Mar nero e Crimea: uno scontro premonitore

Mar Nero, Crimea: scontro navale fra Russia e Ucraina
Ucraina, Mar Nero | © The Nigmatic

Nel Mar Nero, intorno alla Crimea, lo scontro tra Russia e Ucraina del 25 novembre 2018. Riletto alla luce della ripresa del conflitto su larga scala, nel febbraio 2022, l’episodio è uno dei tanti segnali premonitori della guerra ignorati dalla comunità internazionale. La cronaca e l’analisi del fatto, che rivelava già allora le intenzioni del Cremlino. La reazione debole dell’Occidente.


Nella mattinata del 25 novembre 2018, tre navi ucraine incrociavano al largo della Crimea facendo rotta verso lo stretto di Kerč’, che separa la Crimea dalla terraferma russa. Un’unità delle guardie di confine russe speronava deliberatamente una delle imbarcazioni. I russi sequestravano le navi ucraine e ne arrestavano il personale. Alcuni marinai ucraini venivano ricoverati in ospedale.

Le navi ucraine avevano pieno diritto di attraversare lo stretto di Kerč’ e di recarsi nel Mar d’Azov, verso il porto ucraino di Mariupol. Da quando occupa militarmente la Crimea, però, la Russia ritiene che il Mar d’Azov sia un bacino di acque interne, di proprio dominio esclusivo.

Per comprendere il fatto è necessario spiegare la differenza tra acque territoriali e acque interne. Le acque territoriali sono la striscia di mare che si estende oltre la linea di base normale (ossia, oltre la costa) di uno Stato, sino a un massimo di 12 miglia verso il largo. In queste acque, lo Stato costiero esercita sovranità, ma non può impedire il transito di navi altrui, purché rapido, ininterrotto e non offensivo.

Le acque interne, invece, sono quelle che si trovano entro la linea di base, cioè all’interno del territorio dello Stato. Sono laghi e fiumi, in alcuni casi anche baie marine. Su queste acque non è consentito il transito di imbarcazioni straniere, salvo autorizzazione esplicita.

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Per ragioni storiche, il Mar d’Azov è considerato un bacino di acque interne a sovranità congiunta di Russia e Ucraina. Questo status è sancito da un accordo del 2003, in deroga alle disposizioni generali stabilite dalla Convenzione ONU sul diritto del mare (UNCLOS). Da quando ha illegalmente annesso la Crimea, in particolare dopo la costruzione del gigantesco ponte di Kerč’, che unisce la Crimea alla Russia continentale, Mosca ritiene però che la linea di base costiera russa si sia spostata, appunto, in coincidenza del ponte.

In questo modo, tutto il Mar d’Azov diventa un bacino di acque interne russe. Secondo Mosca, perciò, solo la Russia ha diritto di decidere chi vi accede. In conseguenza, le navi ucraine devono chiedere il permesso alla Russia, per accedere ad acque e porti propri. Questo stato di fatto fu confermato anche da Viktor Murachovskij, direttore della rivista militare russa Arsenal Otečestva, sentito dai notiziari di Mosca come esperto, il giorno dello scontro. Secondo Murachovskij, il Mar d’Azov è un bacino interno russo («внутренние воды») e sulle acque interne il diritto internazionale del mare non è applicabile.

Vero che il diritto internazionale del mare non concerne le acque interne, ma falso che il Mar d’Azov sia un mare interno russo. L’annessione violenta della Crimea non è riconosciuta dal diritto internazionale. Non lo è nemmeno lo spostamento della linea di base costiera della Russia a coincidere con lo stretto di Kerč’.

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La notizia del fatto nei notiziari russi: il video tagliato

Nel video che riprende il momento del contatto fra le navi ucraine e la guardie di confine russe, l’unità russa sperona quella ucraina, con l’intento di impedirne la navigazione. Nei telegiornali di Mosca il filmato fu trasmesso, il primo giorno, tagliando la scena dello speronamento. Le immagini furono descritte come navi ucraine che «manovrano pericolosamente in acque russe» («опасно маневрируют в русских водах»). La versione integrale andò in onda solo nei giorni successivi, quando il video completo era ormai di dominio pubblico attraverso Internet.

Durante l’intera giornata del fatto, i notiziari russi definirono l’accaduto come una «provocazione» ordinata dal presidente ucraino, Petro Porošenko, per ottenere un miglioramento dei suoi sondaggi elettorali in vista delle prossime elezioni presidenziali ucraine.

L’Ucraina, a ragione, non deve rendere conto alla Russia dei suoi movimenti nel Mar d’Azov, che è mare anche suo. Il traffico in quelle acque è continuato anche dopo l’annessione della Crimea, benché molto limitato dalla presenza del nuovo ponte di Kerč’. Il manufatto riduce lo spazio disponibile al transito e mette nelle mani di Mosca uno strumento per chiudere con facilità il transito navale.

Mar nero: la reazione russa allo scontro intorno alla Crimea

Il giorno dello scontro, la Russia chiuse il passaggio a tutti i navigli, ancorando una lunga nave mercantile di traverso alla luce massima del ponte. Il passaggio venne poi riaperto nelle ore successive. Il Consiglio nazionale di difesa e sicurezza ucraino propose la proclamazione dello stato di guerra. La decisione fu ratificata dal Parlamento, per la durata di 30 giorni e su dieci regioni del Paese.

Potevano esservi molte ragioni, dietro lo scontro. L’Ucraina intendeva riguadagnare il libero transito verso il porto di Mariupol e gli altri centri costieri, essenziale per la sua economia. La Russia, da parte sua, poteva avere due obiettivi, in quel contesto. Il primo, saggiare la reazione dell’Ucraina e dell’Occidente rispetto a un’eventuale estensione del conflitto con l’Ucraina. Fino a che punto l’Europa e gli Stati uniti sono disposti a intervenire, se il conflitto sale di tono?

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L’altra ipotesi fu che la Russia pianificasse di bloccare tutto il traffico navale verso il porto di Mariupol, per strozzare l’economia ucraina. Infiltrando propri agenti in città, avrebbe potuto tentare di aizzare la popolazione contro il governo di Kyiv e sfruttare i disordini a proprio vantaggio, per assumere il controllo di fatto della regione, come aveva già fatto nel Donbas nel 2014. La Russia, in questo modo, avrebbe realizzato la continuità territoriale fra continente e Crimea. Per questo motivo, dopo il fatto l’Ucraina vietò l’accesso al proprio territorio ai cittadini russi di sesso maschile in età da combattimento, per prevenire l’infiltrazione di militari sotto spoglie civili.

Questo scenario si verificherà in modo ancor più tragico dopo il 24 febbraio 2022, quando la Russia riprenderà i combattimenti su larga scala e conquisterà la regione tra Mariupol e Cherson.

La reazione dell’Occidente: debolezza e finta equidistanza

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La reazione dell’Occidente ai fatti dello Stretto di Kerč’ fu debole. Le cancellerie europee e degli Stati uniti insistettero nel considerare le due parti sullo stesso piano. Invitarono non solo la Russia, ma anche l’Ucraina a non accentuare il confronto. In realtà, i due Stati erano e sono tutt’oggi l’uno aggredito, l’Ucraina, e l’altro aggressore, la Russia.

La situazione di fatto e di diritto era chiara già allora e non era diversamente interpretabile. A causa delle azioni militari della Russia, dal 2014 l’Ucraina ha perso il libero accesso ai suoi porti a nord-est della Crimea, oltre alla Crimea stessa e alla sua quota di controllo sul Mar d’Azov. La Russia non aveva e tutt’ora non ha alcun titolo per impedire alle imbarcazioni ucraine, militari o civili, di accedere alle acque del Mar d’Azov.

Al momento del fatto, apparve improbabile che la Russia volesse estendere il conflitto verso Mariupol e Cherson. Già allora, però, lo scenario non poteva essere escluso, come poi hanno dimostrato gli eventi del febbraio 2022.

E’ fuor di dubbio che sia per il presidente ucraino sia per quello russo, allora ambedue in difficoltà interna per ragioni diverse, lo scontro si prestava a ravvivare il loro consenso popolare. Limitare la portata del fatto avvenuto a uno stratagemma elettorale, però, come fecero i media russi e non pochi commentatori occidentali, era inadeguato.

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Con quell’atto, la Russia riaffermò il proprio controllo esclusivo sul Mar d’Azov, violando il trattato di condominio su quelle acque, sottoscritto con l’Ucraina. Altro dato rilevante è che Mosca, in quella circostanza, intervenne con proprio personale militare, non più spalleggiando soggetti terzi, come gli indipendentisti nel Donbas o il governo-fantoccio della Crimea.

La città di Mariupol era già stata al centro di un grave episodio bellico nel gennaio del 2015. Un attacco missilistico lanciato dai guerriglieri filorussi aveva ucciso in città una ventina di persone e causato danni materiali. Mi trovavo in Ucraina orientale, in quelle ore, sebbene a una certa distanza da Mariupol. L’attacco provocò grave tensione, perché sembrò il preludio a un’aggressione russa su più larga scala verso l’interno dell’Ucraina.

Fu quell’attacco a Mariupol, a convincere la cancelliera tedesca Angela Merkel e l’allora presidente francese François Hollande a tentare un negoziato, che si svolse a Minsk, con trattative fino a notte fonda. Da lì nacque il cosiddetto «Accordo di Minsk II,» che superò il pacchetto «Minsk I» dei mesi precedenti. L’intesa comportò un rallentamento dei combattimenti, ma, come si è visto, purtroppo non ha impedito alla Russia di proseguire l’aggressione ai danni dell’intera Ucraina negli anni successivi.

lo scontro navale di Kerč’ fu uno dei casi premonitori in cui molti governi occidentali manifestarono un’irresponsabile indulgenza verso le condotte della Russia, mostrandosi incapaci di misurarne la gravità.

(Articolo pubblicato in originale il 5.12.2018, ripubblicato con aggiornamenti il 14.4.2023)

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Il mio corso «Capire l'attualità internazionale» accompagna chi desidera comprendere meglio i fatti del mondo. Con il corso «Il diritto per tradurre» comunico le competenze giuridiche necessarie per tradurre testi legali da o verso la lingua italiana.

Commenti

  1. Roberto A. Metelli Casanova ha detto:

    La Russia di Putin è un Paese che tende a perseguire una politica aggressiva verso chiunque non sottostia ai suoi diktat; è da irresponsabili chiudere gli occhi ed essere indulgenti nei confronti della nomenclatura di detto Paese. Putin va fermato. E come uomo di destra mi costa doverlo dire.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      E’ vero, anche se i problemi sollevati dalla Russia di oggi sono a monte della distinzione fra partiti. Si tratta di un insieme di scelte valoriali di fondo sulle quali l’Occidente, compresi purtroppo gli USA, non è più così automaticamente allineato come in passato, né fra Stati né all’interno degli Stati. Purtroppo la Russia cavalca questa incertezza e ha largamente contribuito a generarla.

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Con le mie analisi e i miei corsi accompagno a comprendere l'attualità globale chi vive e lavora in contesti internazionali.

Tengo corsi di traduzione giuridica rivolti a chi traduce, da o verso la lingua italiana, i testi legali utilizzati nelle relazioni internazionali fra persone, imprese e organi di giustizia.

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