Un referendum per l’indipendenza viene ammesso in Scozia e lodato dalla comunità internazionale come esempio di democrazia, ma in Catalogna non è possibile. Perché? L’espressione «separatismo» si sente sempre più frequentemente, oggi, in Europa. Cosa significa il principio più citato dai sostenitori del separatismo: l’autodeterminazione dei popoli.
Vi sono separatisti in molte regioni d’Europa: Scozia, Catalogna e Italia del nord, territori dove questo tema, almeno sinora, non ha causato esplosioni rilevanti di violenza. Nei decenni passati, i movimenti indipendentisti baschi, corsi e del Sud Tirolo hanno lasciato sul terreno centinaia di vittime civili. Il separatismo nell’Ucraina orientale, fomentato dalla Russia, ha generato un perdurante conflitto armato.
Il separatismo tocca, in sintesi, tre elementi: il principio di autodeterminazione dei popoli, il principio dell’integrità territoriale e le norme costituzionali dello Stato interessato. I primi due elementi riguardano il diritto internazionale, il terzo la legislazione interna dello Stato. Iniziamo con il principio più frequentemente citato dai sostenitori del separatismo: il principio (diventato solo più tardi diritto) di autodeterminazione dei popoli.
La lunga evoluzione storica di questo principio non può essere riassunta qui. Nel ventesimo secolo, mostrò frequentemente la sua efficacia quando fu richiamato per motivare la decolonizzazione dell’Africa e di altre regioni del mondo, particolarmente Medio oriente e Asia, ancora dominate dalle potenze coloniali europee. Negli anni Cinquanta e Sessanta sorsero decine di nuovi Stati, in conseguenza della decolonizzazione. La pretesa dei colonizzati di sciogliere i legami con i colonizzatori si fondò appunto sul principio di autodeterminazione dei popoli ed è ancora oggi uno degli esempi più citati della sua applicazione.
Questo principio è definito in diverse fonti del diritto internazionale, tra le quali l’art. 1 cpv. 2 della Carta delle Nazioni unite: I fini delle Nazioni Unite sono […] Sviluppare tra le Nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodeterminazione dei popoli, e prendere altre misure atte a rafforzare la pace universale.
Dello stesso tenore l’art. 1 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e l’art. 1 del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali (1966): Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale.
Si distingue fra autodeterminazione interna e autodeterminazione esterna. All’interno del proprio territorio, ogni popolo deve essere libero di decidere come organizzare le proprie istituzioni e il suo status politico. Il diritto all’autodeterminazione esterna dichiara invece che un popolo deve essere libero di decidere se costituirsi in Stato indipendente o come parte di un altro Stato, e di gestire come meglio crede le sue relazioni con la comunità internazionale.
Un aspetto importante, qui, è la definizione delle frontiere. Al momento della decolonizzazione, come per lo scioglimento della Jugoslavia e dell’Unione sovietica, si applicò il principio Uti possidetis iuris: i confini del nuovo Stato corrispondono ai confini dell’unità amministrativa – o alla situazione di controllo di fatto – dalla quale il nuovo Stato sorge. L’applicazione del principio Uti possidetis iuris è problematica, tuttavia, laddove le frontiere etniche e culturali non coincidono con le frontiere politiche. Il caso del Kosovo, ancora non del tutto risolto, è un triste esempio di questa problematicità. In Africa e Medio oriente, le incomprensioni e i conflitti sorti dalla incerta corrispondenza fra confini di Stato e situazione etnico-linguistica sul terreno non si contano.
L’errore più frequente che i separatisti degli orientamenti più diversi commettono, nell’interpretare il principio di autodeterminazione dei popoli, è ritenere che da esso derivi automaticamente un diritto alla secessione territoriale, che è cosa ben diversa. Se una comunità presenta specificità linguistiche o culturali, ecco che i fautori della secessione fanno automatico appello al diritto di autodeterminazione dei popoli: organizzano un referendum per l’indipendenza e partono dal presupposto che questo passo autorizzi da sé la proclamazione di un nuovo Stato e ne comporti il riconoscimento da parte della comunità internazionale.
Non funziona così. La realizzazione del diritto all’autodeterminazione presuppone esplicitamente altre condizioni ed è bilanciato dal principio, altrettanto importante, dell’integrità territoriale degli Stati.
(Articolo pubblicato in originale il 18.11.2014, ripubblicato con aggiornamenti il 3.7.2019)
Ugo ha detto:
Buongiorno,
Mi chiamo Ugo, vorrei sapere la differenza nei due casi che le cito di cui attualmente si fa un gran parlare, vorrei la sua opinione personale e giuridica dei due casi:
A: L’ autonomia differenziata delle regioni
B: Il famoso o.p.p.t, che dicono essere incostituzionale e pericoloso per un’ eventuale autodeterminazione della persona in sé…
La ringrazio sentitamente, augurandole buon lavoro!
Luca Lovisolo ha detto:
Grazie per la Sua fiducia, ma devo deluderla. Non mi occupo della questione dell’autonomia differenziata: riguarda la politica interna italiana e non è oggetto del mio lavoro. Posso solo dirle che il concetto di autonomia differenziata non ha nulla a che vedere con il separatismo, di cui si parla in questo aticolo, e nemmeno con il federalismo. Se può esserle utile, la Russia è un paese organizzato in autonomie differenziate, sebbene si autodefinisca «federazione.»
I trust autodichiarati (OPPT) toccano problematiche giuridiche e tributarie controverse che non è neppure possibile accennare qui. Non dubito che troverà, anche in Rete, pareri esaustivi in materia.
Cordiali saluti
LL
Giovanna ha detto:
Buongiorno, Lei scrive: «La realizzazione del diritto all’autodeterminazione presuppone esplicitamente altre condizioni ed è bilanciato dal principio, altrettanto importante, dell’integrità territoriale degli Stati.» È indubbio che, quando manca tale equilibrio, si creano situazioni conflittuali, come mostrano i recenti fatti in Ucraina. Se però tale «integrità territoriale» ha basi storiche quantomeno discutibili, come nel caso del Sud Tirolo, non crede che sia giusto metterla in discussione?
Luca Lovisolo ha detto:
Buongiorno Giovanna, Grazie per il Suo commento. Certamente il problema dei confini tracciati su basi incerte o arbitrarie è uno dei motivi per i quali si mette in discussione l’assetto territoriale di uno Stato. Come dirò nei prossimi articoli, il diritto internazionale non vieta affatto la secessione di una parte di territorio- Il problema sta nel modo in cui la si attua. Se la si compie rispettando le regole coniate proprio per evitare situazioni come quella ucraina, la secessione o comunque la modifica delle frontiere di uno Stato sono possibili. Ne sono esempi lo scioglimento della Cecoslovacchia o la divisione pacifica del Sudan dal Sudan del Sud. Approfondirò nei prossimi interventi.
Josephine Cassar ha detto:
Anche in Belgio lottano per la separazione ed è Sempre la parte più ricca che vuole separarsi. Forse dopo ci sarà l’Irlanda del nord, una cosa che potrà capovolgere l’Europa.
Luca Lovisolo ha detto:
Grazie per il Suo commento. Senz’altro le motivazioni economiche giocano un ruolo importante, nel separatismo, ma credo che sarebbe un errore limitare l’analisi del fenomeno a questo aspetto. Alla base vi sono anche ragioni etniche e risentimenti culturali, che sono ben più difficili da superare delle sperequazioni economiche.