nazionali.

Nella realtà, è accertato che la massima apertura dei commerci si traduce in un vantaggio complessivo: è certamente possibile che singole categorie di operatori o prodotti siano esposte a rischi, ma la facilitazione di esportazioni e importazioni produce generalmente un saldo totale positivo, poiché stimola la crescita attraverso gli scambi internazionali. Può avere senso mantenere delle restrizioni in settori molto specifici o in fasi storiche particolari, ma è bene che siano ridotte al minimo.

Gli anni che stiamo vivendo vedono un ritorno del protezionismo: i vantaggi che si ripromettevano i sostenitori di questa pratica, particolarmente il presidente USA Donald Trump, si stanno rivelando ben lontani dalle aspettative. Se un Paese rende difficile il commercio estero, ad esempio imponendo alti dazi doganali, gli altri faranno altrettanto, per rappresaglia: il risultato non sarà la ripresa dell’economia interna che si voleva difendere dalle importazioni, ma un rallentamento generale degli scambi e del valore generato sul piano globale.

Il progresso tecnologico degli ultimi decenni ha reso molto facile commerciare oltre le frontiere nazionali, persino per i più banali acquisti privati. E’ così aumentato il numero di trattati internazionali che tendono a rendere più fluido possibile il passaggio di merci non solo fra singoli Stati, ma all’interno di intere regioni del mondo: si pensi ai recenti e celebri trattati di libero scambio fra Unione europea e Canada, oppure a quello, affossato da Donald Trump, che avrebbe dovuto unire gli Stati uniti e un ampio numero di Paesi dell’Asia-Pacifico.

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I trattati di libero scambio assumono inevitabilmente anche un valore politico: per considerazioni riguardanti il mancato rispetto dei diritti umani, l’Unione europea non ha sinora concluso un trattato di libero scambio con la Cina, ad esempio. Un accordo di libero scambio resta un documento essenzialmente commerciale, ma lega i Paesi firmatari al rispetto di alcuni standard comuni, anche se non mira a una integrazione politica. In questo senso, non è corretto definire l’Unione europea un’area di libero scambio: sebbene comprenda, nei suoi trattati, anche la libertà dei traffici commerciali e l’abbattimento delle frontiere interne, l’Ue si fonda su un progetto di articolata integrazione politica fra Stati membri che è estraneo alla natura di un semplice accordo di libero scambio.

Gli accordi di libero scambio hanno la funzione di abbattere costi e barriere al commercio internazionale: riducono la burocrazia e l’influenza degli apparati, togliendo freni agli scambi e alla creazione di opportunità. Può sembrare banale, ma gli ostacoli al commercio transfrontaliero sono spesso di mera natura amministrativa o politica: eccessiva burocratizzazione delle pratiche di import/export, diversità negli standard di qualità, norme divergenti in materia alimentare o fitosanitaria. Bastano, però, a trattenere gli operatori dal commerciare con i Paesi dalle normative più complesse.

Negoziare un accordo di libero scambio, per uno Stato, significa impegnarsi a concordare con le altre parti firmatarie certi standard comuni per l’eliminazione dei dazi e la semplificazione delle pratiche di import/export, unificare le barriere sanitarie e fitosanitarie, concordare regole chiare  sulla protezione della proprietà intellettuale (brevetti) e sulla tutela della concorrenza e dei consumatori, senza dimenticare le norme per lo sviluppo sostenibile e la protezione dell’ambiente.

Un’area di libero scambio non va confusa con un mercato comune senza frontiere. In un’area di libero scambio le dogane dei singoli Paesi restano in funzione: i prodotti dotati di origine preferenziale, che rispettano cioè i requisiti stabiliti per il libero scambio, circolano però con minore o nessun controllo, facilitando enormemente le attività economiche tra Paesi aderenti.

Il progetto cinese “Nuova via della seta” non riguarda la costituzione di un’area di libero scambio: mira alla costruzione di infrastrutture e alla definizione di standard di interoperabilità su una complessa rete di trasporti multimodali che deve unire Pechino all’Europa su un duplice percorso: via mare, attraverso l’Oceano indiano e il Mediterraneo, e via terra, attraverso l’Europa orientale e l’Asia centrale. Si tratta di un progetto infrastrutturale ambizioso e senz’altro ricco di opportunità, carico però di molte incognite geopolitiche, causate dall’espandersi dell’influenza cinese verso Occidente.

Sebbene contenga alcuni aspetti che potrebbero anche far parte di un trattato di libero scambio, l’iniziativa della Nuova via della seta ha tutt’altra natura e oggetto. Suscita, in conseguenza, considerazioni diverse, sul piano politico ed economico.

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Il mio corso «Capire l'attualità internazionale» accompagna chi desidera comprendere meglio i fatti del mondo. Con il corso «Il diritto per tradurre» comunico le competenze giuridiche necessarie per tradurre testi legali da o verso la lingua italiana.

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