Perché il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele da parte degli Stati uniti è così importante e per molti aspetti infelice? Quando, nel 1947, si decise la divisione della Palestina tra arabi e israeliani, Il territorio di Gerusalemme fu affidato dalle Nazioni unite a un’amministrazione internazionale che non fu mai concretamente istituita.
Allorché, nel 1948, gli inglesi si ritirarono definitivamente dal territorio della Palestina, di cui erano amministratori, Gerusalemme restò di fatto senza Stato. Durante la guerra arabo-israeliana del 1948 Israele prese per sé la parte occidentale della città. Le Nazioni unite confermarono l’illegalità di questa azione e riaffermarono lo status internazionale di Gerusalemme. Negli anni successivi, l’ONU emise una quantità di risoluzioni contrarie alla condotta dello Stato ebraico nei territori palestinesi, decisioni che restarono sistematicamente ignorate. L’ONU dispose che Israele non trasferisse la propria capitale da Tel Aviv a Gerusalemme: nonostante ciò, lo Stato ebraico elevò tutta la città a propria capitale indivisibile, anche il settore est, allora sotto controllo arabo.
Con la Guerra dei sei giorni (1967) Israele assunse il controllo anche della parte orientale della città. Nel 1980 ha dichiarato ancora una volta, per legge, tutta Gerusalemme propria capitale. La comunità internazionale ha rifiutato di riconoscere questa mossa: il passo dello Stato ebraico era più lungo della gamba, anche per gli Stati uniti. In questi giorni Donald Trump ha invece riconosciuto tale atto, contrario al diritto internazionale, affermando che Gerusalemme è capitale di Israele, e trasferendovi l’ambasciata (sinora gli Stati uniti erano presenti in città solo con un consolato).
Il trasloco, in realtà, era già stato deciso per legge nel 1995. A causa della situazione particolare di Gerusalemme, però, la legge non era mai entrata in vigore: i Presidenti Clinton, Bush figlio e Obama avevano rifiutato di firmare il provvedimento, temendo che una tale decisione sarebbe diventata il catalizzatore di altre violenze e un ulteriore ostacolo sulla via già sufficientemente accidentata di una pace in Palestina. L’estate scorsa Trump ha firmato la legge che i suoi predecessori avevano congelato. E’ con questa firma, che ha rimesso in moto la procedura del completo riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico. L’annuncio di questi giorni, perciò, è l’ultimo miglio di un processo lungo e controverso.
Trump e la sua amministrazione mostrano ancora una volta, così, il loro disprezzo per il consenso internazionale, sostenendo la politica del fatto compiuto che è il leitmotiv delle azioni di Israele in quella regione, sin dalla sua esistenza. Quali conseguenze avrà questo passo degli Stati uniti non è ancora possibile prevederlo con esattezza, in queste ore. I palestinesi, e con essi tutti i popoli arabi, si sentono traditi dagli USA e derubati. Da molte parti del mondo musulmano si segnalano dimostrazioni, prese di posizione critiche e le prime esplosioni di violenza. Le reazioni, però, sembrano restare sinora relativamente nei limiti.
Alcuni esperti di Medio oriente suggeriscono che questa mossa porta movimento su una scena in cui una situazione di fatto e di diritto ormai paralizzata non sembra più in grado di offrire soluzioni. Donald Trump, con questo riconoscimento, adempie una promessa elettorale. La sua decisione, perciò, ha anche un movente di politica interna. Questo, di fronte alla rilevanza internazionale della sua mossa, resta però un fatto secondario.
Il Presidente USA non sembra in grado di prendere da solo una simile decisione e di stimarne le conseguenze. Sui calcoli che sovrintendono a questa svolta storica vi sono, sinora, solo supposizioni. Altrettanto incerto è chi siano i veri burattinai, se ve ne sono, che hanno convinto l’amministrazione degli Stati uniti a compiere questo passo. Il Segretario di Stato statunitense Rex Tillerson ha dichiarato che il riconoscimento come capitale non ha alcuna influenza sullo status di Gerusalemme e non ha nulla a che vedere con la prosecuzione del processo di pace in Palestina. Se queste affermazioni saranno confermate, si possono avanzare serie perplessità sulla capacità di giudizio del Governo degli USA di fronte al delicatissimo teatro di crisi palestinese.
Tutta la scena mediorientale è in movimento. L’Arabia saudita attraversa una fase di transizione nella quale un giovane principe ereditario vuole portare idee apparentemente nuove, con fare decisionista. Un Paese prigioniero di una rigida visione dell’Islam, ma, proprio per questo, sinora, relativamente prevedibile nelle sue mosse, in una parte di mondo per il resto assai inquieta, si sta trasformando in qualcosa di non ancora immaginabile, e coltiva alleanze creative. La ben affiatata triade di Iran, Turchia e Russia prenderà presto posizione. I media di Mosca hanno parlato dell’annuncio di Trump in modo sorprendentemente defilato. Il Ministero degli esteri russo si era riferito a Gerusalemme definendola «capitale di Israele» già in una dichiarazione dell’aprile 2017, ma il riferimento si limitava esplicitamente alla parte occidentale della città ed era legato alla prospettiva di riconoscerne la parte orientale come capitale di un futuro Stato arabo palestinese. L’ambasciata russa non è stata trasferita. Il riconoscimento avvenuto da parte degli Stati uniti non distingue tra Gerusalemme est e ovest.
Una cosa è certa: il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele è, ancora una volta, un atto contrario al vigente diritto internazionale. Diventa sempre più difficile, per gli Stati uniti e per tutto l’Occidente, presentarsi come paladini della legalità internazionale, quando, ad esempio, la Russia pretende per sé parti dell’Ucraina o della Georgia e tenta di praticarvi la stessa politica dei fatti compiuti.
La questione di fondo resta: due popoli che hanno entrambi fondate pretese sulla Palestina, ma non riescono ad accordarsi sui modi di una inevitabile convivenza. E’ dubbio, che la decisione presa dagli Stati uniti contribuisca alla soluzione del conflitto arabo-palestinese. E’ certo, invece, che con tale decisione è caduto ingloriosamente un altro pezzo delle acquisizioni del diritto internazionale faticosamente costruite dopo la seconda Guerra mondiale.
| >Originale in lingua tedesca (traduzione italiana dell’autore)
Maria Antonietta ha detto:
Quadro sintetico e straordinariamente, nella sua laconicità, preciso e chiaro della situazione palestinese e israeliana. Mi è molto piaciuto.
Luca Lovisolo ha detto:
Grazie per il Suo apprezzamento. LL